Mi suicido per via dei miliardi di anni

7 Agosto 2014

L’hanno trovato appeso ai tubi del riscaldamento che passano sotto il soffitto del suo garage. Ha passato da un pezzo i cinquant’anni. Sul viso l’espressione e il tipico incarnato degli impiccati, che certo non gli donano, ma è vestito con la cura che tutti gli conoscevano. Indossa pantaloni Avirex kaki, modello Easy fit a tre pince, mocassini Saxone, calzini corti in microfibra rossa di cotone. Nel taschino della camicia di tessuto oxford celeste, fresca di bucato, gli trovano una serie di fogli spillati e ripiegati con su stampato in carattere Times New Roman (direttamente derivato dall’iscrizione che sovrasta la porticina del basamento della Colonna Traiana a Roma), 14 punti, giustificato, il testo che segue.

«Mi suicido. Ho deciso che mi suicido perché una qualsiasi formica può sempre camminarmi sulla pelle. Mi suicido perché qualora voglia ucciderla dovrò schiacciarla su di me e perché un’altra formica potrà sempre subentrare alla prima. Schiacciarmi addosso formiche e zanzare e tutti quegli esseri infimi e invisibili che fanno del mio corpo il loro territorio di caccia, che non hanno alcuna nozione della mia esistenza, ammesso che possiedano un’idea di esistenza, mi fa disperare al massimo, e il massimo vuol dire una disperazione che porta al suicidio. Un buon suicidio ristoratore, dopo tanto inutile doloroso fastidioso tedioso vivere mescolato ad ogni forma di materia, vivente e non-vivente, ammesso che questa distinzione sia davvero fondata. Mi suicido perché non sopporto l’idea che qualsiasi micro-organismo, che qualsiasi virus, qualsiasi batterio può, in qualsiasi momento, entrarmi nel corpo e infestarmi/infettarmi, servirsi di me per i suoi scopi, per i suoi microscopici freddi egoismi. Mi suicido perché uno scarafaggio può sempre camminarmi tra i piedi (ma può anche salirmi sui pantaloni correndomi come un pazzo su per le gambe), perché una scolopendra può arrivare ovunque, perché esistono le scolopendre, perché esiste la stessa parola: sco-lo-pen-dra.


Però mi suicido anche perché la stella che tiene in vita me e tutti gli altri organismi di questo pianeta − eccettuate forse certe abominevoli creature che vivono negli abissi attorno a certe bocche vulcaniche che da milioni di anni sputano roba calda nel buio − perché questa stella, dicevo, è un fuoco maligno che non puoi guardarlo, pena l’accecamento. Mi suicido perché odio il sole negli occhi, ma anche perché aborro il cattivo tempo. Mi suicido perché esistono i milioni, i miliardi di anni. Mi suicido perché non sopporto l’instabilità caotica degli elementi del cielo, l’imprevedibilità del tutto. Io mi suicido perché odio l’imperfezione e l’incertezza, perché ho come pre-installate in mente queste idee di perfezione di politezza di geometria che mi tormentano. Cioè mi suicido non a causa di queste idee, ma a causa della loro totale non corrispondenza con la realtà, che è confusa caotica sudicia lercia. Mi suicido perché sono perseguitato da scorie e residui, dai frammenti, dai rifiuti, dalle immondizie, che si appiccicano dappertutto, che bisogna togliersi continuamente di dosso, che occorre spazzare dai pavimenti, lavare via dagli abiti, smaltire ogni giorno in milioni, miliardi di tonnellate.


Mi suicido perché ci vogliono cinquanta chili metti di sardine per fare un chilo di tonno di allevamento. Mi suicido perché il solo mezzo di cui dispongo per dire di tutto questo, le parole, sono profondamente compromesse con ciò di cui dovrebbero solo dire. Mi suicido perché l’unico linguaggio veramente puro, quello matematico, non si trova alla mia portata mentale. Mi suicido perché amo il vento e amo l’aria ferma e se c’è l’uno desidero l’altra e viceversa. Mi suicido perché sono un corpo fisico così detto pensante, vale a dire condannato, come ogni altro essere vivente ma in misura abnorme e ossessiva, a pensare costantemente, di giorno in modo più o meno conscio, di notte sotto forma di sogni. Mi suicido perché non tollero la contraddizione tra la matematica e il catarro, tra l’astrazione e la merda, tra l’idea di purezza e la sugna umana.

