Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari / Sciascia cruciverba barocco
«Perché questo è da tener presente: delle cose scritte da Savinio non c’è briciola che non splenda d’intelligenza, che non solleciti – per dritto o per rovescio – a riflettere, a pensare; e a dare quel godimento che pensiero e riflessione danno a chi sa pensare e riflettere». Lo scriveva, nel 1988, Leonardo Sciascia, in un articolo pubblicato da “Tuttolibri” che viene adesso riproposto dal curatore Paolo Squillacioti in Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989) (Adelphi, 2016, 23 euro). E sono parole che si potrebbero adattare tranquillamente alle “cose scritte da Sciascia” sì da spiegare perché è molto utile, a più di 25 anni dalla morte dello scrittore, la pubblicazione di questi saggi letterari che erano stati pubblicati sulle più varie pagine ebdomadarie o in forma di prefazione a libri altrui ma mai prima d’ora raccolte in volume.
I lettori fedeli di Sciascia riconducono la sua attività saggistica a tre volumi: La corda pazza, dedicato a “scrittori e cose di Sicilia” (e, come tale, evoluzione del più lontano Pirandello e la Sicilia); Cruciverba, magnifica selezione di saggi che incrociavano su immaginarie (ma ben avvertibili alla lettura) caselle orizzontali e verticali i cortocircuiti suggeriti a Sciascia dal quotidiano commercio con le arti, i libri, gli uomini, le città; Fatti diversi di storia letteraria e civile, pubblicato nell’anno della morte, il fatidico 1989, come un’appendice del precedente, giocata fin dal titolo tra Gide e Croce. Postumi, a cura della vedova, uscirono L’adorabile Stendhal, che raggruppava i non pochi scritti stendhaliani di Sciascia (ma di Stendhal si parla anche in questo nuovo libro), e Per un ritratto dello scrittore da giovane, che sommava all’antico libretto eponimo sul giovane Borgese altre pagine critiche di fulminante efficacia, tra cui una splendida e precoce interpretazione di Jorge Luis Borges.
Arriva adesso questa nuova raccolta, allestita e annotata dallo stesso sapiente curatore della nuova edizione completa delle opere di Sciascia, edita da Adelphi. È Squillacioti a sottolineare che la scelta dei testi raccolti in Fine del carabiniere a cavallo è «ristretta a testi di argomento letterario (etichetta che va presa in senso estensivo) e che non pretende dunque di restituire un’immagine a tutto tondo dell’attività saggistica di Sciascia» e che ha operato una selezione anche cronologica, escludendo i saggi letterari scritti prima del 1956, l’anno di pubblicazione delle Parrocchie di Regalpetra, quello che Sciascia considerava il suo primo, vero libro. Ma ogni regola conosce un’eccezione, ed è proprio questa che dà il titolo alla raccolta: il sintagma “fine del carabiniere a cavallo” risale, infatti, a un breve scritto del ’55 nel quale Sciascia sottolineava il legame presente in tanta letteratura della prima metà del Novecento tra “ritorno all’ordine” formale e conservatorismo ideologico: sarebbe stata la pubblicazione di Conversazione in Sicilia a interrompere questo legame; tanto che, aggiunge Sciascia con un po’ di (raro e forse eccessivo) ottimismo, «a leggere oggi l’ultimo libro di Rea o di Pratolini, o l’ultimo “gettone”, appar chiaro che del carabiniere a cavallo ci siamo già liberati».
Un sintagma-metafora, segno di quell’idea fortemente militante di letteratura che appartiene anche ai saggi letterari di Sciascia, che si presentino o meno come recensioni; a tal proposito, può essere utile osservare che gli scritti meno recenti qui raccolti, quelli della seconda metà degli anni Cinquanta, si adeguano maggiormente alla forma tradizionale della recensione: come nel caso delle notevoli pagine su Calvino o di quelle su Casa Howard di Forster; e non manca mai, in queste recensioni, un cenno quasi sempre polemico alle scelte, agli errori e alle condizioni in generale del mercato editoriale, visto dall’ottica (insieme, esterna e interna) del giovane intellettuale meridionale che conosce questa realtà pur essendone ancora, nella sostanza, ai margini. Ma ne diventerà, poi, un protagonista importante, con le collane “inventate” per Sellerio, con i suggerimenti, più o meno ascoltati, dati a Bompiani e ad altri editori.
Col passare degli anni, il saggio letterario sciasciano prende sempre più la forma della divagazione a partire da un libro, non sempre di natura strettamente letteraria, così come d’ambito tutt’altro che letterario sono le considerazioni svolte dall’autore: semmai morale, politico, storico, sociologico. Basti leggere la seconda sezione del libro, Divagazioni sulla storia e la cultura europea, in cui risalta l’eccellente saggio-racconto La sesta giornata, del ’56, o le poco note pagine ispirate al suo «sguardo disincantato» (Squillacioti) dalla lettura di Controrivoluzione e rivolta di Marcuse, o, ancora, il tornito, fascinoso arzigogolo su Giraudoux e Pirandello. Certo, la lettura di questi «elzeviri storici e critici» (la definizione, impeccabile, è ancora del curatore) ci fa pensare che una forma come l’elzeviro, adattissima al procedere curvilineo della scrittura di Sciascia, era legata alla stagione rondesca del “carabiniere a cavallo”, che forse proprio finita non era.
In altri casi, il saggio sciasciano nasce a margine della pubblicazione d’un libro ma ne viene fuori, piuttosto, un ritratto, scorciato ma ricco, dell’autore, come nel caso di Leo Longanesi o Gesualdo Bufalino o, ancora, di scrittori su cui Sciascia voleva richiamare l’attenzione di un mercato editoriale particolarmente disattento (come nel caso di Enrico Morovich), o, infine, di scrittori amatissimi, come Brancati e Borgese o, prediletto su tutti, Savinio. Tutti esempi, insomma, di quel particolare procedere della sua pagina, reticolare e lineare insieme, frutto della «forte coesione interna del sistema concettuale sciasciano» (Squillacioti).
Se dovessi, per concludere, indicare un testo, tra quelli meritoriamente raccolti in Fine del carabiniere a cavallo, che riassuma a pieno le capacità che Sciascia aveva di tenere insieme letteratura e civiltà, libri e uomini, stili e idee, forse indicherei proprio l’ultimo, che nasce come recensione al romanzo Retablo di Vincenzo Consolo ma è un magistrale, sintetico esempio di cruciverba artistico e letterario, milanese e siciliano, illuminista e barocco: come quel romanzo dello scrittore amico, come i disegni e le pitture di Fabrizio Clerici che lo ispirarono e che tante volte ispirarono lo stesso Sciascia.