La guerra contro

2 Gennaio 2024

Contro chi si faceva guerra

Di solito ci si dichiara contro la guerra, chi non è contro la guerra? Sul piano del principio morale è giusto, ci mancherebbe! Siamo tutti contro la guerra, uomini, donne, anziani e bambini. Chi si direbbe oggi a favore della guerra? Come ogni valore morale, anche questo è trascendente, universale. Tutti a favore della pace, eppure il motto “se vuoi la pace prepara la guerra” continua a dominare nella mente dei più.

Sovente la guerra è dichiarata con l’intenzione paradossale di far finire la guerra, persino Hitler pensava che lo sterminio degli ebrei avrebbe creato un mondo ariano di totale identità, senza “residui”, perfetto. 

Sul piano dell’immanenza – quello del rumore sordo della battaglia – si è spesso a favore di “questa” guerra, quella che si sta combattendo. Thomas Mann fu a favore della belligeranza tedesca durante la Prima guerra mondiale, si trovano i motivi della sua presa di posizione in Considerazioni di un impolitico, ugualmente Max Weber.

A scuola ci insegnano a rispondere che la guerra si fa “contro il nemico”. Ma chi è il nemico? Al cinema, ove a tratti la guerra ci appare edificante, ci mostrano il campo di battaglia: maschi armati vestiti di blu – i ricchi a cavallo, i poveri a piedi – contro maschi armati vestiti di rosso – i ricchi a cavallo, i poveri a piedi – che si massacrano tra loro, vince chi ha più superstiti dopo il massacro. Tra i sopravvissuti, gente traumatizzata che finirà la propria vita in un ospedale per veterani; maschi contro maschi. Il fenomeno della nostalgia – dolore del ritorno – fu inventato da Johannes Hofer (1669-1752), uno studente di medicina che osservò questa sindrome presso i soldati mercenari, pagati per combattere, che conoscevano il mestiere della guerra. Quei mercenari che soffrivano di nostalgia venivano immediatamente rimpatriati perché la nostalgia era un fenomeno epidemico, si diffondeva attraverso il canto. La guerra assumeva allora, a torto o a ragione, forma amministrativa. Per esempio, era dovere dell’esercito vincitore mostrare l’onore delle armi all’esercito sconfitto, c’erano forme di sopraffazione che non venivano tollerate neppure in guerra, insomma c’erano dei codici. Fino alla prima guerra mondiale il massacro avveniva tra maschi, il titolo italiano di Cavaliere di Vittorio Veneto, ottenuto dai pochi sopravvissuti, era lo stigma di sopravvivenza a due fuochi, quello nemico, di fronte, quello amico, degli ufficiali che stavano in retroguardia, alle spalle. Insomma la guerra era un affare tra maschi, benché le donne e i bambini soffrissero nelle loro case, le loro vite erano in buona parte risparmiate dall’assassinio e dalle razzie. 

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Assassinii e razzie ce n’erano in quantità, basti pensare ai pogrom contro gli ebrei, alla deportazione di schiavi dall’Africa verso le Americhe, ecc. Ma erano fenomeni distinti, la guerra aveva un’amministrazione e una connotazione proprie. Potremmo dire che, essendo un fenomeno istituzionale, la guerra era regolata: la continuazione della politica con altri mezzi.

Contro chi si fa la guerra oggi

La guerra contemporanea è un fenomeno di deregulation liberistico. Nasce con il rogo dei libri a Berlino. Rivela come sarebbe stato il mondo se Hitler avesse vinto. Se i nazisti avessero vinto la guerra di purificazione ariana, molti testi non sarebbero stati scritti e quelli esistenti allora sarebbero stati bruciati; non ci sarebbe più la scrittura. 

Autori come Ray Bradbury e François Truffaut ci hanno raccontato Fahrenheit 451, una storia che prende ispirazione dal rogo dei libri: una società fatta di televisori piatti, benzodiazepine per l’ansia e concorsi televisivi. Sembra la nostra! Ma anche in quell’opera restano residui umani nel bosco, gli uomini-libro. Eppure nel 1945 in Europa Occidentale aveva vinto la democrazia. 

Oggi qualcosa sta cambiando, ci stiamo risvegliando da un idillio? Se sul piano storico non ci sono dubbi che Hitler abbia, fortunatamente, perso la guerra, che dire del piano fantasmatico? Le madri del dopoguerra ci dicevano che Hitler non era morto, che allignava nascosto in attesa di riprendere il comando, ci dicevano che saremmo stati annientati dalla bomba atomica, ricordando Hiroshima e Nagasaki, noi ascoltavamo inquieti queste parole disperanti, ma vivevamo bene, figli del boom economico.

Oggi mi chiedo se le angosce delle madri del dopoguerra non avessero, a modo loro, avuto ragione: che Hitler abbia vinto e noi non ce ne siamo accorti? In questo caso avrebbe vinto nell’inconscio, dentro quel mondo onirico che ci abita, ma il cui controllo ci sfugge – “cosa racconterò questa volta all’analista, ché ho scordato il sogno” –, viceversa: la nostra vita quotidiana, quella che ricordiamo, potrebbe, a sua volta, essere un sogno dal quale non riusciamo a svegliarci. Adesso, qui, mentre scrivo, sono – siamo – dentro un sogno collettivo? 

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L’incubo dell’orco

Nell’Uomo senza qualità, pubblicato a Berlino tra il 1930 e il 1933 – gli anni dell’avvento di Hitler – Robert Musil, descrive Moosbrugger: uno stupratore violento, senza ritegno, privo di morale, che non si giustifica, ma agisce. Oggetto di discussione in merito alla questione del libero arbitrio e dell’infermità mentale. Ulrich, il personaggio chiave del romanzo, pensa a Moorsbrugger e si esprime così: “Se l’umanità potesse fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger”.

