Cutro e la politica dell'oblio
Non pare azzardato pensare che, con la strage di migranti avvenuta sulle coste di Cutro, il governo italiano attualmente in carica abbia ottenuto il risultato che si proponeva di ottenere con il cosiddetto decreto-flussi. Da ora in poi ogni migrante, dopo aver messo la propria vita nelle mani degli scafisti, avrà ben chiaro che nessuno interverrà a salvarlo in caso di naufragio, né una ONG né la Guardia costiera, se non le forze dell’ordine, che tuttavia lo attenderanno sulla spiaggia, sempre che riesca ad arrivarci. È così che ha detto quel certo ministro degli interni italiano – li aspetteremo a terra.
Sembra siano trascorse non poche ore tra l’avvistamento della imbarcazione dei migranti e l’avvio delle operazioni di soccorso; probabilmente si sta cercando di conoscere la ragione di questo ritardo, che qualcuno già ora definisce omissione di soccorso, ma chi fa del dubbio non un esercizio sofistico, bensì una operazione logica, non può fare a meno di considerare che il ritardo sia stato in qualche modo calcolato o, per meglio dire, tacitamente pianificato.
Si tratta, in altre parole, di un inasprimento fattuale verosimilmente pensato secondo il medesimo schema di contenimento dei flussi migratori attuato dal famigerato gruppo di Visegràd. D’altra parte, i provvedimenti attuati da Minniti e da Salvini avevano dimostrato una qual inefficacia, di modo che bisognava che questo governo intervenisse più concretamente, capitalizzando il lavoro dei governi precedenti. Nondimeno s’immagina che presto ogni dubbio circa il ritardo dei soccorsi verrà dissipato, poiché il solo pensare che possa essere stato preventivato è, come ha affermato quel certo ministro degli interni, altamente lesivo dell’onore della – come è entrato in uso dire – nazione. Se non che, data la normativa in corso, è prevedibile, persistendo il conatus dei migranti ad esistere, che potrebbero esserci altre prossime volte, che accadranno di nuovo tragedie analoghe a quella appena accaduta, con modalità più o meno simili.
Bisogna però considerare che la normativa decretata dall’attuale governo non è solamente il frutto di una strategia attraverso cui l’Italia entra di fatto nell’alleanza politica e culturale dei suddetti quattro paesi europei, ma è soprattutto la dimostrazione della inadeguatezza o farisaismo dei governi che si autodichiarano capaci di affrontare le questioni dell’epoca attuale. Fintantoché non si sarà abbastanza franchi da ammettere che le migrazioni chiudono un ciclo storico iniziato con la scoperta dell’America, nel 1492, che segna l’inizio di tutte le strategie colonialiste, imperialiste, fondate su politiche estrattive, non sarà in nessun caso possibile considerare con la necessaria consapevolezza il flusso di milioni di esseri umani attraverso i continenti. Si assiste invece al dispiegamento di politiche nazionaliste ipocrite, che scientemente rimuovono i presupposti storico-politici alla base di plurimi esodi epocali.
Il fatto che si perduri a dubitare delle ragioni che spingono esseri umani ad abbandonare senza soluzione di continuità i luoghi di origine è l’espressione di un tale farisaismo che in tanto può dimostrarsi ancora sempre efficace, in quanto elaborato dall’alto (cioè da governi qualificati da un neoliberalismo ormai senza freni) e dal basso, già che per promuovere politiche di sterminio e di segregazione nei confronti dei migranti questi medesimi governi contano sul consenso di una parte della popolazione. La quale subisce passivamente le loro manipolazioni, inetta a porsi all’altezza della valenza storico-politica delle migrazioni.
Questa doppia azione, pertanto, dall’alto e dal basso, rende ancora sempre plausibili stragi come quella di Cutro. D’altra parte, come una grande storica dell’antichità ha mostrato, Nicole Loraux, le società si fondano sull’oblio – non sarebbe tuttora possibile sopravvivere dopo Auschwitz, e quanti individui lo hanno messo in dubbio, e quali poeti, senza questa attitudine eminentemente umana, e nessun giorno della memoria potrà mai portare un individuo umano a non obliare, se non ricorrendo allo studio ovvero alla lotta di classe.