Gigi Cifali. A pochi centimetri dalla storia

16 Aprile 2015

È caratteristica comune a molti artisti delle ultime generazioni guardare alla storia degli ultimi cinquant'anni con rinnovato interesse, riportando l'attenzione su fatti nazionali già ampiamente esplorati dal giornalismo, questa volta però indagati mediante la forza dirompente delle immagini. L'atteggiamento più comune fra gli autori contemporanei consiste nel prelevare documenti originali o fedeli copie da archivi cartacei, decontestualizzando l'oggetto o l'immagine rispetto al “contenitore” di appartenenza. Dallo schedario di un deposito alle pareti di una galleria d'arte, per intenderci. C'è chi sceglie di non apporre modifiche al ritrovamento, oppure chi fa piccoli spostamenti di significato rispetto al documento di partenza. Per utilizzare una metafora cinematografica potremmo dire che in pochi scelgono di girare un nuovo film, si preferisce invece lavorare di montaggio su una pellicola preesistente. Nulla di male, solo per dire che stupisce oggi incontrare un autore intenzionato a stare a pochi centimetri dalla storia, traducendo in fotografia la sua esperienza diretta, senza il filtro dei mass media, lontano quindi dai cliché di forma e contenuto già esplorati da quotidiani, televisione e informazione online.

 

È quello che sta facendo da qualche anno Gigi Cifali (Napoli, 1975) all'interno del progetto Images and Signs: Italy, 1969-89, iniziato nel 2013 e oggi ancora in corso, che qui viene reso pubblico per la prima volta. Come un archeologo alla ricerca di tracce, ha fotografato con pellicole piane materiali tutt'ora chiusi in depositi e mai veicolati. Grazie all'aiuto di funzionari del Ministero degli Interni, della Giustizia e dell’Arma, l'autore ha avuto accesso agli archivi e agli autocentri dove vengono custoditi i corpi di reato sequestrati nei covi dei terroristi, gli effetti personali ritrovati addosso alle vittime, le automobili assalite durante gli agguati. Stiamo parlando della storia d'Italia dei cosiddetti “anni di piombo”, periodo di estremizzazione della dialettica politica che si tradusse in violenze di piazza e nella lotta armata. Ancora oggi gli archivi ne preservano la memoria, ma per quanto tempo? Con quale criterio vengono salvati oppure smaltiti? Diversi oggetti che Cifali avrebbe fotografato sono già andati distrutti, mentre altri non sono immuni dal deterioramento. Con inquadrature volutamente strette ha congelato la camicia indossata dall’Onorevole Aldo Moro il giorno del suo sequestro (Roma, 16 Marzo 1978), ma anche dell'uccisione e del ritrovamento del corpo e, allo stesso modo quasi a entrare nelle pieghe del tessuto, ha ritagliato la coperta nella quale fu avvolto prima di essere colpito dai proiettili e lasciato il 9 Maggio 1978 in via Caetani all'interno del bagagliaio della Renault 4. Tra i tragici momenti che si susseguono negli scatti iper-dettagliati, inoltre, la pietra dilaniata dall’ordigno esploso sotto i portici di Piazza della Loggia (Brescia, 28 Maggio 1974), l’impronta del proiettile sulla valigetta che salvò la vita a un consigliere comunale (Torino, 20 Aprile 1977), la carrozzeria crivellata dell'Alfa Giulia nella strage di Piazza Nicosia (Roma, 3 Maggio 1979) e della Fiat Ritmo su cui si trovava il Vice Questore Vinci (Roma, 19 Giugno 1981). I documenti scritti, portatori essenziali di significati e testimonianze, sono leggibili nella loro interezza: ad esempio, i quattro fogli inediti di un block notes dell’Italsider che tramandano l’attenta analisi che l’operaio e sindacalista Guido Rossa fa del terrorismo poco prima di essere assassinato.

 

Avvicinandosi alla storia più di tanti storici e giornalisti, l’autore ha toccato con mano i segni rimasti che nessuno aveva mai cercato prima, li ha esperiti e documentati. Li ha sintetizzati attraverso la fotografia, resi astratti, impermeabili ai giudizi, scolpendoli in modo indelebile nell'immaginario collettivo, li ha trasformati in icone da fruire lentamente, fuori da una logica narrativa. Cifali, pur avendo studiato fotogiornalismo, predilige i tempi lunghi, ama immaginare la scena prima di ritrarla, non si sofferma sull'azione ma ne analizza le conseguenze.

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