Céline e gli inediti ritrovati
Giugno 1944, sbarco alleato in Normandia. A Parigi Louis-Ferdinand Céline, al secolo Louis Destouches, accusato di collaborazionismo con i nazisti e dichiarato traditore della patria dalla Resistenza, fugge in direzione Gare de l’Est insieme a sua moglie Lucette (Lili) e al suo gatto Bébert. L’obiettivo è di rifugiarsi in Danimarca, passando per la Germania. Al quinto piano del numero 4 di rue Girardon a Montmartre l’autore del Voyage au bout de la nuit (1932) lascia, sopra un armadio, migliaia di pagine manoscritte per la maggior parte inedite. Il 25 agosto, mentre i coniugi Destouches sono ancora bloccati in Germania, il generale De Gaulle ponuncia il suo celebre discorso davanti all’Hôtel de Ville: «Paris libéré!». Parigi è libera. Inizia la caccia ai collaborazionisti.
A Montmarte alcuni esponenti delle forze di liberazione interna (FFI) fanno irruzione in diversi appartamenti, tra cui quello di Destouches e consorte. «Fossimo rimasti rue Girardon» – avrebbe scritto molti anni dopo Céline in Rigodon – «ci avrebbero subito presentato il conto […] scorticatura viva, primo tempo… secondo tempo, lardellato allo spiedo, e alle cipolline, peperoncini, a fuoco lento». Se i coniugi, insieme al gatto, scampano a tali cannibaleschi appetiti, diversa è la sorte che tocca invece a quel metro cubo di carta che giace sugli armadi dell’appartamento: sparito.
Fino alla fine dei suoi giorni (nel 1961 Céline muore nella sua casa di Meudon, periferia ovest di Parigi, dove si era trasferito nel 1951 al suo rientro dall’esilio danese) lo scrittore continuerà a recriminare il furto di quei manoscritti: «mi hanno preso abbastanza, svaligiato abbastanza, portato via tutto, […] eh, vorrei che mi restituiscano!» – si legge sempre in Rigodon, l’ultimo romanzo pubblicato postumo nel 1969. Evidentemente Céline era convinto (o sperava) che qualcuno nascondesse ancora quei fogli. E aveva anche fatto nome e cognome di quelli che sospettava essere stati gli autori del «saccheggio». Tra questi tale Oscar Rosembly, nativo di Poggiolo, personaggio alquanto oscuro. Si sa che durante la seconda guerra mondiale, per via delle sue origini ebree, si nascondeva presso il pittore Gen Paul, amico nonché dirimpettaio di Céline a Montmartre.
Rosembly conosceva bene il contenuto dell’appartamento di Céline, dove si recava regolarmente per tenere la contabilità dello scrittore. Dopo la liberazione lo ritroviamo tra le fila della Resistenza a Montmartre e autore, in questa veste, di irruzioni in diversi appartamenti abbandonati. Viene arrestato e incarcerato nel settembre del 1944 per “maneggi disonesti”. Liberato, si rifugia negli Stati Uniti dove trascorre un’esistenza anonima, salvo rientrare, negli ultimi anni di vita, a Poggiolo dove muore nel 1990. Anni dopo alcuni appassionati del caso Céline riescono a rintracciare la figlia di Rosembly che parla dell’esistenza, nell’archivio del padre, di carte céliniane che tuttavia nessuno riuscirà mai a vedere. Il tempo passa, tutte le piste battute dagli studiosi risultano vane, l’esistenza di quelle migliaia di pagine appare sempre più come un miraggio. Quei fogli non esistono più e, forse, non sono mai esistiti.
La morte di Lucette Destouches, all’età di 107 anni nel 2019, sembra definitivamente porre la parola fine alla leggenda di quei manoscritti. Quand’ecco che si produce il miracolo. Pochi mesi dopo la scomparsa della vedova, compare dal nulla tale Jean-Pierre Thibaudat – nome ignoto agli ambienti céliniani, già critico teatrale presso il quotidiano Libération – che rivela a un avvocato di essere in possesso di migliaia di pagine manoscritte di Céline.
