Miguel Vila / Padovaland, linguaggio e paesaggio

2 Gennaio 2021

Il percorso che Miguel Vila (Padova, 1993) propone nella sua opera d’esordio Padovaland (Canicola, collana “I Quindici”, 160 pp., 18 euro) offre uno spaccato estremamente a fuoco di quelle che sono le dinamiche interpersonali della generazione attuale, che comprende i nati degli anni ’90, (i cosiddetti millenials), la cui realtà quotidiana è permeata da un senso di smarrimento profondo. Nonostante il titolo, con un gioco di parole, rimandi ad una sorta di area geografica di fantasia, che prende il nome di Padovaland - insieme terra desolata e scintillante Luna-park - la porzione di realtà che viene raccontata è tutt’altro che “verde” e spensierata. Assume piuttosto dei tratti grotteschi, e i colori saturi e le geometrie video-ludiche delle vignette - che esasperano il piano della realtà in una sua eco virtuale - disegnano una periferia veneta asettica e straniante. È in questo paesaggio che l’autore inserisce alcune storie di ragazzi, o meglio ancora di ventenni (sul cui disegno ed espressività avrò cura di soffermarmi in seguito, ma anticipo già che alcuni volti e inquadrature sapranno catturare l’attenzione del lettore). Il paesaggio, oltre a costituire un vero e proprio nucleo tematico all’interno del fumetto, è anche il perno narrativo intorno al quale i racconti s’intrecciano. A questo proposito credo che si possa introdurre da subito una prima importante questione: quella del linguaggio urbano della periferia, vero e proprio oggetto di uno scrupoloso studio da parte dell’autore.

 

Miguel Vila.


L’ouverture di Padovaland è una sequenza aerea che costituisce un’intelligente ibridazione fra montaggio cinematografico, Google Maps e videogioco (viene subito alla mente Sim-City, il gioco di simulazione sviluppato negli anni ‘80). Scendendo piano piano di quota si ha come la sensazione di addentrarsi in pacifici contesti cittadini, ma la scelta delle immagini e il ritmo narrativo svelano atmosfere grottesche. Padovaland non è una miniatura inventata, non è una fantasia, ma documenta proprio la periferia veneta allo stato attuale, dove scompaiono i confini fra città e campagna. Se ci si sposta per un momento su una veduta satellitare della Lombardia, per esempio, risulta immediatamente chiaro che il fenomeno non è circoscritto solo alla pianura veneta, ma riguarda anche la pianura padana e in generale rileva una tendenza diffusa ad annettere, all’interno di sempre più invasivi conglomerati urbani, vaste porzioni di territorio. 

 

Miguel Vila coglie come il paesaggio sia da sempre lo specchio in cui si riflettono i cambiamenti interni delle comunità. Area geografica e condizioni climatiche accompagnano le possibilità dell’uomo. Così l’arte figurativa ha saputo ritrarre certi usi e strutture di un paradigma di pensiero dominante, servendosi della rappresentazione del paesaggio. Pensiamo all’affresco Effetti del buon governo di Ambrogio Lorenzetti, in cui il paesaggio è utilizzato come espediente per veicolare un messaggio simbolico. Al buon governo corrispondono una città operosa, ricca di vie, palazzi, botteghe e piena di ornamenti (bifore alle finestre, torri e rosoni delle chiese), e una campagna dominata da vigne, uliveti, strade e contadini al lavoro, simbolo della prolifica attività agricola. Tenendo presente questa forte interazione fra linguaggio figurativo e paesaggio, potremmo proseguire idealmente dal Lorenzetti e arrivare fino alla più recente industrializzazione, dove l’annientamento delle campagne e la creazione di aree di provincia più o meno vaste ha reso calzante la nozione di non-luogo coniata dall’antropologo Marc Augè. Col passare degli anni l’identità stessa delle città viene irreversibilmente messa in crisi, e si assiste ad un’attività edile dispersiva e sregolata, dalle importanti conseguenze per quanto riguarda l’incapacità di integrare i luoghi storici ed il passato di intere comunità. 

