Michael Jakob: Leonardo e il dipinto scomparso

22 Luglio 2024

C’è un momento, tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, in cui gli amori tra Leda e Giove sotto forma di cigno diventano uno dei temi preferiti di pittori e committenti. Al netto dell’impatto erotico della figura della bellissima donna e della compiaciuta spregiudicatezza della rappresentazione dell’accoppiamento teratologico, ci dev’essere qualcos’altro. Nei secoli precedenti era prevalsa, al solito, una lettura moralizzata della vicenda, come era avvenuto per Ovidio: una volta che decidi che una cosa ne rappresenta un’altra, passa tutto, anche il peggio, e lo sconcio il mostruoso e l’osceno diventano ammissibili senza nessuna remora o pudore, fino a significare il loro opposto (Giove letto come lussuria, potere, violenza e Leda come ingiuria, adulterio e peccato, vengono anche interpretati come lo Spirito santo e Maria; Caritas e Venus; Voluptas e Virtus; per tacere della lettura neoplatonica, quella più accreditata per Leonardo…). Poi le cose cambiano radicalmente. Il primo a occuparsene, anche in questo caso, è stato Leonardo, che manco ci pensava a essere il primo, e forse per questo lo è stato così spesso. Che abbia derivato l’interesse da letture, marmi o medaglie antiche, o abbia elaborato il problema di propria iniziativa tenendo conto solo del nudo racconto, Leonardo ha recuperato il mito e ne ha fatto oggetto di disegni e opere che sono stati ripresi dai suoi allievi e epigoni o sono serviti da pietra di confronto per altri autori contemporanei, che copiavano tutto quanto di buono e interessante gli capitava di incrociare. La storia delle opere rimaste del grande toscano e dei suoi successori con questo soggetto è molto interessante e piena di accidenti e di veri e propri incidenti, spesso voluti.

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Qualche anno fa ad esse è stata dedicata un’ampia mostra con un accuratissimo catalogo, Leonardo e il mito di Leda, a c. di G. Dalli Regoli, R. Nanni e A. Natali (SilvanaEditoriale, 2001), che ha presentato e studiato disegni, opere di scuola, copie di grandi contemporanei (per esempio, tra i più tempestivi, Raffaello) e ricostruito vicende relative alla diffusione del motivo nella classicità e nel medioevo, degli originali di Leonardo e di importantissimi successori, come Michelangelo, Rosso Fiorentino, Pontormo e Correggio. Ma su alcune di esse, per quanto studiatissime, permane una coltre di mistero.

Sulla storia degli originali leonardeschi e sugli enigmi che li circondano si è soffermato ora Michael Jakob, comparatista e teorico del paesaggio (tra i numerosi libri tradotti in varie lingue si vedano almeno Il paesaggio, Il Mulino 2009; Sulla panchina. Percorsi dello sguardo nei giardini e nell'arte, Einaudi 2014; L’architettura del paesaggio, SilvanaEditoriale 2020; La capanna di Unabomber. O della violenza, LetteraVentidue 2020), che ne ha fatto il perno del suo primo romanzo, La Leda scomparsa, appena uscito presso SilvanaEditoriale. 

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Il romanzo si muove su due piani che si rispecchiano e rimandano l’uno all’altro dividendosi a loro volta in due coppie che poi convergono nel finale in una apparente, provvisoria unificazione. La duplicità, e la doppiezza, sono uno dei motivi ricorrenti del romanzo, peraltro, come gemelli e gemelle sono le due coppie di figli di Leda (Elena e Clitemnestra; Castore e Polluce); come due sono i capolavori inseguiti (Michelangelo, oltre a Leonardo); e due le posture principali di Leda: stante e recubans… ; senza contare le coppie vero-falso  e originale-copia che attraversano gran parte delle vicende narrate.