A darne notizia per primo è Jérôme Dupuis che dalle colonne di Le monde il 4 agosto 2021 ricostruisce l’intera vicenda sulla base delle dichiarazioni di Thibaudat. Una quindicina d’anni prima, racconta quest’ultimo a Dupuis, un lettore di Libération (di cui non vuole rivelare l’identità) lo contatta con l’intenzione di affidargli alcuni documenti. Il giorno dell’incontro questi si presenta con degli enormi sacchi pieni di fogli manoscritti. La mano è quella di Céline. Alla consegna l’uomo pone una sola condizione: che non vengano resi pubblici prima della morte di Lucette Destouches, poiché, essendo egli di sinistra, non vuole in alcun modo “arricchire” la vedova di Céline.
Thibaudat si rende presto conto del tesoro che ha tra le mani, ma lo tiene nascosto per oltre quindici anni. Quando arriva il momento di uscire allo scoperto, contatta, tramite il proprio avvocato, gli aventi diritto dell’opera di Céline, ovvero Véronique Chovin (un’amica di lunga data di Lucette) e François Gibault (tra i maggiori studiosi di Céline e autore di una monumentale biografia dello scrittore). Questi ultimi sporgono denuncia per occultamento di refurtiva, non essendoci dubbio alcuno che quei fogli altro non erano se non i famigerati manoscritti trafugati nell’estate del 1944 dall’appartamento di rue Girardon.
Che cosa contengono dunque queste migliaia di pagine miracolosamente conservatesi per oltre 75 anni dalla loro misteriosa scomparsa? Intanto, riporta sempre Dupuis, 600 fogli inediti di Casse-pipe, romanzo incompiuto di cui fino ad oggi non restavano che alcuni capitoli; poi un manoscritto parziale di Mort à crédit (1000 fogli), romanzo pubblicato nel 1936; e un altro manoscritto, sempre parziale, di Guignol’s band (pubblicato invece nel 1944, lo stesso anno della fuga di Céline da Parigi). Interamente inediti sono invece La volonté du roi Krogold (sorta di saga medievale che Céline cita in vari luoghi della sua opera) e Londres (1000 fogli).
Quest’ultimo titolo lo si ritrova in una lettera del 16 luglio 1934 di Céline al suo primo editore, Robert Denoël (assassinato a Parigi il 2 dicembre 1945 in circostanze mai del tutto chiarite): «Ho deciso di pubblicare Mort à crédit, primo libro, l’anno prossimo Enfance, Guerre, Londres». L’editore Gallimard – presso la cui galleria parigina si è appena conclusa una mostra dedicata ai documenti appena elencati (Céline. Les manuscrits retrouvés, fino al 16 luglio) – ha annunciato la pubblicazione di Londres per il mese di ottobre di quest’anno. Intanto, però, è già in libreria da alcune settimane Guerre.
Si tratta della trascrizione, allestita da Pascal Fouché, di un altro nucleo manoscritto inedito (250 fogli in tutto) che gli studiosi ritengono essere il testo cui Céline accenna con lo stesso titolo (Guerre, appunto) nella detta lettera a Denoël. Ma la cosa appare tutt’altro che sicura, e quei 250 fogli – che narrano il ferimento in guerra e la successiva convalescenza in ospedale del protagonista Ferdinand (controfigura dell’autore realmente ferito al fronte nel 1914) – potrebbero anche essere solo un frammento di un progetto più ampio.
In attesa che i filologici facciano ulteriore chiarezza sull’effettiva natura di questi manoscritti (e sono al lavoro in questo senso Régis Tettamanzi insieme al massimo studioso di Céline Henri Godard), è certo, tuttavia, che l’insieme di questi fogli rientri in quello che lo stesso Godard ha una volta definito il «cycle de Ferdinand». Tale ciclo narrativo, che vede eroe protagonista il personaggio di Ferdinand, appunto, comprende Mort à crédit, Casse-pipe e Guignol’s band. La gestazione di queste opere copre un decennio decisivo della ricerca céliniana, ovvero gli anni 1934-1944 che segnano due svolte fondamentali nell’universo dello scrittore. Da un lato, a livello ideologico, lo sprofondamento nel pantano delle tesi di destra attivamente propagandate nei deliranti e odiosi pamphlets antisemiti (Bagatelles pour un massacre è del 1937).