 

 

Nell’era dello sviluppo tecnologico, coloro che hanno avuto la lungimiranza di porsi il problema di come fare un “uso umano degli esseri umani” ha dovuto necessariamente richiamare l’attenzione sulla “continuità con il passato”. Mi riferisco a Norbert Wiener, la cui cibernetica mette in stretta relazione i concetti di “Linguaggio” e “Paesaggio”. Nell’Introduzione alla Cibernica, Wiener fa notare che “uno degli aspetti più interessanti del mondo è il fatto che esso può ritenersi costruito sulla base di pattern, vale a dire una disposizione caratterizzata dall’ordinamento degli elementi di cui si compone”. Nei disegni di Vila vengono più volte riproposti pattern differenti, disegnati con dovizia di particolari nell’intento di ritrarre una staccionata, una siepe e tutto quell’insieme ordinato di ripetizioni che creano un motivo nello spazio. 

 

All’interno del contesto urbano vengono inserite quattro macrostorie principali. Alla vicenda di Irene, giovane commessa che lavora all’interno di un grande centro commerciale, si affianca quella di suo fratello Fabio, studente di linguistica che ospita un ragazzo olandese per un progetto di scambio culturale. Giulia, amica di Irene, si trova indietro con la sua tesi di fotografia e vive un momento d’incertezza acuito dalle complicazioni con l’amicizia di Irene. Andrea, infine, è un ragazzo turbato vittima di una relazione dannosa e possessiva con la sua ragazza di nome Chiara. Pur mettendo in scena molto bene i rapporti confusi dei personaggi spesso i soggetti umani vengono volutamente lasciati fuori fuoco, proprio perché incapaci di essere pienamente presenti a loro stessi, mentre rimane riconoscibile la trama degli sfondi. L’atmosfera virtuale e straniante cui accennavo all’inizio dell’articolo viene rimarcata dall’utilizzo di vignette senza bordi, dalle forme precise di rettangolo, quadrato o cerchio come icone “social”. Tinte sature e l’utilizzo di una luce prevalentemente piatta contribuiscono a ricreare i pattern di un profilo Instagram. 

 

 

A non essere intaccate dall’inautenticità del contesto sono però le espressioni, i volti, le corporature dei personaggi. Con un tratto chiaro-scuro marcato sulle linee del viso si ottengono degli sguardi molto espressivi, che superano la patina di superficialità dietro cui sono velati, trasmettendo al lettore tutta la loro carica emotiva. La carnalità dei seni, dei fianchi e dei nasi puberali agisce in conformità con gli umori turbati e irrequieti dei personaggi. Dimostrando una forte sensibilità come disegnatore e come scrittore, Vila innesca una trama interessante, densa di episodi esplicativi, che riflette in maniera ponderata sui significati di amicizia, amore, comprensione ed empatia. La crudità di certe scene e i comportamenti meschini di cui Irene, Giulia e Andrea si rendono protagonisti inconsapevoli, riportati con vena documentaristica dall’autore, risultano attutiti da un linguaggio a fumetti che sceglie di mantenere una direzione positiva. Forse perché la prospettiva dello sguardo di un buon osservatore non lascia mai trapelare un intento giudicante e si rende compassionevole, senza per questo giustificare le miserie dei singoli individui, ma tentando di spingersi ad un livello più profondo di comprensione. 

