Un libro di Stefano Levi Della Torre / Dio

4 Aprile 2021

Dio è una questione troppo seria per lasciarla ai soli credenti scrive, tra ironia e provocazione, Stefano Levi Della Torre, intellettuale scrittore architetto, nel suo ultimo libro intitolato Dio (Bollati Boringhieri), in cui sostiene che l'idea di Dio sia la chiave di volta dell'architettura del nostro universo culturale. Quella «koiné tra il Mediterraneo e la Mesopotamia e oltre» in cui siamo vissuti sinora e che, nonostante le diversità a mano a mano delineatesi, ancora ci fa sentire di appartenere a una comunità spirituale e intellettuale che non può negare di affondare le radici nello stesso terreno, di avere lo stesso spicchio di cielo sopra la testa e le stesse domande nell'anima. Oggi però, prosegue Levi Della Torre, stiamo affrontando per la prima volta nella storia umana l'impresa titanica di tenere in piedi questa immensa costruzione senza la sua chiave di volta; operazione che non è detto sia possibile e dei cui esiti ancora incerti è bene avere contezza. Infatti, al termine di una stimolante riflessione condotta per argomenti d'interesse o suggestioni, muovendosi con disinvoltura tra scienza filosofia e religione, l'autore conclude che siamo tornati in una situazione simile a quella da cui è nato il senso del sacro: la coscienza di non avere controllo su un mondo che sembrava abitato e condotto da una potenza soverchiante, di fronte alla quale l'essere umano si sentiva impotente. Per dargli ordine e forma, per controllarlo, per rispondere «alle pulsioni umane più profonde: la paura e il desiderio», sarebbe poi nata la religione che è «decifrazione e manipolazione del sacro». 

 

Fino a quando ha prevalso il paradigma mentale della fisica dei solidi, modello della razionalità positivistica, basato sulla proporzionalità tra causa ed effetto, l'idea di Dio inteso come origine e principio di tutto rientrava nella logica di causalità. Dio, allora, rappresentava l'ignoto ma, in quanto principio logico, ne offriva anche la spiegazione diventando così un antidoto all'angoscia provocata dal sacro. Oggi, invece, prosegue Levi Della Torre, ci troviamo in una situazione fluida in senso non solo metaforico ma letterale, perché dal modello della fisica dei solidi siamo passati a quello della fisica dei fluidi, che comporta la sproporzione tra causa ed effetto. L'incertezza e l'indeterminazione rendono impossibile il determinismo della previsione e mettono in discussione la fede nella razionalità positivistica. L'incertezza sistematica in cui viviamo può fare riemergere il timore primitivo di qualcosa su cui non abbiamo alcuna presa, dunque un ritorno del senso del sacro: «oggi il non sapere, o l'eccesso di informazione in cui l'arbitrio dell'opinione si sente legittimato a prevalere sul sapere, il senso di andar perdendo il controllo cognitivo degli eventi e della propria vita ripropone forse l'inquietudine del sacro e quindi forme di religione e di fede, nuove o tradizionali, a suo rimedio».

 

Nel suo testo Levi Della Torre tocca alcune scienze di cui non è esperto, come dice esplicitamente, ma di cui si mostra cultore attento e intelligente. L'idea di Dio, infatti, riguarda la totalità e la sua sensatezza, è onnicomprensiva pertanto si può dirla interdisciplinare, non è estranea ad alcun sapere. Chi se ne voglia occupare non può mai prescindere dalle conoscenze scientifiche, al punto che, come ha sostenuto un teologo e astronomo di notevole livello, Giuseppe Tanzella Nitti, quando c'è un'incongruenza tra un'affermazione teologica e una realtà provata scientificamente, è la prima che deve rivedere il suo asserto. Levi Della Torre si dichiara non credente, ma non vuole essere di quel tipo che «nel proclamarsi tale o persino ateo, sente ancora il brivido compiaciuto dell'anticonformismo, contro la diuturna prepotenza religiosa», perché la questione Dio va molto al di là della mera religione, in quanto vi è sottesa «la prospettiva della totalità e delle relazioni tra le parti in essa». Questo intende quando afferma che si tratta di «una questione troppo seria per lasciarla ai soli credenti». Riguarda tutti il dramma in cui siamo immersi, quel «conflitto tra un infinito senza senso e il senso dell'infinito» che ci portiamo dentro e ci tormenta. Ecco perché è così difficile fare a meno della rappresentazione mentale che chiamiamo Dio, della chiave di volta del mondo che da millenni andiamo costruendo, perché è proprio della natura umana il bisogno di dare alla realtà, alla vita e alla storia un senso e una prospettiva. 

 

 

Vorremmo che Dio fosse la risposta alle nostre domande esistenziali, afferma Levi Della Torre, ma in realtà Lui è piuttosto una domanda; se è una risposta, è un assioma. Ricorrendo al teorema dell'incompletezza di Gödel con cui si «dimostra che le concatenazioni che formano un insieme… dedotte da un assioma che ne suppone la coerenza, portate al limite, giungono a un'incoerenza», l'autore si domanda se e come si potrebbero superare le aporie dell'assioma Dio. Il problema, ammette, è che Dio anche qualora se ne voglia fare un assioma, sfugge alla logica causale. Detto in altre parole, il dio tappabuchi che serve per spiegare quello che ancora non si sa, era un idolo costruito dagli esseri umani ed è stato reso inutile e cancellato da molto tempo dalla scienza. Ma il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Gesù non serve a qualcosa, è qualcuno di cui si può dire qualcosa, a partire dalla Bibbia di cui il filosofo ebreo Abraham J. Heschel diceva che ci offre molte risposte ma noi ne abbiamo smarrito le domande. A differenza di Levi Della Torre, per Heschel il Dio biblico è una risposta se ci poniamo la giusta domanda; ad esempio non come, ma perché.