 

Mi suicido perché puzzo, perché per quanto possa lavarmi l’istante che segue la cessazione del lavacro coincide sempre con l’istante in cui ricomincio a puzzare. Mi suicido perché praticamente tutto ciò che esiste ha un odore, di solito sgradevole. Mi suicido perché non sopporto di essere un tubo digerente gastro-intestinale, un mangiatore di altri organismi, animali o vegetali che siano, un masticatore di cefalopodi fritti, uno succhiatore di molluschi vivi, un riduttore di altra vita a poltiglia intrisa di saliva da deglutire e ingerire e successivamente orribilmente lavorare nell’officina acida del mio stomaco e poi giù nelle cavità sempre più fetide e batteriologiche dell’intestino. Mi suicido perché sono costretto a partecipare alla «giostra della vita» e mio malgrado a goderne senza riuscire a approvarne un solo istante. Mi suicido perché una semplice frittata è fatta di gameti sottratti a organismi che discendono dai dinosauri, perché il burro e il formaggio sono solo fetido caglio di fetido siero animale. Mi suicido perché appartengo a una specie capace di assoggettare torturare e uccidere tutte le altre, ad eccezione di quelle microscopiche, di cui invece è schiava. Mi suicido perché sin dal primo istante della mia nascita non sono stato altro che un portatore e diffusore di batteri, acari e altri oscenità biologiche.


Mi suicido per il mio non poter essere in nessun modo un minerale invece che un animale, per la mia irrimediabile appartenenza alla bio-sfera e alle sue leggi. Mi suicido per questa disperante sottomissione alla natura, vale a dire al cumulo caotico di macerie animali e vegetali e minerali che si rivoltola su se stesso e ribolle da miliardi di anni, senza accennare a in alcun modo a smettere. Mi suicido perché in quanto morto e cremato tornerò a scindermi in atomi di carbonio, perché voglio il gelo il vuoto il silenzio eterno dello spazio inter-planetario, inter-stellare, inter-galattico. Mi suicido perché una frase musicale di Thelonius Monk è sempre lì, aperta e inconclusa a tormentarci per l’eternità: e qualora invece si chiudesse non mi piacerebbe, perché non potrei più considerarla incerta e disturbante e squilibrata, come dev’essere. Mi suicido perché un assolo di John Coltrane è un unicum assoluto, irriproducibile, enigmatico, senza possibilità di redenzione, di vera comprensione, di appagamento, di stasi, di riposo, di perdono. Mi suicido perché non sopporto di vivere nell’instabilità del moderno e allo stesso tempo perché non sopporto qualsiasi cosa abbia forma stabile. Insomma, mi suicido perché resto indissolubilmente ancorato al modernismo novecentesco che, dopo tutta la fatica fatta per capirlo accettarlo amarlo, adesso è lì che sprofonda nel trascorso della storia, e io con lui.

 

Mi suicidio perché dopo averli lavati e strofinati e curati a dovere i miei piedi ricominciano le loro attività preferite, che consistono nel fermentare, nel farmi male quando cammino, nel non sopportare alcun tipo di calzatura. Mi suicido perché i piedi più li guardo e più ci vedo un paio di mani deformate incomplete imperfette, con dita che un tempo furono prensili e che adesso non sono altro che inerti piccoli sudici tronchetti di materia viva emergenti da stupide callose pagnotte di carne. Insomma mi suicido perché ho dei piedi. Mi suicido perché mi fanno male le mani e il collo e il colon, perché mi sembra che il mio buco del culo non chiuda bene, perché il mio iato gastrico è sfiancato, perché è ora di mettere la parola fine alla mia costante paura di morire, alla continua ricerca di sintomi e avvisaglie della fine. Mi suicido per la mia incapacità, ormai comprovata ma mai accettata, di stabilire un patto termico con l’ambiente che mi circonda, motivo per il quale non sono mai in equilibrio e quindi ho freddo oppure ho caldo e non sto mai bene. Ho deciso di uccidermi anche per questa mia cronica impossibilità di stare bene, di sentirmi a posto, di stare comodo, privo di disagi, per la mia incapacità di conversare rilassato, di interessarmi moderatamente a quello che mi dicono – o non me ne frega un cazzo oppure mi interessa moltissimo −, e quindi per l’incapacità a stabilire normali rapporti di cortesia con altri esseri umani.


