Delusione americana / Offutt, Il fratello buono
“La luce della luna si stendeva sulla terra scura. Virgil si ricordò delle sere che era rimasto con Boyd sulla veranda, cercando di seguire l’arrivo del buio. Boyd pensava che ogni molecola d’aria diventasse più scura, e, come quando si guarda la neve che si accumula, fosse possibile assistere in diretta al cielo che diventava nero”.
Chris Offutt ha più volte dichiarato la sua ammirazione per Cesare Pavese, lo considera un maestro e fonte d’ispirazione, essendo un lettore di entrambi (nessun paragone tra i due, si capisce) ho cercato nelle storie dello scrittore del Kentucky qualche riferimento pavesiano e, qualche volta, mi è parso d’averlo trovato. Le descrizioni, pressoché perfette, dei paesaggi collinari, dei boschi, e poi, naturalmente, le poche parole e le solitudini di questi personaggi malinconici e cupi che saltano fuori dai racconti, dai romanzi, fino al memoir sul padre; in tutto questo c’è qualcosa di Pavese mista alla cattiveria del racconto americano. Ma è nel romanzo appena uscito in Italia, Il fratello buono (minimum fax 2020, traduzione di Roberto Serrai) che ho visto delineati alcuni meccanismi di Pavese.
“Quando il sonno lo colse fu come se annegasse”.
Offutt in questo romanzo per parlare di vendetta, di suprematisti bianchi, e delle difficoltà che ha un uomo per natura buono quando deve assoggettarsi a certi codici e comportamenti e deve trasformare la sua naturale vocazione alla solitudine in strumento necessario alla propria salvezza, compie un giro lungo alla Pavese, non solo chilometrico spostandosi dal Kentucky al Montana, ma soprattutto narrativo girando intorno ai sentimenti di un uomo per portarci piano piano al nucleo che è lo sfascio dell’America, delle regole non scritte in vigore in posti sperduti, dove magari non c’è che un piccolo ufficio postale (e sono tanti) o un solo bar. La stessa America in cui è facilissimo sparire, cambiarsi il nome e numero di previdenza sociale, l’America in cui si muore per vendetta e per razzismo, in cui i bianchi si convincono di essere trattati peggio dei neri e si armano per difendersi dallo stato. Per i giri strani che fanno le associazioni letterarie nelle nostre teste mi è venuta in mente, mentre procedevo nella storia di Offutt, quella splendida poesia di Pavese dal titolo, non a caso, Gente spaesata che cominciava con “Troppo mare. Ne abbiamo veduto abbastanza di mare”, per portarci piano piano attraverso quei “e non parla nessuno” a far sparire il mare, trasformandolo in vino: “Si contempla, guardando il bicchiere / a innalzare colline verdi sul piano del mare […] Vedo solo colline”. Saper fare il giro di Pavese, anche se l’argomento e il modo e il territorio sono diversi, questo fa Offutt.
“Aveva del cibo, ma non aveva fame. Aveva una Jeep, ma nessun posto dove andare. Aveva un nuovo nome, ma nessuno che potesse chiamarlo.”
Virgil e Boyd Caudill sono due fratelli legatissimi, la loro è una famiglia delle tante che vivono nel cuore del Kentucky, terra aspra, di colline, boschi, dalla molta distanza da una casa all’altra. Lexington distante come se fosse New York; una famiglia come tante. Il padre è morto qualche anno prima, in qualche modo la madre li ha tirati su, loro due e una sorella.
Boyd è il minore, l’irrequieto, quello delle decisioni improvvise, l’eroe, quello senza paura, adorato da tutti, soprattutto da Virgil. Boyd muore, viene ucciso, tutti sanno da chi, tutti si aspettino, sorella e madre comprese, che Virgil lo vendichi. Così si fa da quelle parti, ed è il motivo di saghe familiari con incroci di vendette e sangue che vanno avanti anche per cent’anni. Virgil è un uomo buono, tranquillo, molto intelligente, di un’intelligenza nascosta, che aveva talento per lo studio ma vi ha rinunciato. Preferisce il lavoro manuale, arrivare stanco la sera. Vive in una roulotte non molto distante dalla casa di sua madre, spesso si lascia cadere steso sul terreno e guarda su verso le stelle. La sorella non dice ma si aspetta che Virgil vendichi Boyd, la madre non parla ma se lo domanda. Se lo aspettano il cognato, il vecchio direttore dell’ufficio postale, i tre compagni di lavoro di Virgil, se lo aspetta – lo suggerisce – addirittura il vicesceriffo. Virgil è diverso, sa che deve scegliere, sa che prima o poi dovrà vendicare suo fratello, ma dopo ci saranno due possibilità. Nel primo caso qualcuno verrà a ucciderlo come in un rimbalzo di morte da famiglia a famiglia, nel secondo caso dovrà andarsene lontano, lasciare che lo dimentichino e che lui si dimentichi di tutto e tutti.
“La cosa bella del West, è che tutti possono venirci e ambientarsi, perché per ambientarsi non serve molto. Lascia in pace gli altri e loro faranno lo stesso con te”.
Virgil sceglie, si trova un altro nome prendendolo da una tomba, con un piano perfetto chiede un'altra patente, un altro numero di previdenza sociale, sparisce e se ne va, lontano fino al Montana, nel freddissimo Montana. Virgil scappa, ma da se stessi non si scappa mai. In Montana ci arriva come Joe, è il posto ideale anche qui, la gente parla poco e puoi passare un intero inverno senza vedere null’altro che la neve che cade, ma Offutt non vuole raccontarci soltanto un uomo che si nasconde, vuole raccontarci la vita dei piccoli stati, e se sugli Appalachi il sangue si lava col sangue, nel Montana regna il culto delle armi. Virgil/Joe entrerà in contatto con un’intera comunità di suprematisti, razzisti, in rivolta contro lo stato. Gente che gira senza patente, senza documenti, che paga in contanti, evade le tasse, che vuole sfuggire al controllo del Governo, per restare libera. Joe non li capisce ma rimane, non sa dove altro andare, forse si innamora della sorella del leader di questo gruppo, il Kentucky gli manca, e non sa più bene dentro a quale corpo si trovi.
“Gli abiti gli avvolgevano il corpo, e la pelle era solo una borsa che si tendeva per contenere ogni volta una persona di dimensioni diverse. Dentro, però, erano tutti lo stesso mucchio d’ossa”.
Offutt – così come aveva fatto negli strepitosi racconti Nelle terre di nessuno o nel romanzo Country Dark (di cui avevamo scritto qui), sempre editi da minimum fax –, affonda nel cuore della grande delusione americana. Sullo sfondo della fuga e della ricerca solitaria di Virgil appare un paese sterminato – nel territorio e nelle libertà su cui si fonda –, un paese spaccato, senza pace, di gente senza passaporto, che non si intende, che molto spesso non conosce altro che un paio di strade, un paese violento e spaventato. Virgil è solo e malinconico, in fondo ha fallito ma non aveva altro destino; ma più grande è la malinconia che ci prende per gli Stati Uniti d’America, separati come non mai, colmi d’odio e di ignoranza; ci hanno raccontato di un paese libero ma nella maggior parte delle contee, alle spalle delle Highway è il razzismo a trionfare, la paura dell’altro, l’odio, la profonda ignoranza. Offutt alla stessa stregua di Carol Oates mostra il lato oscuro di una nazione che ha molti conti da fare con se stessa, una nazione che appare smarrita e senza valori. Virgil, Joe, il Kentucky e il Montana sono ciò che succede, ed è triste e, in qualche modo, spaventoso.