 

In questo saggio intenso e stimolante, piccolo se lo si rapporta all'immensità dell'argomento e ai tanti approfondimenti a cui sollecita – la concezione ebraica di Dio e quella cristiana, l'evoluzione nei secoli della teologia in rapporto alla parallela evoluzione delle scienze, la lettura spirituale ed esistenziale e così via – Levi Della Torre racconta due episodi dell'Esodo emblematici della relazione tra Dio e il mondo, o tra la totalità e le cose, tema centrale del suo libro. 

Nel primo episodio Mosè chiede a Dio di mostrargli il suo volto, ma questi risponde che è impossibile agli umani guardarlo senza morire, perciò gli permetterà di vederlo soltanto di spalle. L'autore cita l'interpretazione che Maimonide dà di questo brano: «il retro di Dio sono le sue tracce, i suoi effetti, vale a dire il "creato"», dunque vuol dire che possiamo vedere solo le conseguenze del suo agire nella natura e nella storia, d'altra parte il Dio biblico è un Dio d'azione. Egli in sé non ci appartiene, ci sfuggirà sempre, sarà sempre davanti noi, potremo solo seguirlo. 

 

Nel secondo episodio Mosè chiede a Dio di rivelargli il suo nome e Lui gli dice un nome impossibile da pronunciare affinché nessun essere umano possa pensare mai di averlo in pugno, né di definirlo a suo piacere, né di farne un uso magico, né di trasformare in un idolo il Dio vivente. E qui si aprirebbe il tema immenso dell'uso idolatrico della religione o dell'uso idolatrico del divino da parte della religione, il che testimonia quello che è allo stesso tempo un elemento di fascino del libro e un punto debole, ossia il toccare questioni di grande interesse e spessore accennandovi soltanto per poi lasciarle in sospeso.

Ad esempio, il problema del male e della sua incompatibilità con l'esistenza di un Dio buono, comprensibile e onnipotente come lo pensano ebrei e cristiani, di cui Levi Della Torre parla citando Hans Jonas che nel suo Il concetto di Dio dopo Auschwitz pone la questione: o non è completamente buono, perché potendo eliminare il male, non lo fa; o non è per nulla comprensibile, perché pur essendo buono e potendo eliminare il male non lo fa; oppure non è onnipotente, perché vorrebbe eliminare il male, ma non può. Levi Della Torre non riporta la conclusione cui arriva Jonas, a mio avviso molto interessante anche perché mette a tema il concetto di libertà, da lui un po' trascurato.

 

Per Jonas, l’unico attributo di Dio al quale si può rinunciare mantenendo la fede in un Dio buono e comprensibile è l’onnipotenza: ad Auschwitz Dio «non intervenne, non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo. Per ragioni che in modo decisivo derivano dall’esperienza contemporanea, propongo  quindi l’idea di un Dio che per un’epoca determinata – l’epoca del processo cosmico – ha abdicato ad ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo; un Dio che nell’urto con gli eventi mondani rivolti contro di lui, non ha reagito ‘con la mano forte e con il braccio teso’… bensì continuando con muta perseveranza la realizzazione del suo fine incompiuto… Concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza…» (H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, pp. 35-37).

La questione del male può essere affrontata, senza ricorrere al dualismo né rinunciare alla sensatezza del mondo, soltanto come dialettica di due libertà, entrambe assolute e non onnipotenti, l'una per scelta l'altra per natura; e in modo ancora più radicale come realtà che ha origine in Dio, lo ha sfiorato, per così dire, lasciando in Lui un'ombra. In che modo e perché si può dire questo è materia a fondo trattata da Luigi Pareyson in diversi studi. Riassumendo ai minimi termini e brutalmente si può dire che Dio, libertà assoluta e originaria, ha dovuto anch'Egli compiere una scelta (se c'è libertà ci deve essere sempre la possibilità di una scelta) tra restare perfettamente e pienamente interno a sé, oppure fare spazio all'esistenza di qualcosa di altro da sé, permettendo l'esistenza di una grande potenzialità: l'universo e la vita.

 

Restare fermo o iniziare le danze, fare sì che l'essere fosse oppure no. Una delle due possibilità è stata presa in considerazione e scartata: il non essere, il nulla, l'esistenza di niente; questa è la tentazione/possibilità che ha sfiorato Dio, ma è stata scartata una volta per sempre. Secondo questa interpretazione non esiste un dio cattivo accanto a uno buono; tutto viene da un solo Essere il quale, pur potendo scegliere il male (il non essere) ha scelto il bene, la vita, una volta per sempre. L'essere umano non è l'origine del male, ne è soltanto il colpevole, quello che da possibilità lo trasforma in azione concreta, in dolore e sofferenza. 

È detto nella Bibbia che Dio ha nostalgia per l'opera delle sue mani. Forse anche noi talvolta abbiamo nostalgia dell'idea di Dio, anche quando argomentiamo le ragioni del nostro non credere e magari un po' ci facciamo beffe di chi crede ancora. In un'intervista in cui presentava questo libro, Stefano Levi Della Torre ha ribadito più volte il suo non essere credente, eppure Dio sembra così intimamente presente nelle sue pagine e nelle sue parole, che a mi è sembrato quasi dicesse: Dio mi è testimone che io non sono credente.   

 

 

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