Se non ricordo male, nel racconto di Musil, Moosbrugger massacra prostitute (donne), ma ha uno sguardo innocente, infantile. Potremmo considerarlo il paradigma della guerra in atto. La guerra, come lo sguardo innocente di Moosbrugger, possiede una dottrina della giustificazione, direbbero i teologi: “si fa guerra” per affermare l’identità, che il nemico vuole distruggere, la religione (il legame all’indietro), la razza (qualsiasi cosa sia), il mito fondativo; oppure per ottenere il sol dell’avvenir; luoghi della trascendenza che giustificano il gesto. In Moosbrugger la giustificazione è lo sguardo innocente, che sembra pretendere: l’infermità mentale.

Oltre Moosbrugger, personaggio di finzione, c’è Jack lo squartatore, autore di episodi reali. Secondo alcune versioni, Jack non è altro che il chirurgo di Corte che squarta le prostitute per salvare l’erede al trono che le frequentava, non senza un certo godimento sadico-scientifico, come nel film dei fratelli Hughes. 

Un altro personaggio paradigmatico è Abel Tiffauges, nell’opera Il re degli ontani di Michel Tournier. Tiffauges – meccanico francese, fotografo pedofilo di bambine – si ritrova nella campagna tedesca a reclutare bambini da arruolare nelle Schutzstaffel – le SS – al servizio di Hermann Goering. Maschietti tredicenni massacrati dalle truppe sovietiche. 

Jack lo squartatore, Moosbrugger, Abel Tiffauges e altri orchi simili oggi sono tra noi. O forse siamo noi, siamo noi il prodotto del nostro inconscio?

La guerra contro le donne

Oggi, in epoca di deregulation, contro chi si fa la guerra? Non sono i valori morali trascendenti dell’una o dell’altra parte che si affermano in guerra. Invero, in ogni guerra, si tratta di guerra contro il genos, ogni guerra è un genocidio. Forse è sempre stato così, e l’invenzione di codici regolativi della guerra è sempre stata solo un’invenzione, o un evento raro, un sogno proiettivo, un’idea trascendente.

In un testo collettivo, edito da Mimesis nel 2017, Mariella Farioli, nota grecista, scrive:

Polemos d’andressi melesei, avrebbe detto Bush se avesse conosciuto il greco, «la guerra è affare di uomini». Il concetto è infatti molto antico: in Grecia ne troviamo la prima testimonianza letteraria nel famoso dialogo tra Ettore e Andromaca nel sesto libro dell’Iliade.

Il suo saggio si intitola “Le dita tagliate delle donne greche: femminile guerra e cittadinanza”. Farioli si dedica da anni alla ricerca delle origini del disprezzo e dell’ostilità verso il mondo femminile nella letteratura greca e ritrova là alcune delle origini della guerra. In altri suoi scritti, antecedenti e successivi, come “Ghynaikophobia. Angosce maschili nella letteratura greca e oltre”, Farioli mostra la verità della guerra. Riassumerei la sua ricerca in questi termini: la verità è che la guerra è sempre stata una pratica di aggressione contro le donne. “L’avversione nei confronti del genos gynaikon si esprime spesso in forma virulenta” scrive Farioli. 

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In questo caso, ciò che oggi chiamiamo “pulizia etnica” è solo l’aspetto più scandaloso della guerra, ma la guerra è già “pulizia etnica”, eliminazione sistematica del genos, eliminazione sistematica delle donne e delle bambine. I bambini invece, come in Abel Tiffauges, vengono già educati a imparare a farla, la guerra. Come mostrano le immagini mediali dei bambini armati.

Il mio lavoro con l’inconscio – sogni, deliri, dissociazioni, trance, più o meno etniche, stati allucinatori – mostra l’emergere dell’insensato nel linguaggio, anche attraverso una sorta di deposito – il magazzino che Freud descrive quando menziona l’assenza del tempo – un magazzino affastellato di ricordi nascosti, irraggiungibili, indescrivibili, persino impensabili. Privilegio dell’inconscio, questo magazzino patriarcale, senza inventario, contiene la ginecofobia cantata nei poemi e teorizzata nella filosofia degli antichi; tramandata nei nostri saperi razionali e nelle nostre fantasie, intrise di questa virulenza e di questa fobia per le donne. 

Ma è sotto gli occhi di tutti, lo dicono i telegiornali e lo scrivono i giornali: durante ognuna di queste guerre, chi viene ucciso sono le donne e le bambine, così l’attacco terroristico di Hamas, la distruzione dei villaggi da parte di Putin. Esempi in cui il nemico è solo “figura di copertura” – Ucraina, Israele, Palestina – che sta al posto di “mia madre”, “mia sorella”, “la mia compagna”. Le guerre dichiarate contro le donne da parte dei guardiani della rivoluzione, in Iran e dei talebani, in Afganistan non sono altro che il disvelamento della copertura della guerra, il vero nemico è il genere.

La guerra, dal punto di vista clinico e antropologico, è un sintomo maschile. Quando Freud scrive a proposito della “mobilità degli investimenti”, un altro privilegio dell’inconscio, usa il termine tedesco: Besetzung. Besetzung vuol dire “occupazione militare di un territorio”. Chi ha detto che in Freud l’inconscio è un mero affare dell’Ego, dal quale l’Ego di dovrebbe liberare, si è sbagliato. La guerra, che è geno-cidio, assassinio del genere, di donne e bambini, è il sintomo chiave, il più grave, della specie umana. La domanda che mi pongo, riprendendo il titolo di un bel libro di Natale Losi (ed. Harmattan, 2015, vedi recensione qui), è: come fare a “Guarire la guerra”?

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