Dall’altro, a livello stilistico, il maturare di quello stile inconfondibile dal ritmo sincopato e dal tono concitato che avrebbe caratterizzato tutte le future opere di Céline. Il paradosso, spesso sottolineato dalla critica, sta nel fatto che è proprio nei detti pamphlets che Céline elabora questa nuova modalità espressiva, in cui all’argomentazione si sostituisce l’imprecazione, al discorso l’ossessione ritmica, alla coerenza logica lo smembramento afasico. Il risultato – per dirla con Celati che di Céline è stato traduttore oltre che finissimo lettore (tanto da fornire attraverso Céline, come anche attraverso Joyce e la traduzione dell’Ulisse in particolare, una implicita e originalissima rilettura del modernismo europeo) – è «una forma d’arte che tende a un invasamento ritmico, come quello del jazz o della ritmica africana». Una sorta di rito esorcistico, insomma, un «incantesimo per alleviare l’orrore».
L’orrore in Céline ha un nome preciso. È ciò che scaturisce dal trauma che sta all’origine delle sue più profonde ossessioni e quindi dell’intera sua opera: la guerra. L’esperienza della prima guerra mondiale si ritrova esplicitamente nella pagine iniziali di Voyage au bout de la nuit, doveva essere l’argomento principale dell’incompiuto Casse-pipe, e campeggia nel titolo fresco di stampa dell’inedito Guerre. Dal punto di vista stilistico questo racconto lungo o romanzo breve è più vicino a Voyage che a Casse-pipe.
La prosa è più regolare, il tono meno concitato, pochissime le interiezioni, rari i punti esclamativi, pressoché assenti gli iconici tre puntini di sospensione. Si tratta tuttavia di una prima stesura, con numerosi interventi autografi, databile intorno al 1934, di cui non si conoscono altre versioni. Pare escluso che si tratti di capitoli espunti dal Voyage. Forse l’episodio doveva rientrare nella materia narrativa di Casse-pipe da cui però a livello stilistico appare, come detto, distante. Un romanzo bellico dunque? Nient’affatto, o almeno non nel senso proprio di tale tradizione letteraria. Come sempre in Céline anche in questo caso la guerra più che l’oggetto del discorso è un rumore di fondo, un rimbombo di cannonate in lontananza.
Il campo di battaglia compare esplicitamente solo nelle pagine iniziali, dove troviamo Ferdinand che si risveglia disteso per terra tra il sibilare dei proiettili e i cadaveri disseminati nella fanghiglia; il sangue rappreso tiene incollati al terreno l’orecchio e la bocca, ha un braccio che non riesce a muovere dal dolore e un brusio assordante nella testa. «J’ai toujours dormi ainsi dans le bruit atroce depuis décembre 14. J’ai attrapé la guerre dans ma tête. Elle est enfermée dans ma tête» (“Ho sempre dormito così dal dicembre del 14 in poi, nel rumore atroce. Mi son beccato la guerra in testa. È rinchiusa nella mia testa”).
Gravemente ferito, dopo varie traversìe Ferdinand viene infine ricoverato in un ospedale da campo nella piccola città immaginaria di Peurdu-sur-la-Lys (che rievoca la cittadina di Hazebrouck dove il brigadiere Destouches fu effettivamente ospedalizzato durante la guerra). È qui che si svolge l’intera vicenda che narra la convalescenza di Ferdinand fino al momento della sua partenza per Londra. A Peurdu-sur-la-Lys la guerra è una presenza latente che si manifesta attraverso i suoi riflessi: rumori di esplosioni in lontananza, feriti che arrivano in barella, casse da morto che balenano tra gli interstizi dei paraventi dell’ospedale, soldati che bevono nelle locande, truppe che attraversano la piazza.
