La sensazione della bellezza
Una sala gremita. La folla tiene lo sguardo tenacemente fisso al sipario, in pervicace attesa. “Spettatore” è colui che attende, per suo stesso ruolo, un evento, un’epifania che è promessa, che crea un’aspettativa intensa. Le luci calano lentamente, manifestazione visiva, sensorialmente percepibile, della trepidazione che attraversa la sala, dell’emozione nei riguardi di qualcosa che ancora non si è palesato, ma così misterioso e vivo è nell’aria. Annunciato da innumeri segnali, si trova ancora oltre, in una dimensione prenatale, e conserva il fascino ambiguo e perturbante di ciò che non è ancora sottoposto all’esperienza sensoriale. Si trova come in un limbo, sospeso fra ciò che non è ancora e ciò che sarà.
Sei secondi intercorrono fra la luce e il buio, fra il non essere e l’essere, fra la potenza e l’atto. I sei secondi del limbo, della sospensione, dell’attesa.
Sei secondi: questo è il tempo della bellezza che è un palpito, una fugace attesa, un’improvvisa frenesia. Subito spenta. Essa appartiene all’ambito delle percezioni precognitive, è l’effimera sensazione che proviamo quando entriamo in contatto con qualcosa che ingenera in noi una reazione fisiologica immediata e non filtrata dalla mente razionale. La bellezza risiede in un limbo fra l’oscurità e la luce, non è figlia del pensiero e non può essere compresa razionalmente. Non soggiace ad alcuna logica, è libera, volatile, inafferrabile perché risponde a un’emozione rapidissima e immediata. Ciò che lascia non è un’idea, ma un desiderio. I poeti cantano che “tutte le più belle cose” sono destinate a svanire: esse affascinano proprio in virtù del desiderio suscitato dalla loro assenza.
Seymour si avvale di queste suggestioni per far leva sul grande pubblico: è un designer esperto, deve saper essere accattivante. Perciò studia e teorizza il tempo della bellezza, che ha la stessa durata di una breve emozione. La strategia deve essere rapida ed efficace: solo il primo sguardo è importante e decide per la vittoria o la sconfitta. La conferenza si apre proprio sul tema del tempo, come se tra quest’ultimo e la bellezza vi fosse una sorta di connessione privilegiata e antica, dettata da un’altissima Sapienza. Seymour mostra questo legame con una metafora: un orologio antico reca una piccola scritta sulla rotella di bilanciamento, interna al meccanismo e perciò invisibile. L’orologiaio ne è consapevole, e alla domanda incuriosita del suo cliente risponde: “God can see it”. La piccola scritta è inintelligibile, può essere vista e intesa solo da una mente soprannaturale.
Proprio come la bellezza, che la ragione non riesce a comprendere: può essere colta solo da una Sapienza più alta.