La prima coppia è quella relativa all’ossessione che il protagonista, il maturo Francesco, giornalista torinese divorziato, di carattere solitario e scontroso, prova per la Leda di Leonardo, il cui originale è stato forse smarrito o non è mai esistito (anche se di recente Annalisa Di Maria, Jean-Charles Pomerol e Nathalie Popis hanno sostenuto che sarebbe quella che si è sempre ritenuta una – peraltro bellissima – copia di Cesare da Sesto ora conservata in una dimora nobiliare inglese: si veda: Léda et le Cygne de Léonard de Vinci à la Wilton House, © 2023 ISTE OpenScience – Published by ISTE Ltd. London, UK – openscience.fr) di cui restano vari disegni, alcuni meravigliosamente compiuti e altri abbozzi a vario livello di definizione (molti riportati nel libro). 

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Gruppo di Leda e il cigno replica di età tardo adrianea (fine del primo trentennio del II sec d.c.).

L’ossessione che porta Francesco a ricostruirne la storia e a seguire le tracce del presunto originale, prima presso i discendenti del Salaì, discepolo prediletto e modello di Leonardo che ha dato il suo volto a numerose figure maschili e femminili (il Battista, la Vergine in più opere, forse la stessa Leda…) e poi presso gli eredi di vecchie famiglie nobili con cui Leonardo e altri personaggi che hanno ruotato attorno a quelle opere sono stati in contatto in Italia e in Francia.

Condotto da alcuni documenti a Lione, Francesco incontra Adèle, ragazza manco a dirlo bellissima e reduce da una storia infelice con un giovane implicato nel furto di opere d’arte e nel commercio dei falsi, che si era formata all’accademia di quella città e lavora in un’importante galleria d’arte, che lo approccia in un caffè e si innamora di lui, ricambiata (e vorrei vedere) senza sospetto dell’improbabilità dell’incontro, che infatti non manca di sorprendere l’unico suo amico, e che poi lo aiuterà nelle sue ricerche. E questo è il secondo livello. Due storie d’amore. La prima, ideale: “Una passione cominciata sui banchi del liceo” (p. 15), di quelle che si consumano subito, con una violenta fiammata, o che vicevrsa durano tutta la vita, resistendo a pause, lontananze, fidanzamenti e matrimoni, sempre pronte a ravvivarsi e rinnovarsi, intense perché mai appagate, mai sottoposte alla prova della realtà. La seconda reale, e felice, persino estatica (sono i primi mesi), anche se non esente da illusioni, come si conviene a queste storie, e da rischi di rotture e delusioni.

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Study for the Kneeling Leda.
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Leda inginocchiata, Kassel.

La seconda coppia è quella della ricerca, che si sdoppia in un’indagine che avrà anche dei risvolti polizieschi, con i suoi furti pedinamenti e persino un paio di delitti,  e in una quête in cui le indagini sulle opere sono solo un aspetto di quella sul significato, il ruolo e gli effetti della bellezza e del desiderio, che si prolunga indefinitamente e che a volte è opportuno che rimanga tale, perché il suo esaudimento, il ritrovamento del suo presunto “vero” oggetto, espone all’abisso della domanda decisiva che spesso in questi casi resta non formulata, e che infatti Francesco non si era mai posto mentre Adèle la enuncia presto in modo esplicito e crudo: “e adesso?” Cosa succede, cosa c’è dopo, una volta trovato l’originale e risolti gli enigmi? Una volta spenta l’ossessione? 

La narrazione è alternata dai saggi e dagli abbozzi che Francesco aveva scritto per fare il punto dei suoi studi e scoperte sulle opere e le loro peripezie, e dove espone le sue teorie, che proiettano sulle vicende e sui protagonisti una dimensione speculativa e rimandi di ordine simbolico che tuttavia, anziché appiattire come spesso avviene, ne arricchiscono lo spessore e le implicazioni. 

