Rivoluzioni telefoniche / Il marketing ai tempi di Salvimaio
È notizia degli ultimi giorni l’ingresso della società francese Iliad nel settore della telefonia mobile italiana, con la promessa – nientemeno – di rivoluzionare le nostre vite, a colpi di tariffe “trasparenti e generose”, con tanti giga in spensieratezza, che spazzeranno via i privilegi di quei mangiapane a tradimento delle vecchie compagnie.
Il giovane e brillante amministratore delegato, nominato dal gruppo francese a guidare la divisione italiana, ha presieduto la conferenza stampa – per usare un termine démodé – di presentazione della compagnia e dei servizi, tenutasi rigorosamente a Milano e diffusa – scusate, condivisa – con varie dirette online e da tutti i principali media (si può rivedere tutto l’evento da qui).
Se è vero che il marketing riflette la società più di quanto non la anticipi, la #rivoluzione annunciata dalla società di telefonia francese Iliad, mentre inaugurava la sua campagna d’Italia, la dice lunga sulle mitologie e i sentimenti che pare domineranno la sotto-epoca postmoderna del post-casta, post-crisi, post-tutto. Sono gli anni dieci dei duemillenials.
Si dice keynote, ignorante
L’ingresso del CEO è anticipato da un mega countdown e video emozionali, il tutto corollato da una “Rivoluzione” a caratteri cubitali, scritta e rivendicata con e senza hashtag.
In tutte le periferie mondiali di San Francisco, via Tortona a Milano non fa eccezione, niente happens senza slide e telecomando. Se ne parlò tanto ai tempi della #buonascuola, oggi sono diventate un ricordo di renziana memoria, ad ogni modo confluito nel regno dell’ovvio (come il loro autore stesso, non ce ne voglia) e pertanto invisibili agli occhi. Un buon keynote event vuole che, alle slide, si associ tutta una configurazione di oggetti e temi specifici dello show: il nero e l’arredo minimalista; il buio della platea e l’occhio di bue sul palco; la folla in giubilo e risate a intermittenza, in attesa palpitante di sapere quanto poco costeranno i trenta giga in 4g. C’è qualcosa di sacro, in questa ostensione profana delle novità. Si racconta di un certo buonanima Steve Jobs che tramutò i giornalisti scrocconi in pubblico, e i clienti in evangelisti, perché non c’è miracolo senza miracolati.
Siamo gggiovani
L’Italia è il paese con meno giovani d’occidente. Come se non bastasse, il tasso di giovani inattivi resta drammaticamente il più alto d’Europa (i cosiddetti “NEET”). Il potere d’acquisto dei pochi giovani italiani che lavorano, inoltre, è infimo se paragonato a quello dei loro coetanei di pochi decenni fa. Questi dati contribuiscono alla diffusa irrilevanza dei “giovani” sotto più punti di vista, sociali, economici, politici e culturali.
In tempi di #rivoluzione, però, sfogliamo un giornale e vediamo discutere di politica leader trenta-quarantenni. Andiamo sui social e vediamo presentare l’ultimo miracolo telefonico dal competente CEO ventinovenne Benedetto Levi, tutto scarpe di tela e neolaureato con la startup, affiancato da un team di ragazzoni che lavora sodo in uffici parco-giochi con ampie vetrate.
Ora, se non vivessi in Italia avendo più o meno quella età lì (senza purtroppo gestire un piano d’investimenti da un miliardo di euro, ahimè), penserei: ma che paese straordinario per chi ha meno di trent’anni come me.
Peccato che, come marketing insegna, i trentenni non ci interessano tanto perché dobbiamo vendere loro il voto, piani telefonici convenienti o borsette di lusso che siano (tanto i segmenti di mercato anagrafici sono roba superata e, comunque, i giovani non hanno quattrini e sono bazzecole in termini di market share) ma, piuttosto, perché devo dare a una fascia di attempati e benestanti l’unica cosa che a loro manca: indovinate quale?
Noi e loro
Il semiologo Jean-Marie Floch chiamò “valorizzazione critica” quel posizionamento basato su leve quali la convenienza che, spesso e volentieri, viene promosso attraverso un confronto con le meno convenienti offerte dei competitor. Non è una novità: anni addietro, nel settore della telefonia ci provò già Tele2, mostrando in modo palese le tariffe più alte della concorrenza. Ed è tipico degli ultimi arrivati che, dovendo farsi spazio in un settore già affollato e tutto sommato indifferenziato, facciano breccia sul prezzo o altre valorizzazioni pratiche della propria offerta – in attesa di potersi ricollocare su una fascia premium e a margini economici più alti.
