Joe Sabia: la tecnologia della narrazione

23 Aprile 2012

Joe Sabia è un eccentrico giovanotto, vitalissimo, stravagante, viaggiatore, senza fissa dimora, di casa su internet e nei suoi video.
In uno dei più recenti, “La tecnologia della narrazione”, esplora in modo brillante e da show-man le possibilità offerte dai nuovi media e apparecchi nell’intrattenere il pubblico raccontando storie. 


Il video stimola una riflessione partendo proprio dall’impatto che offre nel guardarlo. La tecnologia ha il suo fascino incantatore. Maggior fascino ha però il relatore con la gestualità, la voce, il ritmo dell’esposizione... l’“arte” del raccontare. Egli stesso, in quanto persona, sembra stia smentendo quel che mostra con l’iPad: i collegamenti a immagini, musiche, sembrano creare un contorno/confronto fantasmagorico eccitante, quasi fiocchetti che vogliano scusarsi in anticipo se il regalo sarà deludente.


Le doti migliori di narratore risiedono piuttosto nella capacità di evocare in ciascuno collegamenti “personali”, lasciando all’ascoltatore la libertà di percorrere strade interiori. L’evocazione riuscirà quanto più la comunicazione sarà sincera: parole e immagini possono portare a mistificazioni, a un appiattimento del significato; gesti e voce non posson mentire. La vivezza dell’esposizione riduce quasi a pretesto la narrazione stessa, diventa il contenuto vero. Gesti e parole garantiscono il “canale”, il contatto, su cui transita l’informazione. Chi ascolta deve essere coinvolto attivamente: né sprofondato passivo nella poltrona, né ipersollecitato dal martellare di informazioni frastornanti che si seguono con difficoltà, da cui filtrare il buono con troppa fatica.


Rimango molto critico in generale sull’innovazione specie tecnologica. Col pretesto della diffusione e della conservazione si sta cambiando la natura dei “generi”: la narrazione non è più narrazione, ma libro, e-book, audiolibro. Per specificare il concetto di narrazione intendo ritornare davvero alla preistoria, quando il narrare era atto unico e dal vivo, con persone che con la loro (dis-)attenzione davano un feedback immediato al narratore, quando la narrazione era “rito” collettivo e non attività di lettura/ascolto privato. Se si aggiunge la sovrapposizione fra narrazione e “letteratura” la frittata è davvero completa: sarà allora il canone letterario di moda a stabilire la qualità formale o contenutistica della narrazione, le redazioni delle case editrici a stabilire quel che “va” – arbitro il mercato – le giurie dei premi letterari, le recensioni a promuovere o bocciare.

 

Il pericolo vero sta nel preferire i colori degli effetti speciali al “colore della voce”, creando una frattura fra presenza/esistenza fisica del narratore e l’intermediario tecnologico. Se poi con l’intermediario tecnologico ottengo sì una larga diffusione ma i contenuti sono talmente effimeri da non valere il tempo della lettura/ascolto, perché la “performance” attira l’attenzione più del contenuto, allora, a che scopo narriamo, che cosa narriamo, a chi narriamo?

 

 

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