Mi suicido perché mi guardo allo specchio e non mi piaccio: per piacere a me stesso dovrei essere meno umano, più scimmiesco peloso primitivo, dovrei avere un bel paio di zanne innestate su una mandibola e una mascella prominenti e robuste, dovrei possedere una bella cresta ossea sulla sommità del cranio dove potesse aggrapparsi un enorme muscolo masticatorio: insomma per piacermi dovrei somigliare a quei magnifici fossili di pitecantropi ancestrali, specie di creature che campavano sì e no vent’anni, scopavano in continuazione e morivano ben prima di diventare nonni, prima del mal di schiena, della prostata, dell’impotenza, del mal di denti, della malattia paradontale, dell’artrite reumatoide e di tutto ciò che oggi per me costituisce motivo e materia di suicidio, di auto annientamento preventivo, di profilassi della morte…


Mi suicido perché delle donne difficilmente amo il corpo e lo spirito allo stesso tempo, ma se succede − ed è successo − allora è troppo. Mi suicido perché man mano che invecchio le desidero sempre più intensamente. Mi suicido perché ogni volta che vedo una donna che mi piace – succede continuamente – è come se la vedessi da dietro un finestrino partire su un treno che va in direzione opposta rispetto al mio. Mi suicidio per tutte le parole senza senso, di cui mi vergogno, che ho dovuto pronunciare per convincerle a giacersi con me nell’illusione, sempre confermatasi tale, di poterle possedere. Quindi mi suicido per l’impossibilità del possesso. Mi suicido per l’inattuabilità delle mie, forse normalissime, fantasie sessuali. Mi suicido per amore della fica, del suo odore e sapore e colore, ma non di qualsiasi fica, solo di quelle fiche che ho adorato non solo in quanto fiche, ma in quanto appartenenti a meravigliose creature. Mi suicido perché per tutta la vita ho percepito che il sesso è impastato di violenza e ne ho goduto. Mi suicido perché esistono capezzoli insostenibili.


Mi suicido perché le stelle sono così lontane che ogni volta che ci penso sto male. Mi suicido perché quando le vedo non riesco mai a trovare la stella polare. Mi suicido perché ho scaricato l’apposita applicazione Stellarium per iPhone, ma non so usarla. Mi suicido perché sto sempre lì, con l’iPhone in mano, come uno stronzo qualsiasi. Mi suicido perché sono uno stronzo qualsiasi. Mi suicido perché non ho letto e mai leggerò Guerra e Pace. In particolare mi suicido perché mi blocco sempre sulla pagina dove un nobile dissoluto beve vodka in piedi sul davanzale di un palazzo di Pietroburgo. Mi suicido perché Pietro il Grande non volle realizzare la città-guscio di forma ovoidale progettata da Le Blond. Mi suicido perché ogni utopia socialista è finita nel tritacarne di regimi intollerabili, perché il capitalismo dobbiamo tenercelo, perché ogni alternativa reale o presunta è morta e non interessa nessuno. Però mi suicido anche per nostalgia di piani quinquennali sovietici cui mai ho partecipato, di parate e manifestazioni del primo maggio a Mosca, viste solo in spezzoni di documentari. Mi suicido per non essere stato un artista di regime, libero dai dilemmi piccolo-borghesi dell’auto-espressione e dell’originalità e completamente al servizio del popolo. Mi suicido per non essere mai stato un buon ritrattista di Stalin. Mi suicido perché Giotto, lui sì, era un artista al servizio del popolo. Mi suicido perché Maso di Banco ha steso colori inauditi. Mi suicido per quella Montagna che sorge dal mare nell’Apocalisse di Giusto dei Menabuoi, a Padova, di fronte alla quale stupisco e disprezzo me stesso. Se proprio devo dirla tutta, allora dico che una della cause principali del mio suicidio sono certi quadri di Rothko, guardando i quali sono stato travolto dal piacere e dalla stupefazione, ma soprattutto dall’invidia del riuscire a essere artisti in quel modo.


