Ricordi macaonici

2 Giugno 2015

Gli stupendi affreschi del Beato Angelico che abbelliscono le celle dell’ex-monastero di San Marco a Firenze raggiungono il picco del capolavoro con la raffigurazione della Annunciazione. In quell’opera, la figura dell’arcangelo Gabriele spicca per la sua eleganza e purezza di stile, ma anche per la slanciata e appuntita forma delle ali multicolori, davvero straordinarie con quelle piume che paiono scaglie di ali di farfalla. Ad accorgersene fu anche Nabokov che in una nota riportata dal figlio scrive, a proposito del capolavoro dell’Angelico, che le ali dell’arcangelo sono: "reminiscenza di Iphiclides podalirius con un'esile traccia di Papilio machaon e forse un accenno di Panaxia quadripunctaria, la falena diurna...". E qui, in realtà, ci sarebbe da discutere a lungo. Alcuni, infatti, ritengono che le ali ricordino quelle della mediterranea Charaxes jasius e non altre specie.

 

Beato Angelico, Annunciazione, affresco del 1440-1450, convento di San Marco, Firenze, particolare

 

Ma tant’è. Ciò che affascina è che in una sola città si trovino due opere di grandi maestri della pittura che, in un modo o nell’altro, si collegano ai due mitici fratelli medici figli di Asclepio dai quali Linneo, nel diciottesimo secolo, derivò i nomi di Macaone e Podalirio per due delle più spettacolari farfalle europee. Infatti, il fratello del mitico Podalirio, rappresentato nel quadro del Bronzino dedicato al nano Morgante, fu medico e chirurgo e fece parte della spedizione achea contro i troiani. Di nome Macaone, si narra che contribuì alla spedizione con 40 navi e che nella fortunata campagna di Troia si fosse distinto per l’abilità nel curare le ferite ed i malanni dei mitici eroi Menelao e Filottete. L’Eneide racconta che fu parte dei guerrieri greci che entrarono in Troia attraverso il famoso cavallo, lì peraltro trovando la morte.

 

Nel 1758, nel suo libro Systema naturae che definì i principi della rivoluzionaria nomenclatura binomiale delle specie, Linneo decise di utilizzare il nome di Macaone per una delle più belle e vistose farfalle diurne europee, Papilio machaon appunto. Come il Podalirio, anche il Macaone appartiene alla grande famiglia dei Papilionidi, la più rinomata e ricercata tra tutte con quelle specie caudate, coloratissime e spesso di grandi dimensioni che comprendono anche le gigantesche ornitottere iridescenti di verde, giallo e blu delle isole del Pacifico occidentale.

 

Ricordo la prima volta che vidi un Macaone. Ero nella cantina dell'amico Piscopo e avrò avuto otto o nove anni. Costui, appassionato di farfalle e già avido collezionista al debutto, conservava la sua piccola collezioncina in un armadio in cantina. Si trattava di scatole di camicie adattate a teche entomologiche primitive e pericolose, poiché chiaramente lì gli antreni e gli altri insetti divoratori di farfalle disseccate trovavano portoni spalancati potendo così penetrarvi e sfogare il loro appetito larvale distruggendo gli esemplari che Piscopo aveva accumulato. Piscopo, leggendo i manualetti entomologici di allora, sapeva bene che il rischio era grave e così aveva disposto odorose pastiglie di canfora un po' ovunque in quell'armadio, tanto che il tanfo era tale da provocare ripugnanza a chi non avesse il naso addestrato. Ma a me la canfora piaceva, e quell'odore da museo non infastidiva per nulla, anzi, mi inebriava di quel non so che che mi attraeva all'entomologia. Quando Piscopo aprì la prima scatola di camicia color grigio, mi vidi di fronte una serie di Vanesse Io e Atalanta che, mi spiegò, venivano da Camburzano, paesino ove andava a trascorrere le vacanze e dove, in settembre, le Vanesse a dozzine accorrevano sui fichi maturi di suo nonno a suggere liquami putrescenti dai frutti marci o in via di decomposizione. Ne fui folgorato: quella serie di esemplari colorati e ordinati, preparati con un rozzo spillo da sartoria e con le ali poggiate al piano di base, anziché essere sospesi a metà spillo come si conviene, mi pareva un esercito colorato di soldatini. Quel giorno capii che il mio amore per le farfalle, oltre che nel vederle volare in libertà – cosa che avevo fatto sino ad allora – poteva anche trasformarsi in una collezione che mi consentisse di ammirare in modo duraturo queste bellezze dentro ordinate scatole di esposizione. La seconda scatola nella cantina di Piscopo conteneva le bianche Cavolaie: anche queste specie banali e a cui non si dedicava neppure uno sguardo distratto sul terreno, se ben allineate e ben preparate, alla fine risultavano piacevoli alla vista poiché la presenza di ordinate serie non fa altro che aumentare l'interesse che l'occhio addestrato dedica agli insetti cercando di cogliere qualche piccola variazione di colore o di disegno. Infine, Piscopo aprì la terza scatola, e qui l'occhio cadde come un gheppio intento a fare lo "spirito santo" e a precipitarsi sulla preda su quel grande Macaone che avevo visto a pagina 37 del Martello, il mio primo manualetto sistematico.

