Capitolo quarto

22 Agosto 2015

Impulso liberatorio della danese, di sbracciarsi verso i suoi omologhi lassù sopra di noi, nel Ponte Vecchio.

Sventola bandiera bianca. O fa un sordo gesto elegante, attrice vestita a balze di tulle nei titoli di coda. O è puro teatro: la sua scena è il mondo che visita, visiterà.

In modo irriflesso, un manipolo di scout risponde dal ponte. Alzano in aria mani, bottigliette, fazzoletti verdeblu.

Fanno click, comunicano. E quest’armistizio aziona il mio caro prurito dal collo fino alle natiche, suonato al contrario. Siamo sotto l’ombra del ponte, lo buchiamo, ufficialmente salvi: ghigno nell’oscurità, che pare aver funzionato quasi un mio complotto. Quello di liberarmi dal terrore.

 

Francesco Natali, Narrarno

 

Scopro tra i flutti che l’adolescenza è una sorsata di realtà a doppio fondo: prima si tira giù il primo sorso, dolciastro. Molto più in là negli anni, se lo consenti, se ne tira giù un altro, più amaro. Il primo l’ho tirato giù mentre giocavo al ginnasio a sfilacciare il tempo: ore ad alitare sulle vetrine, i morsi delle amiche sul labbro inesperto, le domeniche rancide e calorose come caldarroste. In una Firenze di tubi di scappamento ossidati, di vicoli stretti senza cielo… E oh! i genitori esagitati, i golf di cashmere d’inverno, le espadrillas bianche d’estate, la guerra alle espadrillas, la guerra al cashmere, a tutto campo!

Era questa una città arsa, affatto bagnata, un secco sorso. Ma io me lo bevevo con un sorriso asintotico da quindicenne: ero lì, con compagni, compagne, e allo stesso tempo ero gloriosa e approvata in un pomeriggio in loop.

 

Francesco Natali, Narrarno

 

Il secondo sorso qualcuno lo tira giù, qualcuno lo centellina o lo ignora – magari per gustarlo in piena senilità. La fine dell’università come un rito dilavante più che iniziatico. Le ciucche che finiscono sempre con le campane fiorentine dentro i timpani. Sul labbro emaciato il dubbio di essere entrate nel club dello zitellaggio. Terra di mezzo tra ambizioni e richieste d’aiuto, postumi di cinismo e vigliaccheria, scomodi e dispari anni 27. Appoggiarsi alla spalletta, ed era finita, vedevi quel fiume: che ti portasse via di là, un’autostrada con uscita in una dogana qualsiasi.

Sentivi persino di poter ardere la città tutt’attorno in una desolatissima piaggia, ma ti sei resa presto conto che la puzza di bruciato arrivava da te. Chi volevi immolare, nel miglior dei casi, era venuto a vedere la pianta del piede di una scultura, a pizzicare le chiappe del David. Nel peggiore dei casi, t’aveva scontrato per strada, sbattendo sul tuo petto, spompato dal breve viaggio infilzato di orari.

 

La sensazione che ho adesso è che sto versando acqua - quest’acqua attorno mai troppo bella, pelle di camaleonte gialla, verde, ardesia – acqua sulla cenere ancora inesausta di me. La cenere strappa un sibilo, quindi fa fumo, e dà l’ultimo crepito. E poi diventerò come terra, buona per una soffice impronta.

Già davanti sta disteso il Ponte alle Grazie come un diadema, arriveremo in quel regno mio e d’Andrea, quasi lacustre, dove i palazzi si diradano, c’è lo sfogo verde del Viale dei Colli, il fiume ritorna ai cani, ai pescatori, agli strani, ai canottieri coi tamburi tribali per l’allenamento.

 

Francesco Natali, Narrarno

 

Sarò disponibile come quella terra umida, quando Andrea mi dirà che se ne va. Quando mi chiederà di divellere i paletti della tenda, di tirar fuori le vettovaglie, i sacchi a pelo. Mi dirà di farne un mucchietto, di stare pronta.

Prepariamoci, in Austria c’aspetta il finimondo, mi dirà magari.

Ed io le risponderò che, senza di lei, la mia vita - la vita sdraiata sul manto umido, cullata dal gracidare sgraziato delle rane, svegliata dal primo pizzico di una zanzara, la vita che qualcuno forse aveva arrotolato in una tenda da camping portatami in segreto - le risponderò che la mia vita senza di lei non sarà tutto, ma sarà abbastanza. Perché se avessi passato l’adolescenza qui, tuffata. Se avessi passato la mia seconda adolescenza, quella che mi ha fatto fuggire, qui, tuffata, se questo tuffo non l’avessi fatto solo oggi, probabilmente sarei disposta a riandarmene verso quel finimondo austriaco.

Invece sto come una polena volgarotta in piedi sulla barca di un renaiolo. Pronta a violare lo spazio diurno di un’irrisoluta e ad un tempo centratissima amante.

 

Sulla destra la Piazza Demidoff. Ci stiamo avvicinando alle nostre zone. Aguzzo lo sguardo, quasi annuso.

Peccato che Massimo il renaiolo ci dica:

la corsa è finita. È un centino, uan-andre, prezzo speciale, figliole.

E parte uno spintone della danese, che comprende la beffa.

Così mi tuffo a casaccio.

 

(4 – Continua)

 

 

English Version

 

Capitolo I

Capitolo II

Capitolo III

 

La versione cartacea ed in italiano di questo capitolo è apparsa originariamente questa settimana su «Corriere della Sera - Corriere Fiorentino». La sua traduzione in inglese è di Johanna Bishop.

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