Fellini: fare un libro

31 Ottobre 2023

Nel 1990 l’editore fiorentino La Nuova Italia pubblicò un elegante volume in formato grande di Federico Fellini curato da Lietta Tornabuoni dal titolo La voce della luna. Tramite lettere, appunti diaristici, disegni, foto che accompagnavano una lunga conversazione con Fellini, il libro documentava il processo creativo di quello che sarebbe rimasto l’ultimo film del regista riminese. Sin dagli esordi il cinema di Fellini ha visto nascere intorno a sé tutta una serie di iniziative editoriali tra cui la più nota rimane probabilmente la collaborazione con Milo Manara per la trasposizione fumettistica del fantomatico Viaggio di G. Mastorna (Edizioni del Grifo, 1992). Eppure, a trent'anni dalla morte (avvenuta, come tutti ricordano, il 31 ottobre 1993), resta ancora da fare una storia dell’attività editoriale di Fellini.

Nel riordinare i materiali raccolti al fine di indagare questo avvincente capitolo della poliedrica opera felliniana, emerge intanto una data, il 1973: mentre nelle sale italiane debuttava Amarcord, dietro le quinte si consumava la “rottura” tra Fellini e Cappelli, il suo storico editore bolognese. I rapporti tra i due erano iniziati a metà degli anni Cinquanta per iniziativa di Renzo Renzi, che presso Cappelli aveva fondato la oramai mitica collana «Dal soggetto al film». In tale sede, a partire da Le notti di Cabiria (1957), sarebbero successivamente apparse – fino al Casanova (1976) – tutte le sceneggiature di Fellini, compresi i film scritti per la TV. Non solo: sempre per iniziativa di Renzi, Cappelli aveva pubblicato due volumi in formato grande riccamente illustrati e oggi pressoché introvabili, La mia Rimini (1967) e I clowns (1970).

Per il primo libro Fellini scrisse uno dei suoi testi più noti, dal titolo Il mio paese, che prefigurava già le atmosfere e i personaggi di Amarcord. Il secondo, invece, nasceva dagli innumerevoli materiali raccolti dal regista durante la lavorazione dell’inchiesta televisiva sui clowns e dalla proposta di Renzi di farne un libro. Il progetto, a cui collaborò anche Mario Verdone, entusiasmò Fellini a tal punto che oltre a vari clowns ormai “in pensione” (Red Skelton, Oleg Popov e altri), tentò di coinvolgere nell’impresa anche alcuni comici che ammirava e che evidentemente nel suo personale immaginario associava alla grande tradizione dei clowns. Primi fra tutti Groucho Marx e Charlie Chaplin, ai quali scrisse chiedendo loro un contributo per il libro (una testimonianza, una nota, un aneddoto o anche solo una fotografia autografata). Tra le risposte conservate presso il Fondo Renzi della Cineteca di Bologna si trova, ad esempio, la lettera di Groucho (poi confluita nel libro), che da Beverly Hills comunicava a Fellini la propria ignoranza in materia di clowns, associando alla noia quei pochi ricordi di spettacoli clowneschi a cui gli era capitato di assistere. 

I clowns, un volumone di 400 pagine corredato da uno straordinario apparato iconografico, fu pubblicato in dicembre in concomitanza con l’uscita del film nelle sale italiane. Nel corso del 1971 la pellicola circolò nei cinema europei e statunitensi, accompagnata sulla stampa da alcune riflessioni di Fellini estrapolate dal lungo scritto sui clowns, pubblicato col titolo Un viaggio nell’ombra nel detto volume cappelliano. Daniel Keel, fondatore e direttore del Diogenes Verlag di Zurigo, ne lesse un estratto sulla «Süddeutsche Zeitung» e ne rimase folgorato. Preso dall’entusiasmo scrisse a Fellini, che conosceva solo di fama, per chiedergli se esistessero altri scritti di tal genere sufficienti a comporre un libro di saggi felliniani. Fellini, con grande sorpresa di Keel, rispose a stretto giro di posta invitando l’editore a recarsi a Cinecittà per assistere alle riprese di Roma