 

Papilio machaon Larva

 

Era davvero magnifico con quel colore giallo intenso su cui si sovrapponevano dei quadrati neri e le festonature blu alle ali posteriori. E risaltavano, ben visibili sul cartoncino dello sfondo, le due robuste codine che, prolungandosi dalle stesse ali, si dipartivano in prossimità di due ocelli rossi e blu, evidentemente una sorta di colorazione che mimava il capo e le antenne di altri animali attirando l'attenzione di eventuali predatori su questa parte non vitale del corpo di una farfalla anziché sul suo capo. Quello tuttavia non era l'unico esemplare di Macaone che Piscopo possedeva. Un secondo esemplare, catturato, mi disse, in Liguria, era stato sistemato in una vecchia struttura di portapellicola in legno e vetro di suo nonno. Me lo diede qualche anno dopo, in cambio di una rara Hipparchia semele che lui non aveva in collezione.

 

Vidi il primo Macaone in volo, invece, ad Alice Castello, paese di mia nonna. Lì si andava con la piccola auto di famiglia di tanto in tanto in visita a una cugina della nonna. Erano giornate lunghe e calde. Si scendeva verso la piana a risaie e campi di mais respirando quell’aria umida e dall’odore inconfondibile della bassa vercellese. Giunti nei pressi di Cavaglià, mia madre indicava a noi bambini quell’irto colle che si trova all’inizio del paese verso est sormontato, in cima, da tre o quattro neri cipressi. Ci raccontava che, durante gli anni tristi della guerra, mio nonno scendeva in bicicletta verso la bassa a cercare cibo dai parenti di Alice; per mia madre, che lo seguiva a sua volta in bicicletta, la vista dei cipressi da lontano segnalava che la meta era ormai vicina e la fatica quasi terminata. Quell’immagine dei cipressi di Cavaglià mi rimase impressa nella mente e ancora oggi, mezzo secolo dopo, quando occasionalmente passo da quelle parti non posso fare a meno di pensare a mio nonno e mia madre in bicicletta intenti a trasportare bisacce piene di farina da polenta, riso e altre cibarie che nel Biellese scarseggiavano. Superata Cavaglià, si giungeva velocemente ad Alice ; si attraversava così il borgo per viuzze strette e sporche di polvere per giungere ad una grande aia e alla casa della cugina «Vigina» che vi si affacciava. Si respirava un forte odore di pollaio e di quel pantano organico nel quale sguazzano gli animali domestici nelle aie della bassa. C’erano galline libere, anatre mute e oche starnazzanti, cani e gatti, piccioni e forse qualche maiale nel suo stretto recinto. Era un altro mondo per me che arrivavo dalla civiltà industriale delle fabbriche tessili e dell’odore di lana tinta. Il puzzo dell’aria non mi piaceva, anzi mi infastidiva decisamente, ma mi divertivo a rincorrere galline e oche sudando a più non posso, mentre gli adulti si riunivano all’ombra fresca della casa della cugina bevendo un birrino e scacciando noiosissime mosche che erano ovunque.

