Usi e abusi della storia / La Russia e l’Ucraina secondo Putin

Nel corso dell’ultima settimana siamo tutti rimasti sgomenti di fronte alla brutale aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Mentre osservavamo le dinamiche violente del conflitto, abbiamo fatto ricorso ad una serie di narrazioni per cercare di comprendere le motivazioni che hanno spinto l’élite politica russa a prendere una decisione rischiosa in termini politici e devastante in termini umanitari. E nel farlo, abbiamo inconsciamente utilizzato gli stessi strumenti offerti dalla retorica politica russa: abbiamo messo in dubbio la legittimità dello stato ucraino in prospettiva storica; abbiamo guardato con sospetto al ruolo dell’Occidente e della NATO nel corso degli ultimi trent’anni; abbiamo fatto ricorso all’idea dell’unità della ‘Russia storica’.

 

Lo abbiamo fatto senza però conoscere il processo di formazione di questa visione geopolitica e la storia recente della costruzione di questo immaginario ad uso e consumo, in primo luogo, del dibattito interno alla Federazione Russa e, solo in seconda battuta, dell’opinione pubblica internazionale. Osservando il tono aggressivo di Vladimir Putin nel suo discorso sull’Ucraina del 21 febbraio, non ci siamo forse posti la domanda più importante: perché abbiamo assistito ad una lezione di storia che nulla aveva a che fare con la situazione politica concreta legata al riconoscimento della sovranità territoriale delle Repubbliche Popolari di Donec’k e Luhans’k? La risposta sta in un lungo percorso di legittimazione ideologica interna dell’establishment politico russo che affonda le sue radici già nei primi anni Duemila, con l’insediamento al potere di Vladimir Putin, ed è in costante dialogo con le diverse voci, memorie e narrazioni proposte da quello che è il più ampio spettro della società russa. Un percorso in cui si trova la probabile giustificazione dei rischi corsi dall’élite politica russa nelle ultime settimane: la necessità di preservare il sistema di potere e la stabilità politica interna di fronte al vero pericolo incarnato dalla potenziale influenza esercitata dall’emergere di un’alternativa ‘rivoluzionaria’ e democratica, peraltro integrata nel sistema europeo, ai propri confini.

 

 

Nel corso degli ultimi due decenni, l’élite politica russa si è espressa a più riprese sulla necessità di plasmare un’idea nazionale in continuità con il passato. Non di rado lo stesso Putin è stato autore di numerosi articoli che ruotano intorno all’edificazione di una nuova idea di Russia che potesse legittimare agli occhi dell’elettorato russo il nuovo sistema di potere. Già in La Russia al volgere dei millenni (Rossija na rubeže tysjačeletij), testo pubblicato su diverse testate giornalistiche nazionali il 30 Dicembre del 1999, prima dell’insediamento di Putin in qualità di presidente ad interim, il ‘nuovo corso’ intendeva porsi in una condizione di continuità ideologica con il retaggio storico-culturale di marca imperiale e sovietica. Tuttavia, nel guardare all’esperienza comunista, erano solo gli elementi di instabilità e di cambiamento rivoluzionario ad essere epurati. Un’epurazione funzionale a veicolare una nuova immagine della Russia nel presente:

 

“Per quasi tre quarti del secolo uscente la Russia visse sotto il segno dell'attuazione della dottrina comunista. Sarebbe un errore non vedere e, ancor di più, negare le conquiste indiscutibili di quei tempi. Ma sarebbe un errore ancora più grande non rendersi conto del prezzo oltraggioso che il nostro paese e la sua gente hanno dovuto pagare per quell'esperimento bolscevico… La Russia ha esaurito il suo limite per sconvolgimenti politici e socioeconomici, cataclismi e riforme radicali. Solo i fanatici o le forze politiche assolutamente apatiche e indifferenti alla Russia e al suo popolo possono fare appello a una nuova rivoluzione. Che si tratti di slogan comunisti, nazional-patriottici o radical-liberali, il nostro paese, il nostro popolo non resisterà a una nuova disgregazione radicale.”

 

Se i caratteri fondanti di questa ‘nuova idea’ russa riuniscono al loro interno differenti visioni ideologiche della storia nazionale, in realtà siamo qui di fronte ad un percorso ambiguo che conduce ad una vera e propria appropriazione culturale di tradizioni spesso in contraddizione, al fine di rispondere alle diverse congiunture critiche della politica interna ed estera della Federazione Russa e di garantire il fine ultimo che sta dietro il proliferare di queste narrazioni: preservare il sistema di potere interno. Tuttora, questo tipo di approccio consente all’establishment politico di tradurre le posizioni radicali, siano esse di marca etnonazionalista, ortodossa o imperialista, che emergono dal tessuto sociale russo all’interno di un’ideologia ‘ibrida’, funzionale al mantenimento del regime e del consenso degli elettori (Laruelle).