In quei primi anni Settanta il Diogenes Verlag, fondato da Keel nel 1952, si era affermato come una delle realtà più importanti del mercato editoriale germanofono, grazie soprattutto alla collana dei tascabili «detebe», incentrata sulla narrativa. Della scuderia Diogenes facevano già parte scrittrici e scrittori quali Patricia Highsmith, Georges Simenon, Alfred Andersch, ai quali, qualche anno dopo, si sarebbe aggregato Friedrich Dürrenmatt. Una collana di libri per l’infanzia e una lussuosa serie di libri d’arte (specializzata nell’opera di disegnatrici e disegnatori contemporanei quali Topor, Searle, Flora, Ungerer, Anna Keel, Sempé) affiancavano la «detebe» fornendo a Diogenes un profilo editoriale chiaramente riconoscibile. In quello stesso periodo Fellini era all’apice della sua carriera, le sue interviste le sue fotografie persino qualcuno dei suoi disegni si potevano incontrare sfogliando riviste come Life, Vogue, Playboy: un’icona pop.

Fu in questo particolare clima congiunturale che avvenne dunque l’incontro tra Keel e Fellini. E fu l’inizio non solo di un lungo sodalizio editoriale ma anche di una profonda amicizia, testimoniata dal carteggio e dai frequenti viaggi di Fellini a Zurigo e dei Keel a Roma. Il primo volume felliniano stampato dalla casa editrice zurighese fu la sceneggiatura di Roma (1972), pubblicata nello stesso anno anche da Cappelli. Basta un rapido confronto tra le due edizioni per capire la natura del progetto editoriale di Diogenes.

Cappelli, nella già ricordata collana «Dal soggetto al film», stampava le sceneggiature felliniane con l’idea di documentare il processo creativo del film, e la stessa logica seguivano anche gli articolati contributi raccolti nei singoli volumi, quasi esclusivamente redatti dalle collaboratrici e dai collaboratori di Fellini. La collana si rivolgeva quindi ad un pubblico di nicchia, per non dire di specialisti, interessato a questo tipo di documentazione e di approfondimento sul film.

L’operazione di Diogenes, invece, aveva un taglio radicalmente diverso che si inseriva in modo intelligente entro i complessi meccanismi di produzione e di consumo culturale: sin dal volume d’esordio (Roma, appunto) le sceneggiature di Fellini venivano presentate come opere letterarie a sé stanti, paragonabili ai drammi teatrali di Anton Čechov. I paratesti inclusi nelle singole edizioni seguivano sempre lo stesso schema: oltre ad un’ampia scelta di materiale fotografico, completava il volume una selezione di affermazioni di Fellini sul film, ricavate dalle innumerevoli interviste concesse dal regista durante i “lanci” delle singole pellicole. Diogenes, insomma, mirava ad una platea più vasta e non a caso le sceneggiature di Fellini uscivano nella già ricordata collana economica di narrativa «detebe».

La mossa si rivelò vincente. Malgrado la scarsa commerciabilità delle sceneggiature le vendite si mantennero su livelli accettabili, tant’è vero che ad oggi Diogenes rimane l’unico editore ad aver pubblicato per intero l’opera “letteraria” di Fellini, eccezion fatta per le produzioni televisive. Un’operazione analoga fu tentata anche in Italia. Alla fine degli anni Settanta, infatti, Garzanti, dietro il coinvolgimento dello stesso Fellini, mise in cantiere sul modello di Diogenes la pubblicazione dell’opera omnia del regista riminese, in una serie eloquentemente intitolata «Tutto il cinema di Federico Fellini».

