Su Bernie Sanders
Bernie Sanders. Classe 1941, nato e cresciuto nel Vermont, deputato dal 1991 al 2007, poi Senatore fino ad oggi. A occhio e croce, in Italia verrebbe considerato ‘vecchio’, anagraficamente e politicamente. Da rottamare, per intenderci. Negli Stati Uniti invece è proprio lui che, al momento, sembra rappresentare l’anti establishment del Partito Democratico, e risulta essere la persona più lontana da quelle logiche di partito delle quali Hillary Clinton evidentemente fa parte da decenni.
Ci vuole una ‘Rivoluzione politica’, dice Bernie al popolo delle primarie: college statali e assistenza sanitaria gratuita per tutti, spacchettamento delle grandi banche di Wall Street, iper tassazione verso la fetta più ricca dei contribuenti americani, rappresentata da un simbolico 1%, che detiene la stessa ricchezza del 90% della popolazione. Un programma a dir poco ambizioso, che in Iowa (ma anche altrove) ha infuocato soprattutto gli elettori dai 17 ai 29 anni: i consensi provenienti dai giovani sono stati intorno a un incredibile 84%.
Ciò che manca all’interno del programma è un po’ di concretezza, affermano alcuni: questa è forse la sensazione osservando Bernie e Hillary durante i dibattiti televisivi. A tratti sembra che alcuni slogan dei due siano molto simili, addirittura che condividano degli obiettivi, ma è sul loro modus operandi che la differenza emerge con chiarezza. È qui che l’idealismo che caratterizza la campagna di Bernie si scontra con il pragmatismo e la concretezza dell’ex First Lady. Un primo esempio potrebbe essere l’universal healthcare (l’assistenza sanitaria per tutti). Bernie sostiene sia un diritto per tutti (come lo è nei paesi europei), e lo vuole attuare con una maxiriforma da miliardi di dollari senza però aver chiarito il piano economico per realizzarla; Hillary invece propone un allargamento progressivo dell’“Obamacare” promettendo ai suoi elettori di raggiungere il medesimo obiettivo senza l’estenuante e insidiosa battaglia da condurre all’interno di un Congresso ancora a maggioranza repubblicana. College pubblici (altro esempio): Bernie s’impegna a renderli completamente gratuiti per tutti, attraverso una riforma del sistema Istruzione, investendo miliardi e miliardi di dollari provenienti da tasse sulla speculazione di Wall Street. Hillary invece propone di raggiungere l’obiettivo impegnandosi sulla gratuità solo per le fasce più disagiate, mentre per la restante popolazione l’intervento verrebbe attuato con un abbassamento dei tassi d’interesse sui prestiti per studenti che volessero accedere ai college (in America i costi per un percorso formativo in college pubblici vanno in media da un minimo di 9.000$/anno a un massimo di 24.000$/anno).
Fino a poco tempo fa sembrava che tra i giovani americani ci fosse una grande frustrazione nei confronti di un sistema politico che non riusciva più ad attuare il rinnovamento di un sistema ormai stantio e proporre nuovi modelli di sviluppo. A quanto pare, tuttavia, da un lato il Senatore del Vermont e dall’altro Donald Trump stanno riuscendo a coinvolgere elettori che mai si erano interessati di politica. I due ‘estremisti’ stanno rappresentando un canale di sfogo non indifferente.
Sanders è riuscito a coinvolgere i giovani (e non solo) in primo luogo grazie alla sua immagine di genuinità. Da questo punto di vista, le peculiarità dell’anziano Senatore del Vermont come il suo strano accento e la sua postura ingobbita hanno attratto la simpatia di internet, che ha rilanciato la sua immagine con grande ironia e freschezza. Inoltre, il Senatore si è autodefinito ‘socialista’ durante un dibattito televisivo. Il minimo che possa provocare un’affermazione del genere negli Stati Uniti è un sussulto dello spettatore: Sanders è stato infatti il primo politico che dal dopoguerra ha utilizzato negli States questo “termine” con valenza positiva, cioè identificandosi come portavoce di un’ideologia sino ad oggi sostanzialmente bandita. È probabilmente il suo dichiararsi così clamorosamente ‘diverso’ ad aver attirato moltissimi voti. È inoltre la prima volta in cui un candidato parla per certi versi degli Stati Uniti come di un paese arretrato. ‘Il paese con più detenuti al mondo’, ‘quello con il più alto tasso di povertà infantile tra i maggiori paesi del mondo’, ‘l’unico paese in cui la sanità pubblica non è considerata un diritto’: queste sono le frasi che il Senatore del Vermont utilizza per chiedere cambiamento. Evidentemente una novità, considerando la prassi che impone ai candidati di parlare dell’America come un modello di riferimento. Infine, la sua rinuncia ai finanziamenti provenienti dalle superPACs (le corporations) è un’altra novità assoluta all’interno delle campagne presidenziali americane.
Nonostante tutte queste caratteristiche, sembra che le minoranze siano ancora inclini a votare per Hillary, candidato storicamente vicino sia agli afroamericani sia ai latinos e che può vantare nel suo curriculum vitae diversi voti a favore delle riforme dell’immigrazione, a differenza di Sanders.
Dopo essere stato sconfitto di misura in Iowa e aver stravinto in New Hampshire (dove non a caso la stragrande maggioranza dell’elettorato è bianco), le speranze per Bernie sono in crescita, anche se la sconfitta di pochi giorni fa in Nevada ha rappresentato uno stop non indifferente, che rischia di porre fine al suo gigantesco momentum.
A mio modo di vedere, il suo approccio potrebbe risultare nonostante tutto inadeguato all’attuale fase politica, che ha bisogno di un presidente-negoziatore che sappia creare un’intesa con i Repubblicani e che, a piccoli passi, custodisca e allarghi l’eredità di Obama in politica interna ed estera. È soprattutto su quest’ultimo tema, la politica estera, che Bernie viene considerato inferiore alla Clinton. L’ex Segretario di Stato non solo può vantare una diretta esperienza sul campo, ma anche il fatto di godere della piena fiducia di Barack Obama, ancora graditissimo tra gli elettori Democrats.
La considerevole eredità politica di Sanders, anche se dovesse essere sconfitto, non andrà però persa. Anzi, nei prossimi anni potrebbe essere custodita e poi replicata da un altro candidato, magari più giovane: tra otto anni.