Ma è proprio questo fondo minaccioso di orrore e di morte che incombe sulla cittadina a determinare l’esistenza e i comportamenti delle persone, amplificando istinti biologici e bisogni sociali normalmente relegati a un’esistenza sommessa. In tale contesto emerge allora uno dei motivi centrali del romanzo, ovvero l’eros nella sua declinazione più cruda e carnale del sesso. Non appena giunto, in stato di semicoscienza, all’ospedale di Peurdu-sur-la-Lys, un’infermiera masturba Ferdinand mentre questi, sorpreso, finge di delirare. Nell’evolversi della storia scopriamo che Mlle L’Espinasse, questo il nome dell’infermiera, pratica tale trattamento a tutti i ricoverati, e in particolare a Ferdinand col quale si spinge anche oltre.
In ospedale Ferdinand si lega d’amicizia con Bébert (il cui nome muta in Cascade nel corso della scrittura), un magnaccia che non smette di evocare nei dialoghi con Ferdinand le fattezze della propria moglie Angèle. Quando questa irrompe nel racconto, materializzandosi al cospetto di Bébert e di Ferdinand, la storia prende la svolta decisiva. Angèle, che lavora come prostituta, inizia a servire vari clienti, tra cui un alto ufficiale inglese, dimostrando subito una grande autonomia nella gestione dei propri affari.
Quando Bébert/Cascade tenta di rivendicare il proprio potere su di lei, Angèle lo denuncia alle autorità militari per automutilazione. Riconosciuto colpevole di alto tradimento, Bébert/Cascade viene fucilato. Angèle è ormai il personaggio centrale della storia. Ferdinand, sedotto dalla ragazza, accetta di divenire suo complice nei maneggi per estorcere più denaro ai clienti di lei. È così che ritroviamo Ferdinand coinvolto in una serie di quadretti pornografici, vere e proprie messe in scena orchestrate da Angèle in cui Ferdinand è chiamato a fare la parte del marito che irrompe nella stanza per cogliere gli amanti in fragranza di reato. Sul fondo comico si innesta l’elemento voyeuristico che si traduce in una compiaciuta e insistita descrizione di corpi avvinghiati nell’amplesso.
Che signifcato ha, rispetto alla guerra, questo ruolo così dominante della pulsione erotica nella pagina di Céline? Nella tradizione della letteratura bellica – come ha notato Pierluigi Pellini in un recente saggio sullo scrittore francese (La guerra al buio, Quodlibet, 2020) – le armi e gli amori sono sempre andati a braccetto nell’immaginario occidentale, fino a identificare «la libido erotica e il furor bellico»: l’amore come propulsore dell’eroismo, della disponibilità a immolarsi in battaglia.
Ebbene, nell’opera di Céline, invece, «le pulsioni sessuali» – osserva sempre Pellini a proposito del Voyage au bout de la nuit – «inibiscono ogni forma di eroismo, inteso come resa suicidaria al principio di morte». Alle ragioni del sentimento – sempre foriere, secondo la lezione del Voyage, di astratti furori patriottici, di romantici sentimentalismi, di mistificanti retoriche, e quindi, in quanto tali, sempre fatalmente votate al massacro – Céline oppone «le semplici e autentiche ragioni del corpo».
L’esaltazione della carne e il trionfo del coito che contraddistinguono le pagine finali di Guerre vogliono essere in questo senso un antidoto all’istinto di morte. Se l’eros inteso come negazione delle mistificazioni del sentimento, come emancipazione dall’obbedienza suicida, come esorcizzazione dell’orrore, è anche l’utopia di Céline, essa trova la propria proiezione figurativa in Angèle. Non è dunque un caso che proprio in chiusura del romanzo Ferdinand decida di abbandonare la Francia e la guerra per seguire la ragazza a Londra. «Tout le présent était pour Angèle, tout pour le cul. Le salut c’était par là», ovvero: “Tutto il presente era per Angèle, tutto per la fica. La salvezza passava da là”. Non resta che attendere la pubblicazione di Londres, annunciato da Gallimard per l’autunno, per conoscere il seguito della storia.