Cipressi / Gli alberi pizzuti

30 Ottobre 2016

Non rammento, ma non mi dev’essere piaciuto, in prima media, mandare a mente le ventinove quartine di Davanti San Guido. Immagino che nulla m’avrà detto il «manzoniano/ che tiri quattro paghe per il lesso» o «il manzonismo degli stenterelli». Ricordo bene invece che le imparò per prima mia madre, me le fece ripetere con pazienza più e più volte, lei che a scuola raccontava di non esserci mai voluta andare nemmeno se l’alternativa era di portare al pascolo le mucche del nonno. Ma la poesia segue strane vie, si installa par coeur in modo inusitato. Fatto sta che non solo sono grata a quell’insegnante che m’obbligò a studiare versi a memoria, persino quelli di Carducci che non includo tra i miei eletti, ma ho sentito il bisogno di andare a conoscerli quei «cipressetti» di Castagneto: 2540 cipressi secolari (Cupressus sempervirens), che per cinque chilometri da Bolgheri «alti e schietti van da San Guido in duplice filar». E, già che c’ero, mi ero pure spinta fino «in cima al poggio», al cimitero con la tomba di nonna Lucia che trovai fiorita di giaggioli blu. E chi se la dimentica più quella signora Lucia «alta, solenne, vestita di nero» dalla cui bocca «la favella toscana […] canora discendea, co ’l mesto accento/ de la Versilia che nel cuor mi sta».

 

 

Allora, i cipressetti non erano ancora stati aggrediti dal fungo sterminatore (Seiridium cardinale) che con altri parassiti minaccia da anni la popolazione indigena. Certo, il penchant familiare per tombe e cimiteri, dove gli alberi pizzuti son di casa, deve aver giocato un suo ruolo. 

 

 

Già, il cipresso albero dei cimiteri: forse per la sua forma fastigiata, la tensione verticale e la punta che par volere indicare il cielo, o forse per il mito di Ciparisso così afflitto e inconsolabile per la morte involontaria recata al suo cervo dalle corna d’oro che Apollo lo tramutò nell’albero più adatto a rappresentarne il lutto. Ma, come sempre, nella simbologia mitologica vale anche il contrario, e il cipresso longevo, sempreverde, incorruttibile è anche simbolo di vitalità e fertilità: «Fatti un’arca di legno di cipresso» è l’ordine divino a Noè, e in legno di cipresso erano incise anche le statue di Priapo nei giardini delle domus romane. 

 

 

Albero originario della Grecia e delle isole mediterranee quali Creta e Cipro (da qui una delle ipotesi onomastiche), fu introdotto in Italia dagli Etruschi, se non addirittura dai Fenici, per divenire nei secoli araldo del paesaggio umbro-toscano. Ma – ahinoi – anche in Lombardia non c’è cascinale, borgo o poggio che non abbia in dotazione le sue guglie verdi fin troppo curate. È pianta monoica, con fiori unisessuali ma presenti sullo stesso esemplare: facile perciò distinguere in stagione i coni femminili tondeggianti, che a maturità evolvono in strobili sferici a squame poligonali, dai minuscoli coni maschili posti all’apice dei ramuli, giallastri al momento del rilascio del polline.

 

 

La sagoma eretta e compatta, snella e affusolata, le foglie millimetriche, embricate, fittamente addossate ai rametti, l’aroma resinoso e balsamico lo distinguono all’occhio e al naso. Oltre alla varietà pyramidalis o stricta dal portamento colonnare, è diffusa anche la horizontalis dalla chioma irregolare ed espansa usata spesso per le barriere frangivento, specie in terra d’oltralpe: tutti abbiamo in mente le lingue dei cipressi di Van Gogh che s’innalzano fino alle infuocate volute del cielo notturno o scherzano con le nuvole atlantiche sui campi estivi di Francia. 

 

 

Si avvicina la festa dei morti e più dei cipressi di Carducci con il fantasma di nonna Lucia, forse meglio si adattano alla moda inarrestabile dei party di Halloween alcune strofe saffiche del suo allievo romagnolo Giovannino Pascoli (La civetta, Mirycae3):

 

Stavano neri al lume della luna 
gli erti cipressi, guglie di basalto, 
quando tra l'ombre svolò rapida una

                ombra dall'alto: 

orma sognata d'un volar di piume, 
orma d'un soffio molle di velluto, 
che passò l'ombre e scivolò nel lume 
                pallido e muto; 

ed i cipressi sul deserto lido 
stavano come un nero colonnato, 
rigidi, ognuno con tra i rami un nido 
                addormentato. 

E sopra tanta vita addormentata 
dentro i cipressi, in mezzo alla brughiera 
sonare, ecco, una stridula risata 
                di fattucchiera: 

una minaccia stridula seguita, 
forse, da brevi pigolii sommessi, 
dal palpitar di tutta quella vita 
               dentro i cipressi.

 

 

Ma se proprio non volete saperne di mode americane, ecco un quasi haiku di Giancarlo Consonni (In breve volo, Scheiwiller 1994) di una grazia che riconcilia con il paesaggio e la vita:

 

Oltre i terrazzi il ponentino

soffia nei pini

passi di danza.

 

I cipressi sono già sulle punte.

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