Gli agili volumetti con copertina nera ricordavano anche esteticamente le edizioni Diogenes. La serie fu inaugurata nel 1980 con ben tre volumi, Lo sceicco bianco, La città delle donne e Prova d’orchestra. Da Zurigo Keel, che aveva tutto l’interesse alla buona riuscita dell’operazione, guardava tuttavia con un certo scetticismo ai paratesti che erano stati inseriti nelle edizioni italiane (note di Oreste Del Buono, di Liliana Betti, di Andrea Zanzotto, un’intervista di Tornabuoni ad Alberto Sordi) e avrebbe preferito, a torto o a ragione, una trasposizione tel quel delle edizioni tedesche, che contenevano il solito collage di dichiarazioni felliniane. Fatto sta che dopo l’uscita di altri due volumi nel 1981 (La dolce vita e Le notti di Cabiria) il progetto garzantiano, viste le vendite disastrose, fu bruscamente interrotto per non essere mai più ripreso.

 

Ma torniamo al 1973. Di fronte alla consueta proposta di Cappelli in vista del prossimo libro da fare, cioè Amarcord, Fellini per la prima volta rifiutò le condizioni dell’editore bolognese. Il libro alla fine si fece lo stesso, ma il rapporto si era definitivamente incrinato. Fellini, infatti, aveva nel frattempo trovato un accordo con Keel, a cui affidò la cura di tutta la sua produzione letteraria (sceneggiature, saggi, premesse, introduzioni) nonché grafica (i disegni). Anche Einaudi aveva intanto ripreso i contatti con Fellini per rilanciare un discorso abbozzato molti anni prima circa l’edizione di una raccolta di sceneggiature felliniane per la collana «Saggi», dove già figuravano, tra gli altri, Antonioni, Buñuel e Godard.

Il volume – che comprendeva I vitelloni, La dolce vita, 81/2 e Giulietta degli spiriti – sarebbe uscito col titolo Quattro film nel 1974, accompagnato da un’introduzione di Calvino scritta ad hoc (la celebre Autobiografia di uno spettatore). Nello stesso anno Diogenes pubblicò ben cinque volumetti, ovvero 81/2, Amarcord, La dolce vita, Julia und die Geister oltre ad un libro di “saggi” felliniani, Aufsätze und Notizen.

Proprio quest’ultimo divenne oggetto di un significativo caso editoriale. Nei primi mesi del 1975 Einaudi acquistò da Diogenes i diritti del libro. Il progetto tuttavia restò in sospeso per via di alcuni nodi giuridici sorti nel frattempo tra Fellini e Cappelli nel perfezionamento del passaggio dei diritti all’editore zurighese. Soltanto all’inizio del 1977 il dattiloscritto di Aufsätze und Notizen, composto da Anna Keel e Christian Strich dietro approvazione dello stesso Fellini, giunse finalmente nelle mani di Nico Naldini, che per conto della PEA gestiva gli interessi del regista. Naldini manifestò qualche perplessità sullo scartafaccio proveniente da Zurigo, composto in gran parte da frammenti di interviste (recuperati in quotidiani e riviste internazionali), da qualche articolo giornalistico, da brevi prefazioni, nonché da qualche scritto più impegnato come i già menzionati Il mio paese e Un viaggio nell’ombra.

Il progetto parve arenarsi definitivamente dopo che anche Fellini scrisse a Giulio Einaudi per comunicargli che non intendeva più fare il libro: quegli scritti, ai suoi occhi, non trovavano nessuna giustificazione al di fuori dei contesti in cui erano nati e men che meno in un libro che avrebbe rischiato di dare di lui un’immagine falsa. E ci si chiede, allora, come mai Fellini non avesse fatto valere gli stessi scrupoli di fronte all’edizione tedesca (che peraltro era stata nel frattempo tradotta in varie lingue). Evidentemente, come a suo tempo suggerì Liliana Betti, l’alterità linguistica generò una sorta di estraneazione in Fellini, come se si trattasse «del libro di un altro». Comunque sia, vi erano dei vincoli contrattuali da rispettare e così nel 1980 Einaudi poté finalmente pubblicare Fare un film.