 

Non a caso, la produzione di narrazioni storiche si è intensificata in coincidenza con i frangenti più pericolosi per la stabilità interna dell’establishment politico russo, precedendo strette autoritarie in termini di limitazioni alle libertà civili e politiche. Non tutti ricordano che la stessa ‘campagna di Crimea’, la guerra nel Donbas e, in ultimo, la più recente ed esplicita aggressione militare all’Ucraina hanno preso forma all’indomani di quelle che sono state le più grandi proteste di opposizione politica nella Russia post-sovietica. Le manifestazioni e gli scontri di piazza del 2011-12, che hanno preso vita a Mosca, a San Pietroburgo e in molti altri grandi centri della Federazione in seguito all’accusa di brogli elettorali in occasione delle elezioni della Duma di Stato del dicembre 2011, hanno segnato una svolta importante per il dibattito politico della Federazione: è forse questo il reale momento in cui la narrazione storica promossa dall’élite politica russa ha abbracciato con maggiore decisione tratti revanscisti e neo-imperialisti. Durante la campagna elettorale che ha preceduto l’elezione di Putin al suo terzo mandato presidenziale nel 2012, abbiamo assistito alla pubblicazione di una lunga serie di documenti programmatici a sua firma, in cui la storia post-sovietica iniziava già ad essere riscritta in una chiave di rinascita dalla serie di umiliazioni inflitte dall’esterno e di risveglio come grande potenza geopolitica. Come possiamo leggere nell’articolo a firma di Putin, pubblicato su "Izvestija" il 16 gennaio del 2012:

 

 

“Negli anni '90, il paese ha subito un vero shock di disintegrazione e degrado, enormi costi sociali e perdite. L'indebolimento totale della statualità in un simile contesto era semplicemente inevitabile. Siamo davvero arrivati ​​a un punto di rottura. Il fatto stesso che diverse migliaia di banditi – sia pure con l'appoggio di alcune forze esterne – abbiano deciso nel 1999 di attaccare uno Stato con un milione di eserciti – parla della tragedia della situazione di allora. A troppi sembrava che potessimo finalmente finire…Tuttavia, ci è voluto uno sforzo enorme, la mobilitazione di tutte le risorse – per uscire dal vuoto. Riassemblare il paese. Restituire alla Russia lo status di entità geopolitica. Stabilire un sistema sociale e migliorare l'economia. Ripristinare la controllabilità elementare del potere… Il periodo di recupero è finito. La fase post-sovietica nello sviluppo della Russia, tuttavia, così come nello sviluppo del mondo intero, è completata ed esaurita.”

 

La ‘Russia storica’ che riemergeva dalle guerre cecene e dal collasso economico post-sovietico veniva descritta come uno stato del tutto diverso dal modello occidentale. Come possiamo leggere nell’articolo emblematicamente intitolato La questione nazionale, pubblicato il 23 gennaio su "Nezavisimaja Gazeta":

 

“La nostra situazione è fondamentalmente differente. I nostri problemi nazionali e legati all’immigrazione sono direttamente collegati al crollo dell’Unione Sovietica e, in essenza, della Grande Russia, le cui fondamenta storiche sono state costruite nel XVIII secolo… La Russia storica non è né uno stato etnico né il risultato di un ‘melting pot’ americano, dove tutti, in un modo o nell’altro, sono immigrati. La Russia è emersa e si è sviluppata per secoli come uno stato multietnico… Lo sviluppo di questo vasto territorio, che ha caratterizzato l’intera storia russa, è stato il risultato dello sforzo collettivo di molti gruppi etnici. Basti dire che gli Ucraini vivono all’interno di questo territorio, che va dai Carpazi alla Kamchatka, così come i Tatari, gli Ebrei, i Bielorussi… Per quel che riguarda la scellerata idea dell’autodeterminazione nazionale, su cui hanno speculato ripetutamente diversi politici come Vladimir Lenin e Woodrow Wilson nella loro lotta per il potere e per i dividendi politici, il popolo Russo ha da tempo definito la propria autodeterminazione. L’autodeterminazione del popolo russo è quella di una civiltà polietnica, tenuta insieme da un nucleo culturale russo.”

