Analisi & analisi
Il ritornello è identico da quando ho memoria delle chiacchiere fra madri: «Ma com’è pallida, questa bambina, mangia?». Nemmeno mi guardavano, perché poi, pallore a parte, l’aspetto era florido, tanto più che mangiavo (abitudine che ho conservato nello sgomento generale) pure dai piatti dei commensali. Sono ad assistere a uno spettacolino teatrale di due amici, quando uno dei due, l’attore uomo, mi si avvicina: «Credo che dovresti leggere xy». «Prego?» «Sì, ti spiegherebbe come evitare che il tuo pallore sviluppi una malattia cancerosa.» Giuro che mi viene da toccargli le pudenda e chiaramente non per libidine, mentre lo dice.
Ma perché lo dice? Ho persino il fondotinta, non dovrei essere così cianotico-cadaverica-draculea. Però, porco questo, quello e quell’altro ancora, avevo giusto previsto delle analisi del sangue in settimana, vuoi vedere che sto qua me la tira. Non riesco a pensare ad altro: il gioco dei due amanti sulla scena mi diventa molesto come le blatte di notte, penso solo all’emocromo e alla glicemia. Anche Massimiliano mi dice sempre che sembro candeggiata, ma è il mio istruttore di palestra, facciamo che se lo può permettere. Comunque sia, pallida o meno, in palestra ci vado, e più di due volte a settimana: fossi morente, ecco, due ore di zumba più fitness alternato a step non le reggerei, mi dico. E glielo dico, anche, a quello che Se non leggi xy, prima o poi muori: che pure se non lo leggo, invero, mi sa che prima e poi mi tocca, e pure a lui: anche se dal cancro si è salvato, «e quindi te lo dico perché ci sono passato e gli altri non te lo dicono perché non hanno il coraggio».
Un’altra cosa che alcuni non mi dicono e altri invece il coraggio lo trovano eccome è l’Analisi. No, non le analisi di prima: l’Analisi novecentesca, quella col lettino, i sogni, il sesso, l’infanzia e via così. La mia infanzia: ok. I sogni: boh, a volte. Il sesso pure: ok, a volte. «Perché, in analisi?» «E perché sei depressa, si vede.» «Si vede? E da che?» «Dalla faccia, guarda come sei bianca.» Quindi se non muoio di cancro come dice xy (cioè come succederà se non lo leggo) è di depressione che morirò, perché la depressione, si sa, è l’anticamera della morte. Comunque, ve lo voglio confermare una volta per tutte, voi preoccupatissimi per il mio pallore da quando sono nata: di qualcosa morirò, pare. «E però potresti vivere meglio, potresti andare in analisi.»
A fare un rapido calcolo, da quando nella mia vita sono entrate le sciagure, cioè da circa otto-nove anni, me l’hanno detto facciamo almeno 10 persone all’anno che per otto-nove anni fanno quasi 100 persone, più volte, quindi almeno raddoppiamo e siamo a 200 non iperboliche in cui le mie povere orecchie hanno registrato un invito all’Analisi (quanto al pallore e alle analisi, il numero cresce in modo esponenziale, a ricominciare il computo dalla prima infanzia). Comunque, stiamo all’Analisi: 200 volte. Ma io, caparbia, ostinata: no. Non ci vado, e nossignore. «Ma perché? È solo la cura dell’anima. E non è detto che ti prescrivano dei farmaci (negazione freudiana?). E non è detto che poi i farmaci ti cambino l’umore (come sopra).» «Ma i soldi?» «Per quello ci si organizza.» No, come ci si organizza (a proposito: tu, tu di xy e Se non lo leggi muori: hai mai pensato che il mio pallore possa derivare da una vita ansiosa, dentro casa a non fare altro che scrivere, mai una passeggiata, mai un sole in faccia? E voi, voi delle 200 volte che l’analisi l’analisi, ci avete pensato che se trovassi un lavoro non avrei più non dico un motivo ma proprio il tempo per deprimermi?).