Il libro tuttavia era ormai un lontanissimo parente dell’originario Aufsätze und Notizen: oltre ad aver espunto alcuni testi estemporanei avvertiti come «apocrifi» («pareri, impressioni, giudizi, divertimenti, bugie, buttati là per telefono, a tavola, in macchina, e raccolti da testimoni affascinati ma il più delle volte infedeli come relatori», precisa la Betti), per interpolare qualche scritto pubblicato nel frattempo – tra cui, ad esempio, le riflessioni su Totò originariamente apparse nel volume di Orio Calderon (Totò, Roma, Gremese editore, 1980), oppure sul Casanova ecc. – Fellini riscrive, modifica, taglia, integra, cuce il materiale verbale per giungere ad un testo più coerente dal punto di vista sia contenutistico che stilistico. Di fatto un libro nuovo. Tradotto in spagnolo (1987 e 1999), francese (1996) e, solo di recente, anche in inglese (2015), nel mondo germanofono Fare un film non è mai stato pubblicato, mentre si sono susseguite negli anni (l’ultima, rivista e accresciuta, è del 2002) le ristampe di Aufsätze und Notizen.

Accanto a queste sfasature e discrepanze, resta il fatto che le iniziative di Diogenes funzionarono come una sorta di catalizzatore nella valorizzazione e diffusione internazionale dell’immagine e dell’opera felliniane, proiettandole entro una nuova dimensione mediatica e quindi fruitiva. È paradigmatica in questo senso la pubblicazione nel 1976 di Fellini’s Zeichnungen nella già ricordata e lussuosa collana d’arte «Club der Bibliomanen».

Se fino a quel momento alcuni isolati disegni felliniani erano apparsi in margine a qualche intervista pubblicata su rivista, oppure nei due oggi pressoché introvabili volumi sul Satyricon e su Amarcord curati da Betti e da Del Buono per Milano Libri rispettivamente nel 1970 e nel 1974, il libro edito da Diogenes fu il primo a valorizzare i disegni di Fellini in quanto vere e proprie opere a sé stanti, tanto che la prefazione fu affidata a Roland Topor (che in quello stesso periodo aveva realizzato i disegni per la scena della lanterna magica nel Casanova, e che già nel 1970 aveva inviato a Fellini un disegno da inserire, come di fatto avvenne, nel volume sui Clowns). I 180 disegni a colori raccolti in Fellini’s Zeichnungen (che fino al volume laterziano del 1982 curato da Pier Marco De Santi rimase la prima e più completa antologia dell’opera grafica di Fellini) confluirono in quella che fu la prima mostra in assoluto di disegni felliniani, ovvero Fellini: Zeichnungen allestita a Zurigo dal 3 marzo al 16 aprile 1977 presso la «Galerie Daniel Keel» (fondata dallo stesso editore nei primi anni Sessanta).

Un discorso analogo a quello dei disegni vale per la selezione di 400 delle più belle foto di scena tratte dai film di Fellini, pubblicate sempre nel 1976 nella stessa collana con prefazione, questa volta, di Georges Simenon. A questo progetto, il primo nel suo genere dedicato a Fellini e subito tradotto anche in francese e in inglese, seguì nel 1981 Fellini’s Faces, una raccolta delle più belle foto di facce di personaggi felliniani con introduzione dello stesso Fellini e prefazione di Ronald D. Laing. 

Di Fellini’s Filme nel 1979 fu pubblicata l’edizione italiana presso Gremese, dopo che Rizzoli, malgrado l’intercessione del regista, aveva rifiutato. Sempre a Diogenes si deve inoltre la pubblicazione del carteggio tra Fellini e Simenon (1997, tradotto da Adelphi l’anno dopo) nonché, nel 1995, la prima edizione (postuma) della sceneggiatura del Viaggio di G. Mastorna, pubblicata nello stesso anno anche da Bompiani (e successivamente nel 2008, in forma di «narrazione continua», da Ermanno Cavazzoni come libro inaugurale della collana «Compagnia Extra» presso Quodlibet). Con la morte di Keel nel 2011 (era nato ad Einsiedeln nel 1930) si chiudeva uno dei capitoli più significativi della storia, ancora da fare, di Fellini e dei suoi editori.

In copertina: Federico Fellini in un ritratto di Tullio Pericoli, 1984.

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