Speciale

O tempora, o mores

Alcuni stralci dal primo convegno: “La tassazione del tempo perso, un incentivo al lavoro sottopagato”.

 

Introduce i lavori il sottosegretario per la responsabilità, l’economia e la religione.

“Se dal principio primo della realtà promana il bene, e sappiamo quale sia, il principio primo della realtà... il bene non può che promanare dal denaro. Ecco perché per quanto crudele possa apparire – Dio solo sa quanto mi sia costato accettare questo tipo di verità – chi non ha denaro, ahilui... non esiste. Ma le cattive notizie non finiscono qui, perché da ciò deriva che non avere alcun contatto col denaro conduce al male. Io stesso avevo proposto ad alcuni amici facoltosi uniamo il nostro denaro, facciamo una colletta di bene assoluto e sommergiamo fino a soffocarlo chi il bene non può permetterselo; un’utopia. Non perché ci siano difficoltà a organizzarsi, ma perché inevitabilmente ci troveremmo ad affrontare le ritorsioni dei soliti... poveri... malvagi. Non odiateli, amici, sono solo... sfortunati che non conoscono il bene. Chiuderei aggiungendo che assumiamo come falso il vecchio adagio che dicendo “il tempo è denaro” suggerisce la subalternità del secondo al primo. No! Non possiamo e non dobbiamo accettare una simile eresia. Poiché è il denaro che dà un valore al tempo che passiamo su questo pianeta. E chi non ha denaro né un modo per procurarselo né un lavoro, si trova solo con un mucchio di tempo privo di valore e neppure uno spicciolo di bene. Che insostenibile spreco. Dovremmo dedurne che il tempo nudo e crudo sia un’entità malvagia? Sarà argomento di discussione alla prossima conferenza prevista per il 24 giugno sotto il patrocinio diretto di San Giovanni”.

 

Parla adesso il presidente del consorzio per la rieducazione dei fannulloni.

“Il tempo sottratto al tempo di lavoro è il cosiddetto tempo libero, e qualcuno ha detto, probabilmente a ragione, che il tempo libero è un bene prezioso; quindi seguite il mio ragionamento: se è un bene prezioso, come l’oro o i diamanti, il suo valore dovrebbe aumentare in maniera inversamente proporzionale al suo farsi più raro. Se tutto questo è vero, chi lavora può riconvertire il tempo libero accumulato a fine mese in denaro sonante, ch’è poi il bene assoluto. Ma attenzione, cari contabili, vi vedo già al lavoro sui palmari, c’è un primo distinguo da sottolineare: il tempo deve essere tempo libero a tutti gli effetti, dev’essere cioè la rimanenza del tempo totale al netto del tempo di lavoro, comprese, ebbene sì, le telefonate. Valendo tanto di più quanto più si approssima allo zero, resta il fatto che chi lavora di più disporrà di preziosissimo tempo libero. Il borsino del tempo libero, insomma, è una roba da stacanovisti. Non funziona come al solito che chi ne risparmia di più ricava più denaro, ma al contrario, chi ne ha di meno ne ricava di più! Non per niente un miliardario qualunque può comprare in poche ore infinitamente molte più cose di quante ne possa desiderare in mille volte mille giorni un disoccupato laureato in Filosofia”.

 

Incalza il fondatore di “Amici della Prescrizione”, già giudice obiettore e gran maestro di sci, agriturismo e fumus persecutionis.

“Se è vero, come disse un noto cantante francese nei suoi versi immortali, che il pensiero è la migliore forma di azione quando ogni altra azione è impossibile, bisogna dare atto ai disoccupati di essere tutti dei gran pensatori. Chi ha ventiquattr’ore al giorno a disposizione del proprio libero pensiero – e fin tanto che riesce ad assorbire un corretto nutrimento consumando il patrimonio familiare, questo è ovvio – vive e vivrà immerso nello stesso pensiero. Il fatto poi che i disoccupati siano non di rado tristi e che un numero non indifferente di disoccupati non rifugga dal suicidio, dimostra inoppugnabilmente che pensare troppo fa male”.

 

Concluderà i lavori il nostro amato Presidente del Consiglio con una bella barzelletta sull’articolo 18.

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