La cultura, come l'arte e la danza, non è lavoro / Flânerie ed ebraismo a Rio de Janeiro

11 Settembre 2017

Passeggiare per Rio de Janeiro dà una strana sensazione, come camminare dentro un nastro di Moebius, le vie ruotano di continuo attorno alla città, marciapiedi coperti dalla calçada portuguesa, che, con l'usura, si disconnette e diventa scivolosa. Sono giorni di pioggia. È agosto e ad agosto a Rio fa freddo, come qui a marzo o a ottobre. Qui tutto è vecchio, non antico, quasi antico. Sembra di stare in una città anni Sessanta (prima di allora non me le ricordo le città) anche se non manca la tecnologia avanzata. 

 

Per comprare una scheda telefonica per il cellulare devi andare dentro al chiosco del giornalaio, che ha sempre un banchetto dove avviene la ricarica. Con 20 Reais ti danno una settimana di colloqui telefonici, forse di più, a volte ti regalano un bonus di 10 Reais, ti danno 2000 megabyte di connessione a internet, sempre in questo chiosco cadente arrugginito, vecchio. Per le strade vendono scarpe e zoccoli usati, radioline, braccialetti vecchi, stetoscopi (ne ho comprato uno a 3 Reais). Per dare un'idea di questo Real brasiliano, per capire a che spese si va incontro, bisogna considerare che oggi un Euro vale circa 3.70 Reais, quindi uno stetoscopio da mercatino, vale circa 80 centesimi. Fare turismo a Rio, con poca spesa e grandissimo godimento, non è pericoloso se non ci si comporta da italiani esaltati. Andateci! A dicembre fa 40 gradi e possiede chilometri di spiaggia.

 

Sono da poco terminate le Olimpiadi, che hanno impoverito la città in virtù degli imbrogli e delle corruzioni più spietate, qui il governo della città (come quello del Brasile) fa a gara a chi è più corrotto, chi è più corrotto prende più voti. Le Olimpiadi hanno scoperto antichi sarcofaghi della storia di questa città. Qui e là gli scavi hanno fatto emergere fosse comuni.  Gli schiavi morti sulle navi durante le deportazioni dall'Africa. Sono passati quattro anni dall'ultima volta che ci sono stato. Si parlava di pacificare due tra la più grandi favelas: Dona Marta e Rossinha. Oggi il degrado è aumentato, le favelas sono peggiorate, dopo i tentativi di pacificazione dell'epoca di Lula – accusato di corruzione – la corruzione è decuplicata e quelli che accusavano Lula sono i nuovi corrotti, indifferenti. Proteste per le strade, proteste nelle università; l'Università di Stato di Rio de Janeiro, dove Jurandir Freire Costa invitò Michel Foucault a tenere seminari, all'inizio degli anni Ottanta, è in bancarotta.

 

Però Rio ha un tessuto poetico sottostante che resiste a ogni disequilibrio politico, a ogni disastro economico. Nossa Senhora da Lamapdosa, designato da Dubosc in Approdi e naufragi come luogo in cui gli schiavi Yoruba hanno meticciato la credenza degli Orisha con la figura di San Benedito, francescano nero e della madonna nera, sono ancora là con le loro statue, la chiesa è aperta, anche se cade a pezzi, giusto dietro Praça Tiradentes. A Praça Sao Salvador la gente (seconda persona plurale in Carioca) continua a suonare il Chorinho, ogni domenica mattina, con pazienza, con passione. A rischio è invece il Samba del lunedì sera a Pedra do Sal, che in passato era il luogo del commercio degli schiavi in catene. Coloro che erano sopravvissuti al viaggio, che non venivano seppelliti nelle fosse comuni, erano là, incatenati. Là fu inventato il samba. 

Purtroppo un nugolo di discoteche mettono la musica globalizzata dei neri capitalisti degli Stati Uniti a tutto volume. Solo l'ultimo locale sotto la salita di Pedra do Sal è rimasto fedele al Samba, dopo la performance, che non si riesce quasi più a sentire, un nero protesta contro le discoteche che fanno solo musica rap dei neri capitalisti e globalizzati, che vogliono distruggere la tradizione. Grida, invita i turisti a comprare la birra solo in quel locale. Ma i turisti – che vengono dal Brasile, dall'Argentina e dall'Europa – vanno a Pedra do Sal per sentire loro, nessuno si ferma presso una delle tante discoteche che si può trovare, identica, a Milano, a Barcellona, a Monaco, a Varsavia, a Minneapolis e a Forlimpopoli.

Io sono qui per lavorare, un congresso, un seminario e un lavoro di supervisione clinica, ma questo congresso lascia il tempo per camminare. Grandi passeggiate rotonde come su curve matematiche, che ti fanno girare un poco la testa e ti fanno perdere il poco orientamento che possiedi.