 

Papilio machaon Prévessin

 

Fu in una di quelle occasioni che vidi i miei primi Macaoni. Infatti, non lontano era un giardinetto fiorito che delimitava l’aia a sud. Qui c’erano grandi composite di colore vario (ricordo il giallo e il rosso) e cespi di profumata lavanda in fiore. Proprio in questo giardinetto, a cui non potevo accedere visto che era delimitato da una cinta alta un metro, vidi quel giorno due Macaoni intenti a suggere su lavanda e margherite il delizioso nettare.

 

Papilio machaon Prévessin

 

Volavano lenti e vibranti, le ali che fibrillavano e le lunghe zampe sottili che si allungavano leggere a sorreggere il corpo mentre la spirotromba penetrava esperta il fiore succhiando il dovuto. E poi si spostavano leggeri ed elegantissimi, continuando la loro operazione tranquilli sul fiore vicino. Li guardai ammirato, immediatamente riconoscendoli per ciò che erano, i Macaoni, e stordito dalla bellezza del colore giallo intenso a macchie e venature regolari nere una delle quali si allunga a formare il codino che le caratterizza in modo quasi unico per la nostra fauna. Corsi a cercare il mio retino che sarebbe bastato per raggiungere i fiori dentro al recinto, ma quelli si allontanarono presto spaventati dai piccioni che volarono lì vicino. Li vidi andarsene veloci, con volo deciso come quello delle Vanesse ma fluttuante come quello degli aquiloni al vento. In breve, superati i muri che delimitavano l’aia, i due Macaoni scomparvero alla mia vista lasciandomi però una impressione indelebile di bellezza gialla e di libertà che dura sino ad oggi ogni volta che il mio occhio scorge un papilionide caudato.

 

Di lì a poco avrei poi raccolto il bruco di questa farfalla: una larva a sua volta di eleganza indiscutibile se paragonata a quella di molte altre specie. Lo trovai intento a nutrirsi sui finocchi selvatici in un praterello a fianco della ferrovia che a quei tempi esibiva le ultime antiche e sbuffanti vaporiere.

 

Vaporiera Cossato, Marzo 1974

 

Era ormai avanti nelle sue mute e doveva essere all’ultimo stadio larvale, quello che presagisce la parte finale della straordinaria metamorfosi del Macaone. Verde chiaro, con una serie di strie nere interrotte da macchie color arancione, se ne stava quieto a masticare le sue foglie di carota, il cibo prediletto con le altre ombrellifere quali il finocchio. Lo portai a casa per allevarlo e lo nutrii di ciò che gli piaceva sino all’impupamento.

 

Papilio machaon, bruco

 

La crisalide che ne sortì era di un colore brunastro pallido, ben lontana dalle tinte sgargianti della farfalla adulta e della stessa larva, ma che permetteva un eccellente mimetismo tra la sterpaglia secca a cui si era appesa grazie ad un sottile e robusto filo di seta intorno al torace e all’apice dell’addome. Così passò l’inverno e in primavera, al primo piacevole caldo di aprile, da quella struttura brunastra uscì una magnifica femmina di Macaone dal colore giallo brillante e nero e dalle macchie blu alle ali inferiori. Fu uno dei miei primi esperimenti di allevamento di bruchi e si concluse brillantemente con la nascita di una delle più spettacolari farfalle italiane. Ricordo lo stupore della mia famiglia alla vista di quella meraviglia, dopo che per mesi avevo pregato tutti di starsene alla larga dalla mia scatola di scarpe in cartone coperta di tulle entro la quale il Macaone andava incontro alla sua metamorfosi. Lascio al lettore la scelta del finale del racconto; infatti, non ricordo che successe al mio Macaone. Una versione dice che fu subito incorporato nella mia piccola collezione, mentre una seconda sostiene che io l’abbia liberato osservandone il volo felice mentre spariva all’orizzonte.

 

 

Leggi anche su doppiozero, di Mario Raviglione, Il Podalirio e il nano Morgante

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