I serial tornano alla coppia?
Coppie felici o infelici, socialite o riservate, realizzate nella loro disfunzionalità oppure irrimediabilmente in crisi. A scorrere l’elenco delle serie americane più importanti degli ultimi dieci anni, è facile scoprire come la vita di coppia, specie quando formalizzata nell’istituto del matrimonio, rappresenti un tema sotterraneo ma portante del racconto televisivo seriale.
Nonostante la centralità assoluta riservata da quelli che vengono definiti quality drama al singolo protagonista, spesso maschio, spesso abitato da un profondo lato oscuro (come Dexter, Walter White e Don Draper, solo per citarne alcuni), emerge con forza una curiosa tendenza a uscire dai confini dell’individuo per eleggere la coppia a vero motore della narrazione. Come se parlare al singolare non fosse sufficiente a raccontare la complessità psicologica di questi tipi umani e bisognasse crearne un doppio, una seconda metà rivelatrice di un retroscena che sfugge alla visibilità della ribalta pubblica: manie, zone d’ombra e virtù nascoste.
Anche quando le serie sembrano parlare d’altro, anche quando paiono all’apparenza condurre lo spettatore in territori “di genere”, dal political al legal allo spionaggio, si palesano poi come potenti riflessioni sulla vita di coppia, sulle diverse possibilità del matrimonio, alternativamente un riuscito strumento di potere e controllo, un trampolino di lancio per le proprie ambizioni, o una gabbia dove trovano dimora due simili infelicità. Dalle mogli trofeo di Don Draper, ultimo retaggio di un’America precedente ai grandi cambiamenti degli anni ‘60 in Mad Men, passando per il matrimonio tra Skyler e Walt che si trasforma progressivamente in collaborazione criminale in Breaking Bad, fino all’estremo culturale della poligamia del mormone Bill in Big Love.
Dimentichiamo il romanticismo. Prendiamo due dei casi più interessanti delle ultime stagioni televisive, il political drama House of Cards e la storia di spionaggio The Americans. Entrambi eleggono la coppia, molto più del singolo personaggio, a vero protagonista della storia.
Più che una descrizione accurata della “macchina” politica della Casa Bianca e del Congresso USA (ci aveva già pensato una volta per tutte la serie The West Wing), House of Cards è in realtà un raffinato apologo sull’istituzione tutta americana della power couple, la coppia di potere, composta in questo caso da Frank e Claire Underwood. Nella realtà, la coppia di potere esiste a Hollywood (i Brangelina, Jay-Z e Beyoncé), nel mondo del business (Bill e Melinda Gates) e certamente nella politica (dove non si trova esempio migliore di Bill e Hillary Clinton): ogni anno, viene stilata una classifica che sancisce la più influente (per la cronaca, nel 2013 sono stati Jay-Z e Beyoncé). Nel mondo d’invenzione della serialità televisiva è diventata un tema d’interesse con le soap ad alto budget degli anni Ottanta (Dallas, Dynasty).
In House of Cards, Frank e Claire danno vita a un matrimonio piuttosto singolare: esistono come individui ma molto più come parti inseparabili di una precisa strategia di coppia, basata sulla consapevolezza che sono molto più potenti insieme che separati. Lui, senatore, vuole diventare presidente degli Stati Uniti. Lei, a capo di una Ong, First Lady. La serie li segue mentre agiscono come masters of puppets di tutti quegli individui, fondamentalmente deboli, che i due protagonisti devono spazzare via per perseguire il loro obiettivo finale. La loro ambizione sembra non avere limiti, né legali né morali.
A lungo ci si chiede se tra i due esista qualche tipo d’intimità fisica che vada oltre il rito della sigaretta condivisa di notte. Il tradimento è parte dei loro accordi non scritti, la verità e la piena trasparenza sono il balsamo che prova a renderlo accettabile. Il romanticismo sembrerebbe un concetto superato, o quanto meno declinato in forme nuove, molto più spregiudicate e aggressive: “La amo più di quanto gli squali amino il sangue” spiega Frank in uno dei frequenti “a parte” che dettano lo stile distintivo della serie. L’unica promessa che le fa quando le propone di sposarlo è “che non ti annoierai mai”. Per il resto, i due seguono poche regole condivise: allenarsi insieme (come fanno il CEO di Yahoo Marissa Mayer e compagno), coltivare le proprie inclinazioni individuali, eleggere il loro progetto comune a ideale supremo a cui essere fedeli, molto più che l’uno all’altra. È un matrimonio di convenienza ma non solo: tra i due s’intuisce un affetto profondo, persino una specie di cameratismo. Basta poco a scoprire che Claire è la vera anima nera della coppia, ben oltre l’immagine canonica della brava moglie dietro ogni uomo di successo. Tant’è che alcune esponenti femministe negli USA hanno aspramente criticato la rappresentazione delle donne nel telefilm.
Uno dei temi fondamentali della serie è il compromesso: cosa si è disposti a sacrificare della propria visione ideale e romantica della vita di coppia, in cambio dell’affermazione sociale? È una dinamica presente anche in The Good Wife, un ritratto raffinato delle conseguenze del tradimento sul matrimonio di Peter e Alicia Florrick: cosa Alicia è disposta a cedere della sua personalità, delle sue aspirazioni, per continuare a essere una “brava moglie”?
Matrimoni affollati, esattamente come quello di The Americans (FX): Elisabeth e Philip Jennings sono due spie Russe che, in piena guerra fredda, l’Unione Sovietica addestra e infiltra negli USA. La loro “strategia matrimoniale” non è funzionale a un’ambizione privata ma elevata al servizio di un bene comune: arrivati in America, devono dimenticare tutto delle loro origini, perdere il loro accento, accettare di essere accoppiati in un matrimonio che per funzionare come perfetta copertura deve prevedere tutte le conseguenze di un (finto) amore, compresi due figli. Anche in questo caso il tradimento fa parte degli accordi: il sesso è un’arma di controspionaggio come un’altra, un modo per servire la madrepatria. Philip s’imbarca addirittura in un secondo matrimonio, per controllare più da vicino un’impiegata dell’FBI. La loro vita è una continua mascherata, fingono per sopravvivere (metafora, in fondo, di ogni matrimonio), ma piano piano la fedeltà cieca al loro ideale rischia di essere scalfita dalla condivisione della banalità quotidiana, dall’arrivo dei sentimenti, dalle esigenze dei figli. Come Claire di House of Cards, anche Elisabeth intreccia una relazione clandestina di vero amore. Come Claire, non esita poi a sacrificarla nel modo peggiore senza mostrare troppe debolezze.
Guai a considerare tutte queste serie come specchio diretto della società: i loro mondi d’invenzione non ce lo perdonerebbero. Senz’altro, però, ridefiniscono il concetto di matrimonio ideale, e, seppur nella loro crudezza, tematizzano con forza l’uguaglianza delle parti della coppia, insieme al rispetto della complessità delle due individualità.