 


 

Una delle cose più interessanti di Rio è la comunità ebraica. La più grande scrittrice Brasiliana, è ebrea, di origine Ucraina, vissuta tra Salvador Bahia e Rio de Janeiro: Clarice Lispector. Io la paragono a Joyce, Virginia Wolf, Conrad. Ma lo stile di Lispector è unico e irriducibile a qualsiasi paragone. Segue una mia discutibile traduzione di un frammento di uno dei suoi migliori romanzi:

 

"Una forma contorna il caos, una forma dà costruzione alla sostanza amorfa – la visione di una carne infinita è una visione folle, ma se tagliassi la carne in pezzi e la distribuissi per i giorni e per la fame – non ci sarebbe più perdizione e follia: ci sarebbe di nuovo carne umanizzata. La vita umanizzata. Avrei umanizzato troppo la vita". (La passione secondo GH, traduzione mia)

 

Oggi questa profezia rammenta l'umanizzazione da supermercato imposta dalla globalizzazione. Ma questa descrizione del Caos, come “carne infinita” e del Cosmo come “distribuzione alimentare” sembra andare al di là del Chaosmos di Joyce e Deleuze, sembra un Chaosmos femminile, un Oltre-Chaosmos. Marca la differenza tra i numerosi mercati e supermercati che si trovano in zone come Praça Do Machado – o i grandi shopping center dei quartieri di lusso – e la vita delle favelas, dove la carne è carne della propria carne, carne da accoltellare, sbudellare, annientare.

GH, la donna raccontata da Lispector, si trasforma dopo avere mangiato la sostanza bianca di uno scarafaggio schiacciato. Cosa che richiama la Metamorfosi di Kafka, ma per via orale, attraverso la deglutizione, come in Melanie Klein. Solo una donna – Emily Dickinson, Melanie Klein, Julia Kristeva, Camille Paglia, Clarice Lispector – può premettersi queste meravigliose ipotesi del disgusto e trasformarle in poesia, letteratura, psicoanalisi.

 

Questa visita a Rio mi ha anche permesso di incontrare una nuova esperienza, l'esperienza della cultura ebraica. Si tratta di un ebraismo affatto particolare, che si divide dalla forma ortodossa, altrettanto presente – quella della Sinagoga Lubavitch – giusto di fronte alla sua alternativa: il Centro Midrash. Silvia Londirski Vaks mi spiega le differenze, ma soprattutto mi fa incontrare Halina Grynberg, la sua migliore amica, una sorta di Yiddish Schwester (sorella). 

Halina Grynberg psicoanalista e scrittrice, la incontro a casa di Silvia. Di Grynberg ho recensito, su doppiozero, il libro Mamelosh, opera letteraria dedicata alla madre, scritta in Portoghese Carioca, con una matrice che, fin dal titolo, richiama l'Yiddish, in una meravigliosa traduzione italiana.

 

Halina mi racconta di essere stata sposata con uno dei più importanti clarinettisti del mondo, Paulo Moura, e mi regala un libro scritto a quattro mani: Um solo brasileiro

Halina mi regala anche il suo ultimo romanzo, dedicato al Padre: O padeiro polonês (“Il panettiere polacco”), che sto leggendo in portoghese non senza fatica (la grande letteratura è ben più complessa da leggere rispetto alla saggistica); credo che Giunti, che ha fatto tradurre il testo precedente, abbia il dovere di tradurre anche questo testo, uscito nel 2015, e di non fare attendere il pubblico italiano altri 15 anni, come nel primo caso.

Incontro dunque questa cultura Yiddish/Carioca. Qualcosa di unico, irriproducibile, che ha le sue radici in una delle più grandi scrittrici dell'epoca moderna, Clarice Lispector, e nella migrazione di migliaia di ebrei Askenaziti, spesso prima della Shoah, durante i pogrom quotidiani negli shtetl, i villaggi rurali dove vivevano gli ebrei dell'Europa orientale. 

 

Si suppone che il mio seminario venga tenuto presso il Centro Midrash di Leblon (una delle zone più belle di Rio). Nilton Bonder uno di più famosi rabbini del mondo, ci darà ospitalità. Strano, il seminario è programmato il giorno di Sabato. Rimango sbalordito. Pure Nilton Bonder sostiene che la cultura, come l'arte e la danza, non è lavoro. Di sabato si può danzare, cantare, dipingere, leggere un romanzo, fare cultura. Certo gli amici della Sinagoga di fronte non saranno d'accordo, ma non mi pare che scorra la simpatia tra le due istituzioni e penso che il vero spirito Yiddish stia da questo lato della strada.

Durante la cena di Shabbath, il giorno precedente, a casa di Silvia, che mi ha invitato, incontro per la prima volta Halina, sono emozionato. Poi, dopo un abbraccio, è come se ci conoscemmo già, come essere tra alcuni vecchi amici: Halina, Silvia e la sua famiglia. Dopo, l'accensione delle candele, il Kiddush, la coppa di vino e alcuni canti in ebreo e in yiddish, inizia la cena. Naturalmente avevo indossato una Kippah che mi ero portato dietro, la comprai a Cracovia, presso il festival ebraico, una Kippah presa dopo avere visitato per la seconda volta Auschwitz. Una Kippah che mi regalò mio fratello di adozione, di elezione reciproca: Marcelo Pakman, ebreo Askenazita.

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