Tuttavia, in questa campagna lancio Iliad, colpiscono per la loro attualità i livelli e i modi di personalizzazione dello scontro con gli altri attori di mercato. Oltre alle precise e ben argomentate griglie di comparazione oggettiva, si dipana tutta una sofisticata costruzione del nemico, densa di quantomai ambigui noi (consumatori intervistati e giovani amministratori delegati, garanti della giustizia telefonica) e polemici loro, quelli che ci rubano un euro e cinquanta per la segreteria con la stessa viltà del compagno di classe rubamerendine. Non mancano veline su come, nelle segrete stanze di Fastweb, i consumatori siano considerati cognitivamente inabili a cogliere la differenza tra un mese e 28 giorni. L’infamia della casta degli operatori telefonici, che aumenta di 4 miliardi di euro i fatturati a suon di tariffazioni a 28 giorni, e adesso se la fa sotto perché non c’è più trippa per gatti.
Siamo davvero arrabbiati (cit.)
Ogni buon storytelling – lo ripetono dalle aule dei migliori corsi di marketing frequentati dal nostro buon Benedetto, fino all’ultimo dei food blogger – è un’opera minuziosamente scandita da sentimenti, preferibilmente semplici, sono quelli che porteranno l’interlocutore a schierarsi emotivamente e a trasformarsi in potenziale cliente. Ed è così che, dove gli argomenti razionali non arrivano, aiutano le passioni: dalle rivendicazioni numeriche sul furto, a mo’ di class action, si passa a una vera e propria presa della Bastiglia: «la gente è stufa stufa stufa marcia di un sacco di cose, siamo tutti stufi di un sacco di cose, non ne possiamo più di questa situazione, ma siamo anche abbastanza rassegnati perché sappiamo che tanto è così dappertutto, e allora cerchiamo un po’ il meno peggio […] c’è veramente una rassegnazione e un senso di basta incredibile. E ha veramente ragione la gente a non volerne più e ad essere stufa di un sacco di cose. Vediamo nel dettaglio di cosa è stufa in particolare la gente».
Quello che stupisce, per l’ennesima volta, è la sfacciata omologia tra i toni della campagna in questione e l’attuale dibattito politico. Ci sono il popolo e gli approfittatori, gli arrabbiati e i gaudenti, tutti rigorosamente ben suddivisi – come nelle migliori fiction. Se la metafora non fosse chiara, e ci fosse bisogno di aggiungere ancora qualcosa al “senso di basta” di noi, la gente espropriata dai soprusi delle élite telefoniche, aggiungiamo il tweet di endorsement del fondatore francese di Iliad, Xavier Niel: «È arrivato il quarto operatore mobile in Italia @IliadItalia Bravo Benedetto il primo Leader a ridare indietro i soldi agli italiani :) #Rivoluzioneiliad».
Basta!
Il bello delle rivoluzioni conservatrici è che, lungi dall’essere davvero collettive, agiscono seguendo una banale logica di delega. E la delega ai grandi – politici o venditori che siano – a noi italiani piace (d’altra parte i consumatori sono quanto di più simile ai bambini, insegnò un maestro).
L’eroe di turno, incaricato da una premiata società per le qualità estrinseche che al giorno d’oggi ne testimoniano la purezza mediatica (traduzione: giovane, laureato e sconosciuto), restituisce agli italiani quello che è loro dovuto, senza ovviamente chiedere niente in cambio. Delega a parte. Ma, soprattutto, senza chiedere ciò che a noi, bambini e consumatori pesa di più, che è sentirsi cattivi e, dunque, non ricompensati.
«Sappiamo cosa è stato fatto negli ultimi anni, sempre peggio di male in peggio, adesso ripartiamo da zero, con qualcosa non di meglio o di nuovo. Ma di completamente rivoluzionario, di completamente diverso. Proprio, ricominciamo a ripensare tutto, come vorremmo noi che fosse fatto, cosa vorremmo noi da una compagnia telefonica, cosa stiamo sognando noi ma non riusciamo a trovare». Pensare che in fondo non ci sarebbe niente di male, anzi, se a parlare così fosse soltanto chi ci chiede di amministrare il nostro credito telefonico.
Ça va sans dire, gli stessi rappresentati del popolo, intervistati poco prima per il cahier de doléance, vengono convocati di nuovo, ma stavolta perché le persone sanno «esattamente cosa vogliono, cosa stanno cercando e non trovano. Noi tutti sappiamo cosa vorremmo ma non riusciamo a trovare». Bastava chiedere, a saperlo prima.
Ed ecco, finalmente, come in un miracolo dell’abbondanza, comporsi passo passo nelle slide l’offerta “generosa” del nuovo provider Robin Hood che, come nelle migliori fiabe, coniuga prezzi mai visti a chiamate e messaggi illimitati. La botte piena e la moglie ubriaca, si sarebbe detto una volta. Flat tax e reddito di cittadinanza, direbbero i più maliziosi odierni.
La rivoluzione è sempre tre quarti fantasia
Chiudo la diretta Facebook dell’evento. La casta è sempre lì allo stesso posto, e nessuna rivoluzione né governo di cambiamento si vedono all’orizzonte. Umiliato dalla mia compagnia telefonica, che se la fa con gli altri a tariffe più basse, mentre nell’ultimo anno mi vessava con pretese di ogni sorta e rincari incondizionati del 50%, chiamo mia madre e mio fratello per convincerli che c’è una sola cosa che resta da fare, subito: #rivoluzione.