 

Tenendo conto di questo sostrato ideologico, quella che oggi nei media governativi viene definita in termini decisamente eufemistici dal presidente della Federazione Russa come “un’operazione speciale a supporto delle repubbliche popolari di Donec’k e Luhans’k” assume non a caso una portata più ampia nei commenti offerti da osservatori politici vicini al Cremlino: come nel caso di Petr Akopov su "Ria novosti" (in un articolo indicativamente rimosso un giorno dopo la sua pubblicazione, alla luce dei risultati poco confortanti per l’esercito russo in Ucraina), in cui l’intervento della Russia in Ucraina viene accolto come “l’avvento della Russia e del nuovo mondo”, laddove “la Russia sta ripristinando la sua completezza storica, riunendo il mondo russo, il popolo russo nella sua interezza di Grandi Russi, Bielorussi e Piccolo Russi”. Tramite il suo ricorso a categorie storiche, Putin riesce a legittimare per una parte del pubblico interno una decisione politicamente e militarmente ‘incomprensibile’ agli occhi di tutti noi: “Vladimir Putin si è assunto, senza una goccia di esagerazione, una responsabilità storica decidendo di non lasciare alle generazioni future la soluzione della questione ucraina”.

 

Alla conferenza di Monaco del febbraio 2007, il presidente della Federazione Russa aveva già fatto riferimento alla storia, anche se più recente, per fondare la sua interpretazione del presente. Nel suo famoso discorso, Vladimir Putin aveva denunciato l'unipolarismo nelle relazioni internazionali, evocando in parallelo gli sforzi fatti dalla Russia per rispettare i suoi impegni internazionali dagli anni '80. Le ultime manifestazioni pubbliche a sua firma, come l'articolo dello scorso luglio dal titolo Sull'unità storica di russi e ucraini, hanno sviluppato criticamente questa idea fino al punto di rovesciare in una simmetria praticamente totale la storia delle tensioni crescenti tra la Russia e il 'blocco occidentale'. 

Ora, tre giorni prima dell'invasione russa del territorio ucraino, Putin ha pronunciato un lungo discorso in cui ha esposto quelli che considerava i 'fatti storici' che giustificavano il suo diritto a porre fine all'autonomia ucraina. Nel successivo discorso del fatale 24 febbraio, poi, il tono era ancora più diretto e intransigente. L’intervento delle forze russe nelle due repubbliche autoproclamate del Donbas e, oltre, contro tutta l'Ucraina, era passato da un diritto (per difendere gli interessi della Russia) a una necessità vitale. Vladimir Putin stava ora paragonando il sostegno occidentale al potenziamento militare dell'Ucraina con i piani di espansione di Hitler. L'attacco russo è stato presentato come l'unica mossa difensiva possibile, quella che Stalin non era riuscito a fare all'inizio del 1940 quando Hitler stava sconfiggendo la Francia prima di cercare di neutralizzare Londra e poi lanciare le sue truppe contro Mosca.

 

 

Se il presidente russo creda veramente nella sua visione “surreale” della storia (Snyder) – sia recente che plurisecolare – potrebbe anche non essere rilevante oggi. Ma oltre a una presentazione ossessiva degli eventi degli ultimi otto anni in Europa orientale, Putin ha costruito la sua giustificazione della guerra su tre serie di considerazioni storiche.

La prima riguarda l'identità delle nazioni russa e ucraina. Qui il presidente, divenuto storico, cerca di mescolare alcuni argomenti etnici e culturali con l'idea della lunga durata della statualità russa (gosudarstvennost) – in contrasto con una tradizione statuale inesistente in Ucraina. A uno sguardo più attento, la sua logica appare abbastanza contraddittoria. La 'nazione' è più decisiva dello 'stato'? Se sì, quella ucraina esiste tanto quanto quella russa – quest’ultima abbraccia popoli, religioni e lingue anche molto più eterogenee dell'attuale popolazione dell'Ucraina... Se no, allora lo stato russo dovrebbe rivendicare anche il 'ritorno' del Turkestan dell'epoca zarista, naturalmente gli stati baltici, la Polonia, ecc. poiché queste varie province dell'ex impero zarista facevano parte del gosudarstvo 'russo' fin dalla prima epoca moderna o più tardi. Etnologi e storici russi e ucraini hanno analizzato in dettaglio le affermazioni del discorso di Putin dell’articolo del luglio del 2021, sottolineando la sua inattualità (la maggior parte di esse ricordava affermazioni del pensiero storico russo pre-rivoluzionario) e i suoi errori evidenti (come mostra, ad esempio, il professore di storia dell' Università statale per le Scienze umane Konstantin Erusalimskij).