Mi suicido perché so che la prossima rivoluzione sarà planetaria e catastrofica, ma non sarà domani né dopo-domani, ci vorranno anni e anni prima che accada qualcosa di nuovo e di inaudito. Dunque mi suicido per la tristezza che mi provoca il non poter vedere i cadaveri dei potenti e dei ricchi di oggi pendere appesi per i piedi da qualche architrave. Mi suicido per mancanza di una qualsiasi avventura politica. Per l’imperfezione di ogni società umana passata e presente e futura. Per l’ingiustizia e la disperazione presenti ovunque. Mi suicido perché so che anche la più travolgente inaspettata entusiasmante delle rivoluzioni, dopo la catarsi dei primi mesi, dei primi pochi anni, non farà che produrre nuovi tipi di società inaccettabile. Mi suicido perché i peggiori hanno sempre prevalso, perché tuttora prevalgono, perché prevarranno anche in futuro, anche nel più lontano dei futuri, qualunque direzione possa prendere la Storia del Tutto. Anzi non è vero che mi suicido per motivi politici, per la fame e per l’ingiustizia nel mondo, per la distruzione dell’ambiente, eccetera, in realtà mi suicido perché di tutto questo, cioè del così detto Male, non me ne frega un cazzo. A dirla tutta (voglio essere sincero, almeno adesso) questo suicidarmi per motivi per così dire civili è solo una posa, un atteggiamento che volevo assumere per i posteri, per farci buona figura durante il funerale laico (con Flamenco sketches, pezzo n.5 di Kinds of Blue, come struggente musica finale). In realtà mi suicido più perché esistono gli scarafaggi, che per protesta contro le ingiustizie nel mondo: mai potrei compiere un gesto estremo a fini simbolici, come fecero metti Bobby Sands, Ian Palak. La vita è cosa troppo lurida & personale per darla via in nome di una causa importante, forse vera, magari anche giusta. Mi suicido perché ho vissuto tutto il tempo della mia esistenza a crogiolarmi e a grofolare nella pace, senza mai venire a sapere qualcosa di me stesso, per esempio se sarei stato capace di partecipare a un combattimento di aerei da caccia senza darmela subito a gambe. In effetti mi suicido per non essere mai salito su uno Spitfire, per non averlo mai condotto contro un Messerschmitt 109 sparando all’impazzata con tutte le armi di bordo.


È da molto tempo che ho preso la decisione di suicidarmi. Per la precisione è da quando ho appreso che esiste una vespa che punge e paralizza le coccinelle, gli deposita nel corpo le proprie uova e le lascia in vita finché le larve non la divorano completamente da dentro: cioè mi vergogno di avere un antenato in comune con questa vespa. Ma a farmi suicidare bastano le condizioni in cui i miei simili allevano polli maiali tacchini oche eccetera.

 

Mi suicido per l’esistenza delle zecche, perché è inaccettabile la capacità che hanno di percepire l’odore dell’acido butirrico della pelle animale e quel loro lasciarvisi cadere sopra, come in uno svenimento, nell’attimo stesso della percezione, quel loro aggrapparsi con gli uncini che hanno alle estremità delle zampe, quel loro penetrare appena sotto pelle e cominciare a succhiare: la certezza di avere un antenato comune anche con la zecca mi riempie della disperazione necessaria a compiere l’atto supremo di togliermi dal mondo. Insomma mi suicido perché faccio parte del così detto albero della vita e dunque sono parente persino della scolopendra che ho schiacciato stasera su una parete della mia casa. Mi suicido perché tutti gli ammirevoli scogli che se ne stanno fermi da secoli nel mare sono solo lacerti di qualcos’altro, sono frammenti staccatisi da un tutto che a sua volta derivava da un altro tutto e così via, nella silente mutazione perenne della crosta di un pianeta che vorrei invece stabile liscio geometrico eterno. E già il fatto che possieda una crosta è fonte per me di sorda disperazione. Mi suicido perché le sostanze non hanno un vero confine tra loro, perché le molecole dei composti e degli elementi si sfarinano nell’aria, si sciolgono nell’atmosfera trasformandosi in odori. Mi suicido perché non sopporto di vivere immerso in questa eterna confusione molecolare, in questa mescolanza di tutto con tutto, in questo incessante reagire delle cose con altre cose e con la mia stessa materia, di cui ho già detto tutto il mio disgusto. Mi suicido per l’impossibilità di stare al mondo pensando e facendo cose con un minimo di coerenza, di coscienza, di consapevolezza.


Mi suicido perché il dolore verrà. Perché ne sento le avvisaglie. Mi suicido perché non esiste un altro modo di vedere che non sia quello del cono prospettico, cioè mi suicido perché è impossibile percepire la realtà in vera forma. Ma soprattutto mi suicido perché esiste il prurito, perché esistono lo smegma, la forfora, le perdite bianche, il muco intestinale, le caccole, il pus, il grasso cutaneo, i follicoli, i peduncoli, i succhi gastrici, le ventose, la fauna intestinale, perché esistono lo strisciare e il formicolare e il sudare. Mi suicido perché sono misantropo e misogino, ma ho bisogno degli altri, perché le tastiere sono nere (invece che bianche), perché il futuro ipotizzato dalla fantascienza degli Anni Cinquanta non si è realizzato, perché esiste il lievito-madre, per la perenne estenuante noiosissima pulizia dei denti e, in genere per le impurità presenti nell’acqua potabile».  

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