Così Jakob non costruisce solo un giallo che si intreccia con una storia sentimentale, ma indaga anche sul fascino profondo delle immagini, sulla loro pericolosità e sulle passioni che suscitano e che mettono in pericolo la loro stessa incolumità e esistenza. Eventi e personaggi vengono come alonati, amplificati e insieme assorbiti, dalle riflessioni sul tema e sulle reazioni a cui ha dato luogo nel tempo (presso possessori e spettatori che spesso si sono scagliati contro le opere arrivando persino, a volte, a deturparle o distruggerle, secondo una prassi comune a tutti i luoghi e i tempi, inclusi i nostri), e sul mistero ancora più grande della bellezza assoluta che Leda impersonifica già per Leonardo (non a caso è il suo “unico nudo femminile”: una “bellezza vertiginosa” che si traduce in  “violenza pura” che sconvolge chi vi entra in contatto), indissolubile da quello della donna e della vita. Kerény (Gli Dei e gli Eroi della Grecia, Garzanti, 1976, vol. 1, p. 101-2) scrive che “Leda non è parola greca. Presso i Lici dell’Asia Minore lada significa “donna”. Forse Zeus celebrò le sue nozze di cigno con una dea che – a parte la Madre Terra – era il primo essere femminile al mondo e che appunto perciò poteva chiamarsi anche semplicemente Leda, “la donna”.”

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Leda e il cigno, Michelangelo.

Adèle ne è forse la reincarnazione, come suggerisce il fatto che il suo nome, esclusa la “e” muta finale, è il riflesso speculare di quello di Leda. Francesco però è ben lungi dal sospettarlo, nemmeno quando la sua perdita lo ferisce in modo ben più doloroso di quella suscitata dall’assenza del capolavoro che lo ha perseguitato per tutta la vita.

La ricerca della Leda perduta si tramuta nella scoperta di Adèle presente: l’ossessione per l’una diventa la passione per l’altra che tuttavia sembra non riuscire a scalzarla, se non quando lei, delusa, lo abbandona, quando cioè essa pure si dilegua. Quando finalmente ha la certezza di aver ritrovato l’originale tanto sognato e di avere accanto una donna che sembra disegnata apposta per lui, la perdita del quadro viene raddoppiata da quella di Adèle, che mette fine ad ogni indagine svuotando di valore anche gli studi condotti per trovarlo, cioè la vita precedente di Francesco, quello che aveva costituito il suo asse. “Il senso della tua vita è aver cercato un quadro? – gli dice la ragazza – Mi fai pena”. Adèle se ne va, tutti gli scritti finiscono gettati nella Dora, l’opera per un attimo recuperata viene sequestrata e gettata in un magazzino tra le cianfrusaglie di altre refurtive senza che nessuno si accorga di cosa nasconde. Tutto sembra concludersi senza resti, azzerato. Sparisce ogni cosa: persone, appunti, opere vere e false, la donna amata. Anche se la storia riserva un colpo di coda sorprendente che ovviamente qui verrà taciuto. 

Così La Leda scomparsa, iniziato sotto il segno di una ricerca di un quadro, si trasforma in una riflessione sulle cose che più danno valore alla vita: l’arte, la bellezzae l’amore, viene pian piano a configurarsi come una parabola di cosa resta di un’ossessione una volta che trova la sua (sperata) risoluzione reale e che quella che era la principale ragione di vita trova il suo appagamento. Quando cioè uno si accorge che il suo affannarsi altro non era che una costruzione surrettizia per dare un senso, per tappare un vuoto, una carenza essenziale, che persino l’amore sembra non poter colmare, per quanto sia l’unico che in realtà si avvicini a riuscirci, finché dura, ma che infine permane, e retrospettivamente (in modo crudele quanto errato) getta un’ombra di insensatezza su tutto il percorso precedente e un sigillo di inutilità su ogni azione finalizzata al conseguimento di un risultato (cioè di un utile).  Solo l’approdo al gratuito, l’accettazione del rischio che comporta accettarlo senza residui o sospetti, potrebbe essere una soluzione. Provvisoria come e più di tutto il resto, ma a ben vedere l’unica possibile.

Michael Jakob, La Leda scomparsa, SilvanaEditoriale, 2024.
 

In copertina, Leda e il cigno, opera di Leonardo.

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