Altra serata teatrale: quasi quasi non ci vado. Ho subíto le analisi al mattino, e pallida lo sono anche più del solito, se possibile. Ma proprio pallida pallida come la O. di Capriccio italiano, che tornava per l’appunto «per morirci». E quindi forse mi si nota di meno, col mio pallore mortale, se non lo esibisco ai quattro venti, se me lo coltivo in autonomia dentro casa. Ma no, ci vado: l’alternativa è macerarmi in attesa dei risultati delle analisi. Ed ecco che lo spettacolo verte su un nevrotico che si autoanalizza, e dopo lo spettacolo un signore tutto vestito di blu ci spiega che si trattava di un delirio paranoideo (che a differenza di quello paranoico sarebbe analizzabile, mentre l’altro rimarrebbe inespresso). Oh no, pensiamo tutti a giudicare dalle facce pallide pallide che mi circondano, non sarà mica…e sì, è proprio quello, invece: uno psycho a tutti gli effetti. Ora mi dirà che sono pallida pallida soprattutto io, e perché non vieni in Analisi.
Ma stamattina ho fatto le analisi, aspettiamo almeno se c’è una causa, che so, la sideremia, il potassio. Niente, lui non parla di Analisi né di analisi con me, ma delle tartine. E nemmeno del pallore, anzi, non sembra notarlo affatto. Mi guarda sempre dritto negli occhi e sono io, a quel punto, a provocarlo: «Ancora co sti lettini, co ste chiacchiere». «Eh, ma non è mica obbligatorio-» «Ah no, eh. Sembrava. Tutti depressi.» «Magari c’è qualche motivo per esserlo, non è che in quel caso sia indispensabile.» Non ci credo: è uno psycho vero, e non dice che tutti tutti abbiamo necessità perché… ma non sarà che il consiglio dell’Analisi è una forma di scarico di coscienza collettivo, per stornare il rischio della Confidenza reiterata, delle telefonate da Interviste wallaciane, delle Aspettative affettive amplificate da Quello Specifico Problema di cui forse sarebbe meglio parlare con lo Specialista.
Invece, come leggesse da una sfera di cristallo, spiega che se uno ha, puta caso, un lutto da elaborare, non è che con l’analista accorci il viatico. E poi dice anche che l’analisi potrebbe condizionare la scrittura, in quanto processo creativo a sua volta. «Servirà pur a qualcosa?» «Serve a qualcuno: a tutti no.» «E se poi non funziona?» «È stato un incontro sbagliato, come tanti altri.» «Sì, però a pagamento.» «Non si può fare in altro modo: è una terapia, una cura, la fanno dei medici. Un tempo potevano essere anche architetti, oggi no: solo medici.» «Gli amici miei si prendono gli psicofarmaci pure per guidare nel traffico.» Ma degli amici miei si disinteressa, preferisce occuparsi di «io». «E hai visto come sono pallida, sei sicuro che non mi serva l’Analisi, comunque stamattina ho fatto le analisi…» No, sbagliato: si piaceva lui, lui che parlava con me. Insomma, uno psycho narcisista e paraculo.
Comunque le analisi sono ok, alla fine, quindi per adesso in Analisi non ci vado. Che poi, se ok non erano, le analisi, che ci andavo a fare, in Analisi. La gente dovrebbe rileggersi Leopardi, oppure anche solo guardarsi un po’ più intorno, il pallore e così via. O ancora, prima di lanciarsi in valutazioni estetico-cliniche, semplicemente chiedersi se sono richieste/gradite. E nel mio caso è: no. Cioè nemmeno a voi piacerebbe se vi dicessi tutto quel che penso della vostra andatura, ad esempio, o del vostro esibizionismo o del fatto che a sessant’anni, analista o meno, non abbiate ancora fatto i conti con l’affetto negatovi quand’eravate cuccioli. Ma la sincerità è un impegno solo quando costa qualcosa, da ambo le parti, altrimenti si chiama molestia, e va scongiurata come il malaugurio. Tié.