Il Primo Maggio in Dolce attesa

Oggi si celebra la Festa del Lavoro, una festa importante per un paese come il nostro che ha scritto nella propria Costituzione di fondarsi sul lavoro.

Ebbene, noi sappiamo, ce lo ricordano ogni giorno i mass media, che milioni di giovani disoccupati si aggirano per l’Italia: un popolo di circa-trentenni senza impiego. C’è chi l’ha perso, chi non ne ha mai trovato uno e chi è stato fagocitato dal precariato più fosco e disperante.

Tanti hanno smesso di cercare qualcosa. Sono milioni. L’unica ricchezza che gli resta è il tempo. Quando la disillusione colma la misura, il tempo libero diventa la sola dimensione esistenziale. Per questo abbiamo deciso di pubblicare una serie di interventi, raccolti nello Speciale Dolce attesa, coordinato da Ivan Baio e Angelo Orlando Meloni.

Cosa fa chi non lavora? Vorrebbe davvero lavorare o va bene così? Ha riscoperto il tempo libero o riabilitato il tempo perso? Cosa vogliono questi giovani temporeggiatori senza guerra? Pesare su un welfare inesistente o lavorare? Cosa pensano di loro i genitori? E gli amici dei genitori? E i parenti tutti?

Se davvero il lavoro nobilita l’uomo, allora i disoccupati sono tutti in dolce attesa di un lieto evento che potrebbe non arrivare mai.

Buon 1° maggio!

 


 

Affinché i lavoratori non siano un peso per il loro Paese e l’alta finanza

 

 

Una volta chi voleva disincagliarsi dai gangli del “sistema” doveva fare le cose in fretta. Crescere, accelerare, a volte lasciarsi alle spalle l’istruzione, sposarsi. Caricarsi un abito scomodo e avviarsi impacciato e stritolato da una cravatta dal nodo irripetibile all’altare. Con lui una ragazza ben lungi dall’emanciparsi dal ruolo imposto, ma pronta al sontuoso addio, cui tutto il suo “primo mondo” partecipava al completo. Il piano: salutare e sparire dal radar di gran carriera (parola, al momento, inservibile).

Varcata la prima “frontiera” si trattava di sperimentare i propri poteri, sfruttare la neonata libertà per liberare la propria carica vitale nella conquista del lavoro che avrebbe determinato la qualità della propria vita, e di là, dritti verso un futuro (altra parola dal significato, a oggi, fumoso) fatto di sogni condivisi, immaginati, in alcuni casi nella magnifica illusione di averli pensati per primi, in un momento di grazia.

 

Oggi questo percorso è dissennato e dissestato. Tutto da ripensare. Quello che una volta appariva sacrosanto, è diventato disdicevole. Qualche sapientone, una maestra pignola, un ministro scrupoloso, deve aver sepolto “futuro” e “carriera” in una ex scuola abbandonata. Non ci sono ragioni precise per tutto ciò, a parte questo gas torporifero che grazie a Dio rallenta la nostra inutile, bramosa mente e accelera il tempo. Il matrimonio per esempio, già strumentale all’ottenimento di permessi di lavoro, di soggiorno e di viatici di vario genere sempre più giù in abissi dove la dignità – non che ci si tenga troppo! – non è mai arrivata, ha trovato nuove straordinarie applicazioni. Oggi mentre le eccellenze intellettuali vegetano (il lavoro sinaptico paga a caro prezzo la sua invisibilità/indimostrabilità), il matrimonio è diventato il vero lavoro! Quanti giovani insoddisfatti decidono di unire le forze guidati finalmente dal buonsenso? L’unione coniugale è finalmente un agile start-up di semplice e rapida costituzione, in cui una coppia di simpatiche canaglie può portarsi a casa piccole o grandi fortune a seconda della simpatia che riesce a secernere ad hoc durante il banchetto ai generosi invitati. Il segreto è sostituire il vino annacquato di una volta con grandi quantitativi di liquore a buon mercato. Gonfiare le portate principali di riempitivi economici come il riso, nel quale inserire, giusto al centro, intrugli misteriosi dal sapore deciso e non sgradevole. Si faccia inoltre attenzione a che rimanga, ben riconoscibile e godibile per tutta la durata del festino, un inebriante senso di futilità. Quando sarà tutto finito i due tireranno un sospirone e brinderanno al primo e unico ragionevole stipendio della loro vita.

Continueranno a brindare fino ad aver dimenticato che hanno quarantacinque anni a testa, e sfrutteranno l’euforia residua per immaginare che la parola “futuro” sia stata ritrovata a largo dello Stretto a un passo dal disfarsi, da un giovane siciliano in cerca di rapido congelamento.

L’indomani, passata la sbronza, nella consapevolezza della fisiologica insufficienza del denaro, questo mito moderno che ci ottunde tutti, potrebbero, e molti lo fanno, virare verso l’unico credo possibile, quello propugnato dall’ottimo MLL.

 

Innanzi tutto, basta col lavoro a buon mercato. Esso non deve essere alla portata di tutti. Solo pochi privilegiati potranno accedervi. In secondo luogo, è indecente che una massa scioperata speri di arricchirsi lavorando. Ciò è riprovevole, è immorale. Come si può pretendere del denaro quando si ha in dono un lavoro? E chi è lo stolto che riceve un tale dono e chiede in sovraprezzo una mercede? Non è solo una questione di galateo. Ben si vede che se tutti i lavoratori del mondo avessero le stesse irresponsabili pretese dei lavoratori europei il sistema economico mondiale crollerebbe; e i profitti andrebbero in fumo, trasformandosi in stipendi. È stato quindi un gesto di grande saggezza quello di sacrificare agli dei un’intera generazione di italiani che lavorano a singhiozzo per un tozzo di pane e non avranno mai una pensione. Certo, come abbiamo appena detto, ci sono quelli che cercano di vivere di espedienti matrimoniali, ma il senso del sacrificio umano perpetrato in questi anni sarà presto chiaro anche a loro. Gli stipendi continueranno a calare e i prezzi continueranno a salire, altro che banchetti di nozze, sarà impossibile mettere insieme il pranzo con la cena, l’obesità sarà sconfitta e l’alta moda non dovrà più giustificare la necessità delle taglie 36, 34 e...

Molto presto lo stipendio medio sarà sufficiente solo a comprare una sobria razione k, contenente ottimo cibo liofilizzato e qualche litro di benzina.

 

Il lavoratore del futuro (grazie a chi di dovere per il recupero della parola) è un eremita che vive in una spoglia cella, un santo, un visionario, un mistico della dignità, capace di vedere l’oro alla fine dell’arcobaleno. Perché se è vero che noi amiamo il lavoro, se è vero che l’amore è donarsi agli altri senza volere nulla in cambio, noi per lavorare non vogliamo essere pagati, la soddisfazione dei mercati è il nostro miglior premio.

Caro lavoratore disilluso, firma perciò anche tu la nostra petizione per abolire la festa del primo maggio e unisciti a noi del Movimento per la Liberazione del Lavoratore. Il futuro ti guarda, ed è un futuro senza stipendio e regali di nozze!

 

Ivan Baio e Angelo Orlando Meloni

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