I giocattoli di Arvind Gupta

1 Novembre 2011

Il giocattolo come oggetto non ha una semplice funzione, anzi ha la funzione della finzione. Caricato dell’immaginario del bambino, il giocattolo prende vita, diventa in un certo senso utile: la bambola una principessa, i mattoncini dei Lego una metropoli. Ed è sempre il bambino che trasforma un aspirapolvere giocattolo in uno vero, trasformando se stesso in un adulto. Tuttavia crescendo questa capacità di immaginare spesso si perde, alla fantasia molti sostituiscono le nevrosi e faticano anche solo a pensare se stessi in un’altra città, con un altro lavoro, con un altro compagno.

Qualcuno invece questa immaginazione non la perde e in alcuni casi diventa un visionario, così è stato definito ad esempio Steve Jobs: un uomo capace di immaginare degli oggetti e di intuirne l’utilità per la società riuscendo anche a migliorarla un po’. Anche Arvind Gupta a suo modo è un visionario, non ha inventato oggetti tecnologici, non ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, ma sta aiutando migliaia di bambini indiani ad immaginare il loro futuro e lo fa partendo da tutto quello che il mondo occidentale generalmente ha perso, anzi buttato via. Gupta ricicla cd, bobine metalliche, matite, fiammiferi, gomma e così via e con questi semplici materiali costruisce giocattoli che siano oltre che molto divertenti, facilmente replicabili dai bambini e in grado di spiegare, a seconda del loro funzionamento, un po’ di scienza matematica, fisica e meccanica.

I bambini giocano e imparano, perché, ci ricorda Gupta, la cosa migliore che possa capitare ad un bambino è rompere il proprio giocattolo e provare a capirne il funzionamento. Rompere per Gupta significa andare oltre, non semplicemente buttare via, significa vedere una luce negli occhi di un bambino, intuire la sua possibilità di crescita e, per dirla con Steve Jobs, la sua fame e la sua follia.

Arvind Gupta, che nella delicatezza delle movenze e nella meraviglia con cui mostra i propri giocattoli ricorda Bruno Munari, non solo ha la capacità di aprire una strada agli uomini di domani, fatta di conoscenza e consapevolezza, ma salda fortemente la propria fantasia alla terra, alla sua realtà che nel caso dell’India sa essere particolarmente dura e contraddittoria.

 

L’accostamento tra Steve Jobs e Arvind Gupta è in parte molto azzardato, ma certamente un legame tra i due c’è e non sta esclusivamente nella capacità di vedere oltre l’ovvio, ma anche in un immaginario rapporto maestro-allievo. Non è per l’esempio di Steve Jobs (in parte camuffato da una pubblicistica tutta costume e potere) che nasceranno i nuovi visionari, ma dalla capacità e dalla fortuna che ognuno di loro avrà di ascoltare dei maestri umili e semplici, capaci in due parole di divertire e di insegnare.

 

Da qualche parte anche Jobs ha avuto un maestro che non l’ha annoiato, ma l’ha molto divertito e che in due parole gli ha spiegato molto e non tutto, non era Gupta e probabilmente non usava una matita scanalata, ma di certo gli somigliava. Di solito si somigliano tutti i maestri.

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