 

Nonostante questo, Putin ha ribadito la sua idea nel discorso di lunedì 21 febbraio. Inoltre, è rimasto fedele all'affermazione della sola legittimità della statualità russa (imperiale). Se lo pseudo-federalismo sovietico è stato un grave errore, sostiene, almeno ha mantenuto “la Russia storica sotto il nome di URSS”, come “il nostro stato unitario”. Questo stato unitario che si estende ben oltre gli attuali confini della Russia è ciò che Putin rimpiange di più nel passato, sembra, più di qualsiasi altra caratteristica dell'impero zarista o dell'Unione comunista dei soviet.

 

La seconda serie di idee storiche avanzate dal presidente per negare all'Ucraina la sua identità come nazione riguardano il contesto, i principi e la realizzazione effettiva della nuova repubblica socialista sovietica. Mettendo da parte il sentimento nazionale (reale e concreto) che si era sviluppato in Ucraina sotto la dominazione degli imperi russo (rossiiskii) e austro-ungarico nel XIX e all'inizio del XX secolo, Putin spazza via la realtà della repubblica sovietica ucraina come un costrutto artificiale di Lenin, peraltro tradito nell'applicazione dalla politica di Stalin negli anni '30 e oltre. Ma per ignorare davvero l'effetto di 70 anni di esistenza come repubblica distinta, Putin deve scartare anche la realtà del sentimento nazionale alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90:

 

“A metà degli anni '80, sullo sfondo dei crescenti problemi socio-economici e dell'evidente crisi dell'economia pianificata, la questione nazionale, la cui essenza non erano le aspettative e le aspirazioni incompiute dei popoli dell'Unione, ma soprattutto il crescente appetito delle élite locali, divenne sempre più acuta. [...] nel corso della lotta per il potere all'interno dello stesso Partito Comunista, ciascuno degli opposti schieramenti, al fine di ampliare la propria base di appoggio, cominciò a stimolare e incoraggiare sconsideratamente i sentimenti nazionalisti e a giocare su di essi, promettendo ai propri potenziali sostenitori qualsiasi cosa desiderassero”. (Putin, discorso del 21 febbraio 2022)

 

Anche qui il presidente si abbandona a una scorciatoia, rifiutando di vedere la realtà dei sentimenti indipendentisti espressi dalle varie popolazioni repubblicane (sovietiche), in particolare dopo il fallito golpe dell'agosto 1991. Finge di credere che il forte sostegno alla proposta di Gorbačëv di una nuova unione realmente federalista espresso nei risultati ucraini al referendum del marzo 1991 sia la prova della superficialità dei desideri ucraini alla sovranità. Egli dimentica le decisioni cruciali – sia della Russia che dell'Ucraina nel dicembre 1991 – che portarono alla fine de facto dell'Unione Sovietica.

Inoltre, l'interpretazione di Putin della storia sia della Russia (nei discorsi del 21 e del 24 febbraio) che dell'Ucraina (in particolare, nel discorso del 21 febbraio) negli anni '90 e 2000 è interamente influenzata dalla sua convinzione della politica malevola degli Stati Uniti per indebolire la Russia. Questo piano degli Stati Uniti avrebbe, secondo lui, lo scopo di isolare la Russia sulla scena internazionale e coltivare i movimenti radicali anti-russi nel suo vicino estero.

 

Questi disegni oscuri sono le ragioni che giustificano l'attuale diffidenza della Russia verso qualsiasi proposta della NATO, o occidentale, o statunitense. Insieme alla costruzione retorica dell'“unità dei popoli ucraino e russo”, l'affermazione reiterata di un grande piano anti-russo degli Stati Uniti permette a Putin di omettere il Memorandum di Budapest del dicembre 1994, con il quale la Russia ha riconosciuto ancora una volta i confini dell'Ucraina 'in cambio' della sua restituzione dell’armamento nucleare sovietico ancora conservato sul suo territorio.

In effetti, leggendo la presentazione di Putin delle relazioni della Russia con l'ex blocco occidentale negli ultimi 30 anni, si è tentati di chiedersi se il presidente non si stia guardando allo specchio. È vero, sono stati commessi molti errori, da tutti gli attori coinvolti nel processo decisionale politico a livello internazionale, compresa l'élite politica russa, nel processo di rottura con il sistema politico ed economico sovietico. Ma vedere in esso un complotto coerente e deliberato dell''occidente' o di 'loro' (degli USA) per sabotare lo spazio post-sovietico e le sue società appare come una pericolosa finzione. Una finzione che toglie alle popolazioni qualsiasi voce in capitolo sul loro destino e futuro.

 

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