Claudio Magris. Segreti e no

23 Gennaio 2014

“Solo politica, sulla vita privata non rispondo”: così François Hollande ha dichiarato durante la prima conferenza stampa dopo le foto pubblicate da Closer in cui veniva indicato come amante dell’attrice Julie Gayat. Un appello alla vita privata, quando una volta si sarebbe detto che il privato è pubblico e quindi politico. Ed è proprio in questa dichiarazione che si misura la mediocrità di un leader che non è tale, perché pretende di separare la propria immagine agli occhi dei francesi: la distinzione tra vita privata e vita pubblica è propria delle star, non di un presidente che si voleva normale e che finisce suo malgrado con  l'evidenziare più ancora di Sarkozy la propria diversità di status che è prima di tutto diversità di classe.

 

 

Nelle pruriginose foto di Closer non c’è lo svelamento di un segreto, piuttosto quello di un ruolo che François Hollande non sembra mai stato in grado d’interpretare dal giorno della sua elezione. Come  ricorda Claudio Magris nel suo ultimo breve saggio, Segreti e no, il ruolo di un leader è dato anche dal mistero che lo avvolge. Questo vale per i despoti più sanguinari come per i capi democratici: il potere vive del mistero che sa mettere in mostra, perché non esiste Stato senza segreti e il presidente o il leader ne è il corpo che lo rappresenta totalmente, in maniera inscindibile.

Scoprire un segreto è ogni volta togliere un velo, un meccanismo che però se gestito con cura e attenzione non ha mai fine: un velo ne segue un altro. I segreti non rivelano che verità inservibili o ormai inutili, mentre sono necessari a mantenere la gestione del potere, la sua aura.

In poche pagine Claudio Magris costruisce un abile percorso sul tema che è anche un efficace vademecum sulla contemporaneità spesso infarcita di rivelazioni di nessun conto, ma portatrice di depistaggi ulteriori. L’attrazione verso il mistero o un segreto non è data dalla verità che si nasconde, ma da quella che mostra di avere, così come ogni uomo nell’impossibilità di conoscersi totalmente lascia vivere dentro di sé uno spazio ignoto che contiene la più intima libertà, ossia la possibilità ultima di essere qualcuno di migliore (anche di peggiore certamente), un luogo ignoto a cui affidarsi per cambiare e diventare donne e uomini diversi.

 

 

Questa fiducia è la medesima che unisce un popolo a un leader, è l’esercizio del potere o meglio L’exercice de l’État, come racconta un affilato film di Pierre Schoeller in cui la verità non è banalmente negata dall’opportunismo, ma da un movimento non controllabile nemmeno dagli stessi uomini di potere, tanto più oggi in cui il potere dello Stato è spesso svuotato al punto da essere privo di possibilità di azione. E se il potere si priva dell’azione non resta che gestire il mistero quale ultimo baluardo, insieme all’ipocrisia, in grado di mantenere una labile coesione sociale.

 

Claudio Magris delinea un percorso dalla dissimulazione di Torquato Accetto all’ambiguità del segreto di Javier Marías: perché è nella gestione del segreto, nella sua rivelazione come nel gioco della mistificazione che la letteratura prende fiato, ancor più oggi in cui il pensiero pubblico spesso è competenza di scienziati e filosofi.

 



Agli scrittori non resta che il buio (e per fortuna!) con i suoi misteri e la capacità tutta umanistica di riconoscere le persone insieme al peso dei loro misteri. Un capovolgimento forse figlio di una retorica pubblica sempre alle prese con un bisogno di verità piuttosto che di umanissima realtà.

Ed è probabilmente l’ostinazione per una verità sempre più assoluta, più che al segreto o alla mistificazione, che rischia di far scivolare l’Europa e le sue istituzioni tra le braccia di populismi fanatici e fascisti. Una nuova verità per una nuova umanità, una consolazione che vale un’alba dorata, un continente normalizzato dentro la cui retorica vive anche l’ingenua pretesa di François Hollande di una presidenza normale. Una via d’uscita da questa folle normalità sarebbe oltre a molta e necessaria ironia, un po’ di misura, di giusta distanza, o meglio di opacità come la definisce Édouard Glissant, che come ricorda Magris : “rivendica il diritto a non essere passato da parte a parte, nel profondo del suo essere e del suo sentire dai raggi X di alcuna conoscenza globale”.

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