Bill Viola, la luce liquida

15 Luglio 2024

“Mi sono reso conto che il luogo più importante in cui esiste il mio lavoro non è la galleria o il museo, lo schermo o il video, ma la mente dello spettatore che lo ha visto”. Così scriveva Bill Viola nel 1989. È una constatazione che può essere generalizzata: in fondo, la memoria è il luogo in cui vive tutta l'arte, nonché quello in cui tutti riscattiamo, almeno per un po', la morte delle persone e delle cose che ci sono care.

Nel caso di Bill Viola, tuttavia, questa idea della memoria come spazio espositivo ha un senso più preciso e pregnante, perché il tempo – il tempo delle immagini – è il medium su cui questo artista ha lavorato; e memoria e attesa sono i due modi essenziali in cui il tempo si manifesta a noi. Perciò è un triste scherzo del destino che a portarlo alla morte sia stata proprio la malattia che corrode la memoria: Bill Viola si è spento qualche giorno fa, il 12 luglio, nella sua casa di Long Beach in California, per le complicazioni dell'Alzheimer. Aveva solo 73 anni.

Ho visto cosa fa l'Alzheimer: mia madre è morta così. È come un lento, tragico naufragio della memoria: i ricordi affogano, uno dopo l'altro, inghiottiti dal mare nero dell'oblio. E con la memoria se ne va anche l'identità, scolorendo nell'acqua in cui affondano quei pezzi di vita.

Non so se questa immagine si sarebbe affacciata alla mia mente se non avessi visto un'opera molto intensa di Viola, nella mostra a lui dedicata l'anno scorso a Palazzo Reale a Milano.

Il titolo è Ocean without a shore (tratto da un verso del mistico sufi Ibn Al'Arabi: «Il sé è un oceano senza riva») e si presenta come una cappella in penombra, con una grande pala frontale e due laterali più piccole (la prima installazione avvenne durante la Biennale del 2007, nella chiesa di San Gallo a Venezia): tre schermi verticali si stagliano nel buio come rettangoli di nebbia; in ognuno si intravvede una silhouette umana grigiastra, immersa in un fondo più scuro, che si avvicina o si allontana con estrema lentezza. Allora mi sono sembrati fantasmi, ma ora, nella mia mente, diventano personificazioni di ricordi: i più vicini emergono attraversando la soglia della memoria, che Viola ha realizzato con uno dei suoi effetti spettacolari: una lama d'acqua che sembra “scansionare” e colorare le figure investendole di una luce tagliente e nitida ad alta risoluzione. Per un lungo momento diventano vivi, in tutta la loro corporea presenza; poi lentamente tornano a riattraversare la soglia sprofondando nell'oblio.

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È un'immagine indelebile dell'azione dell'Alzheimer, se di questa processione ritagliamo solo la direzione verso il fondo. Ma è anche un'immagine efficace dell'azione dell'arte, se consideriamo l'opera nella sua interezza. L'acme di Ocean without a shore è infatti il momento dell'affioramento, quando le immagini emergono prendendo vita così intensamente da poter sentire il loro sguardo come se fossero davanti a noi in carne e ossa. Quella cortina di luce liquida che le investe è l'arte che si installa nella nostra memoria.

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Bill Viola nasce nel 1951 a New York, nel Queens. Si diploma in arte alla Syracuse University, dove studia video e musica elettronica. I suoi primi video, all'inizio degli anni settanta sono decisamente sperimentali e risentono del clima politico rivoluzionario del periodo. Nel 1972 si trasferisce a Firenze, dove lavora come direttore tecnico dello storico art/tapes/22, uno dei primi studi di videoarte in Europa. Per lui è anche una prima immersione nella cultura e nell'arte italiana, che lascerà un'impronta indelebile sul suo futuro lavoro. Tra le sue opere più note ci sono infatti quelle ispirate ai capolavori della pittura classica, come The Greetings (1995), ispirato alla Visitazione di Pontormo, il cui spunto iniziale mostra bene come la memoria, conscia e inconscia, sia anche il fondo magmatico a cui attingono sempre gli artisti.

Nel racconto di Viola l'idea nasce così: fermo a un semaforo, vede tre donne che s'incontrano mentre una folata di vento fa fluttuare i loro morbidi vestiti estivi: è l'epifania del quadro di Pontormo, che prende vita improvvisamente davanti ai suoi occhi. Ed è questo ciò che l'artista realizza con la sua opera: dà vita a un'antica immagine statica facendone emergere la temporalità implicita, che è come un passo di danza sospeso. E, ancora una volta, l'immagine si carica di tempo perché entra in risonanza con la nostra memoria.

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The Greetings, Bill Viola.

Nel 1980 si reca in Giappone con una borsa di studio di scambi culturali, e si avvicina al buddismo Zen con l'aiuto del monaco pittore Daien Tanaka. È l'inizio di un crescente interesse per la ricerca interiore e la dimensione mistica, non solo orientale. Un punto di svolta nella sua opera sarà qualche anno dopo  la video installazione dedicata a San Giovanni della Croce.

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Chaterine's Room, Bill Viola.

Ripercorrendo a volo d'uccello gli ultimi trent'anni della sua carriera, possiamo dire che Viola ha individuato il proprio medium nella temporalità fluida dell'immagine: è riuscito a dare alle immagini la capacità di condensarsi, dilatarsi e caricarsi di tensione perché intrise delle emozioni, delle associazioni e dei significati attivati dalla memoria personale e culturale. Esemplari in questo senso le opere (nate dalla residenza di studio al Getty Research Institute tra il 1997 e il 1998) sulla mimica patetica dei volti umani, in splendida risonanza con le immagini del pathos elaborate dalla pittura classica.

Ma la sua visione dell'arte come ricerca dei significati profondi dell'esistenza ha prodotto anche opere molto spettacolari, nelle quali la tecnologia viene sfruttata nelle sue potenzialità più estetizzanti. È l'arte che probabilmente ha reso famoso Bill Viola: un'arte di grande impatto, basata sullo slow-motion ad alta definizione al servizio di immagini con evidenti connotazioni simboliche e mistiche. Confesso che in molte delle sue opere più celebrate mi è sembrato che teatralità e retorica rischiassero troppo spesso di soffocare la poetica contemplativa.

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Eppure, a chi sospettava una contraddizione tra l'esplorazione delle profondità mistiche e il virtuosismo artificiale quasi hollywoodiano, Viola ribatteva così: «Ho scoperto una specie di realtà nell'irrealtà. Le immagini ad alta definizione diventano una specie di apertura a un altro mondo».

Il fatto è che Bill Viola è stato un artista semplice. Che non vuol dire facile, né tantomeno superficiale, perché la sua è la semplicità della mente zen o dello spirito che aleggia nel pensiero mistico. È la semplicità degli occhi pieni di meraviglia di un bambino di sei anni che rischia di affogare in un lago di montagna e che invece scopre un mondo meraviglioso, come Viola ha spesso raccontato: riflessi di luce verde-azzurra, pesci che nuotano, un profondo senso di pace, interrotto contro voglia da una mano che lo afferra e lo tira fuori. Quella meraviglia rivivrà ripetutamente nella sua arte, dove lo sprofondare nell'acqua e il riemergere tornano continuamente a far riverberare i loro riflessi nella nostra memoria.

«Quello che mi interessa è: cosa succede quando questa immagine entra dentro di noi e vive in noi e si trasforma in qualcos'altro?»

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