 

 

Tornerei per un momento sulla consapevolezza storica, utile per comprendere il particolare taglio narrativo di Padovaland. Numerosi elementi dell’entroterra veneto fanno parte del fumetto, ampliandone la cifra stilistica. Uno di questi riguarda le caratteristiche proprietà terriere del quindicesimo secolo, immense ville signorili che cominciarono a sorgere nelle campagne a seguito dello spostamento degli interessi economici della Repubblica di Venezia. Fautore del successo della villa veneta è Andrea Palladio, i cui progetti hanno delineato uno stile architettonico ben riconoscibile. Una delle domande che sembra porsi il fumetto è: come dialogano con le strutture contemporanee i resti di questi edifici? Per il settore agricolo, sempre più industrializzato, questi ruderi di campagna sono ormai obsoleti e per lo più vengono lasciati in stato di abbandono. Sulla scorta delle soluzioni architettoniche passate s’innesta dunque la villetta medio-borghese moderna, che è massicciamente presente in periferia e dà origine ad una serie di disomogenee e contraddittorie combinazioni a cui non corrisponde un vero e proprio modello. Questi ibridi sono le abitazioni odierne e sono un elemento di narrazione molto forte all’interno del fumetto. Vengono raccontati anche gli spazi interni, l’utilizzo di vari materiali che traducono un gusto estetico confuso e impreciso. 

 

Ad ogni modo, l’interesse suscitato da questi particolari, ricostruiti secondo una coerenza stilistica e narrativa, genera un’atmosfera introspettiva, che riflette la vita e le emozioni dei personaggi. Il dettaglio di un muretto, o la riproduzione di un capitello dorico posto in giardino, apparentemente banale, acquista un significato se accostato ad un momento di sospensione di un dialogo, rivelando l’impossibilità della sua compiutezza. Ciò che colpisce è l’immediatezza con cui Vila restituisce al lettore l’intermittenza del linguaggio, della comunicazione che non ha modo di trovare un ascolto partecipe e che dunque non arriva a significare nulla. Sono i silenzi e le pause, le inquadrature sbilanciate del fumetto a farmi riconoscere come vulnerabile e scoperto nel momento in cui provo a mettermi in relazione con il mondo esterno. Ciò che caratterizza lo spazio scenico del racconto in realtà si sostituisce ad esso, in un costante lavoro di fondo dove è il luogo, la sua realtà fisica, a corrispondere alle possibilità relazionali ed emotive dei suoi abitanti. Tracciare una mappa di un determinato territorio corrisponde a disegnare una mappa cognitiva della collettività che si muove ed interagisce proprio con quel territorio.

 

 

Accennavo prima a come il “linguaggio fisico” della città condizioni il linguaggio e le modalità relazionali dei suoi abitanti. Vila si fa carico di questo aspetto importante, dimostrando con i suoi tratti chiaro-scuri e le palette di colori accuratamente selezionate, di avere piena consapevolezza e grande responsabilità nell’affrontare le difficoltà reali e le problematiche che riguardano la grande città globalizzata. È importante aprire mente e cuore per rendersi veramente conto che la nostra generazione sta vivendo un momento di estrema difficoltà sul piano degli affetti, del lavoro e vede diminuire giorno per giorno le proprie possibilità future. I “giovani” - categoria astratta con la quale in tanti, compreso chi scrive, vengono spesso catalogati - sono in realtà una risorsa di questo Paese: un’assenza totale di cura nei loro confronti è il segno di un fallimento profondo dell’intera società. 

 

Penso sia giusto, dunque, cogliere e riflettere sui numerosi spunti che offre l’opera di Miguel Vila, per proseguire con rinnovata fiducia nella ricerca di contenuti in grado di alimentare costruttivamente la riflessione intorno a temi così complessi. L’importanza d’instaurare un dialogo su questi temi, cercando il modo di mantenerlo il più vivo e autentico possibile, non va mai dimenticata. Comprendo bene quanto sia difficile provare a cercare l’altro. Ma una via di prossimità è possibile. Ne abbiamo la prova ogni volta che un autore porta dentro di sé un’opera, che ha bisogno di tempo e fatica perché possa raggiungere la sua forma definitiva ed emergere. Paradossalmente è proprio questa generazione così sofferente e bistrattata, a cercare nuove forme di comunicazione e di dialogo.

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