Il potere della cucina / Società liquida e chef televisivi

10 Maggio 2017

"Il mio bagno, il mio living, la mia cucina"... recita la pubblicità mentre nella finzione il noto chef televisivo si aggira solitario nel suo appartamento...

 

Il potere della cucina di Francesco Antinucci è libro che solo in parte corrisponde alla dichiarazione del titolo. Sono invece le Storie di cuochi re e cardinali del sottotitolo a rivelare il racconto presente nelle pagine edite da Laterza.

Vale a dire le vicende storiche di personaggi umili o influenti visti da una finestra che a seconda del punto di osservazione si affaccia sull'Italia (e l'Europa) tra il XV e il XVII secolo come sulla cucina di un cuoco famoso, preso quale involontario testimone della grande storia. 

 

No, niente a che fare con la storia materiale come il riferimento al cibo e alla cucina potrebbe fare intendere; lo sguardo, lontano dagli alimenti, è sulla storia di personaggi con i quali tre cuochi famosi incrociano le loro vite. L'attenzione per le "cose naturali" che dalla fine del XV secolo diventa sempre più evidente qui non compare mentre è il gusto delle diverse epoche che fa da contraltare alle vicende narrate. La cucina di Mastro Martino, Bartolomeo Scappi, Francois Vatel sono lo specchio involontario delle loro epoche (Umanesimo, Rinascimento e Barocco): tempi simili nella vita degli uomini come in parte anche nelle cucine avvolte dai fumi densi dei pasticci di epoche che lentamente introducevano alla modernità.

 

 

Certo la cucina del francese Vatel aveva ripudiato le spezie medievali a favore delle erbe aromatiche e di sapori più naturali, aveva collocato tutto ciò che era dolce alla fine dei pasti (dessert deriverebbe dal momento di "desservire" o "desertare" la tavola), ma l'epoca del Barocco rimaneva legata alla molteplicità dei piatti e alla loro ricchezza teatrale, a una qualità che coincideva sempre con estrema varietà e quantità, anche per le élites. Vatel si suiciderà durante il ricevimento da lui organizzato per conto del suo signore, principe di Condè, in onore di Luigi XIV, il Re Sole, per riconquistarne i favori. La mancanza di pesce per il "banchetto di magro" che aveva progettato per il giorno successivo – e le preoccupazioni per un ricevimento che sarebbe fallito – la causa apparente del gesto estremo.

 

Prima di Vatel, Francesco Antinucci ci porta in Italia, nella Roma di Papa Eugenio IV. Qui Maestro Martino è cuoco a servizio del cardinale Lodovico Trevisan, medico, cardinale, camerlengo e condottiero delle armate papali. Tempi tempestosi quelli della seconda metà del Quattrocento, in un' Italia lacerata da divisioni politiche e militari e in un' Europa sotto la costante pressione dell'avanzata musulmana. È a Roma che Maestro Martino incontra Bartolomeo Sacchi detto il Platina, medico, filosofo e umanista. Quel che è certo è che il ricettario di Maestro Martino viene pubblicato nel De honestate voluptate et valetitudine del Platina, nel quale il Sacchi inserisce norme dietetiche e di "igiene del buon vivere", nonché tutta una serie di osservazioni sui principali alimenti. Un trattato in pieno spirito umanista, dove le osservazioni naturaliste sono il frutto della ricerca sulle antiche fonti originarie e non la ripetizione dei trattati medievali. 

 

Tra Vatel e Mastro Martino, sta la vicenda umana di Bartolomeo Scappi, cuoco eccelso al servizio prima di Papa Pio IV e poi di Papa Pio V.

Il suo libro è un enorme ricettario e contiene anche la descrizione di un ricevimento mai tenutosi, uno "studio" dunque. Nel libro – semplicemente Opera il titolo – traspare per certi versi l'anima oscura del Rinascimento, epoca con un piede nel Medioevo e la testa ai tempi nuovi. 

 

Il 17 Gennaio 1567 avviene la seconda incoronazione di Papa Pio V. Il Papa –Cardinale Ghisleri, già inquisitore e durante il suo papato "nemico" di ogni mondanità – all'ultimo momento destina la somma ragguardevole stanziata per il ricevimento a opere caritatevoli e conseguentemente viene abbandonato il banchetto progettato dallo Scappi. L'Opera è libro rinascimentale per l'ambizione di essere una summa del sapere gastronomico, per registrare la presenza di diversi dei nuovi alimenti americani, ma è anche opera "oscura" per gli eccessi alimentari, per la "confusione" dei gusti e degli ingredienti, per la leziosità di molte preparazioni.

Tre secoli da Mastro Martino a François Vattel dove il cibo è testimone di una lunga stagione di passaggio... almeno per quella storia vicina ai corpi e alla vita...

 

Alla fine del libro restano le "storie di cuochi re e cardinali", mentre rimane più nascosto il potere della cucina. Un potere che sta forse nel far vedere in trasparenza qualcosa della società di cui quella cucina è frutto, inevitabile se il cibo e la cucina sono la "cultura" più vicina al corpo e alla vita.

 

Se così fosse, la stessa relazione dovrebbe valere anche ai nostri giorni...

Giorni spesi in società liquide – secondo la celebre espressione di Zygmunt Bauman – sempre più spogliate da "centri di gravità permanente", prive di una visione della vita che ci faccia sentire parti di un vivere comune.

E viene in mente il cibo del lavoro, del viaggio, del pellegrinaggio diventato vuoto street food... viene in mente la cucina ridotta a show cooking o quella che in televisione è orgia quotidiana: cibo da discutere, guardare, assaggiare, sputare, raramente mangiare e mai nutrire.

Già, il potere della cucina...

 

"Il mio bagno, il mio living, la mia cucina"... recita la pubblicità mentre nella finzione il noto chef televisivo, rientrato a casa si aggira nel suo appartamento: una pubblicità fatta solo di una felicità individuale e solitaria... come i piatti sfornati a getto continuo da trasmissioni televisive di successo, ricette accumunate dall'essere figlie di nessuna "storia" e di nessuna comunità.

Membri di una società liquida, celebriamo noi stessi in infinite ricette narcisiste, scelte culinarie individuali per i consumattori che siamo tutti diventati.

Almeno in televisione, il potere della cucina oggi sembra essere un gigantesco teatro solitario.

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