Otto per mille: quanto fa?

18 Giugno 2012

Otto per mille fa tanti soldi! Davvero tanti! Un esempio? Il denaro ottenuto nel 2007 (il dato è relativo a qualche anno prima: ci vuole sempre qualche anno prima di ottenere i liquidi, e qualche altro prima di conoscere i risultati!) è stato quasi un miliardo di euro. Una grande somma per essere ottenuta soltanto con una piccola firma.

 

Ma che cos’è l’otto per mille? È semplicemente una piccola parte delle imposte (non del proprio reddito, ma del gettito complessivo delle imposte!) che il cittadino è chiamato a versare in favore di una comunità religiosa a sua scelta. Ma proprio perché la goccia diventa un mare sarebbe bene che ciascuno sapesse a chi la devolve. Invece mi accorgo con sorpresa che, anche solo tra le persone che conosco, non tutti sanno come funziona il meccanismo. Alcuni, atei convinti, che mai in vita loro vorrebbero contribuire al sostentamento di alcuna chiesa, pensano che sia sufficiente non destinare a nessuno la loro quota di otto per mille sulla dichiarazione dei redditi, e lasciar vuota l’apposita casella, perché la loro pur piccola parte di gettito fiscale non vada a impinguare le tasche di nessuna comunità religiosa. Sbagliato! Perché anche se non si esprime nessuna preferenza le “quote non espresse” vengono ridistribuite ugualmente. E in proporzione alle scelte espresse.

 

Qual è il risultato?  Il risultato è che, ad esempio, la Chiesa cattolica – che riceve ovviamente la parte più alta di preferenze – ha ricevuto nel 2007 il 39,98% di indicazioni espresse; ma la ripartizione delle quote non espresse ha portato il gettito dell’imposta all’85,01%. Più del doppio! Allo stesso modo, ad esempio, il 5,20% delle quote espresse per lo stato italiano ha fruttato l’11,95%. Ciò significa che se poco più del 40 per cento di cittadini (l’andamento varia di poco in tutti gli ultimi anni) esprime la propria scelta, poco meno del 60 per cento di cittadini, che non vuole devolvere la sua percentuale di gettito fiscale a nessuna comunità religiosa, lo devolve comunque. E, in proporzione, e con doppia aberrazione, va di più a chi ha già di più.

 

Molte voci autorevoli si sono levate parlando di una “mostruosità giuridica”. È stata promossa un’interpellanza al Parlamento italiano da parte del Coordinamento nazionale delle Consulte per la laicità delle istituzioni. Ma senza risultato. Lasciando così che la libertà del cittadino venga alterata e beffata: se non voglio devolvere nulla a nessuna chiesa perché mai sono costretto a farlo? E per di più privilegiando automaticamente la confessione più pingue! Ma nessuna modifica significativa è ancora all’orizzonte.

 

Va detto tuttavia che il Nuovo Concordato, nato per rivedere e correggere i Patti Lateranensi del 1929, e firmato dallo Stato italiano con la Santa Sede il 18 febbraio 1984 (nelle persone del presidente del consiglio Bettino Craxi e del segretario di stato vaticano Agostino Casaroli), contribuì a sancire la laicità dello Stato prevista dalla Costituzione, e ad abolire anche de facto la religione di Stato in Italia. E anche il meccanismo dell’otto per mille, che prese forma un anno dopo, servì a regolamentare i rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano.

Ma se analizziamo oggi i meccanismi di questa legge (sono passati ormai quasi trent’anni e il mondo, si sa, oggi cambia molto velocemente) sono tante le questioni che stridono con la libertà dei cittadini e con l’uguaglianza di ogni confessione religiosa sul territorio nazionale.

Provo a elencarne qualcuna.

 

Una delle più eclatanti è che in un paese ormai multireligioso come il nostro non tutte le comunità religiose beneficiano dell’otto per mille. Lo Stato italiano firmò il nuovo concordato con la Sante Sede stabilendo anche il modo di sostegno alla Chiesa cattolica e ad altre confessioni, con le quali negli anni seguenti furono firmate intese analoghe. A tutt’oggi le comunità religiose che ricevono l’otto per mille sono le seguenti: le Assemblee di Dio, gli Avventisti del settimo giorno, l’Unione delle chiese metodiste e valdesi, la Chiesa luterana, e le Comunità ebraiche. (I Battisti, caso unico per coerenza di comportamento, hanno l’intesa, ma non la vogliono!).

 

Sono poi state sottoscritte altre intese con l’Unione buddisti italiani, i Testimoni di Geova, la Chiesa dei santi degli ultimi giorni, la Chiesa apostolica in Italia, la Sacra arcidiocesi d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale, e l’Unione induista italiana. Ma a tutt’oggi queste comunità non accedono ai fondi dell’otto per mille perché non hanno avuto ancora una ratifica del Parlamento. Da notare poi che alcune tra le presenze religiose più nutrite in Italia, come quella delle comunità musulmane o quella degli ortodossi provenienti dell’Europa orientale, rimangono prive di sostegno economico e di rappresentanza giuridica. È vero, certamente, che i musulmani non hanno una rappresentanza unica e che anche le chiese orientali sono grandemente divise. Ma anche le chiese “occidentali” lo sono. Eppure un sistema si è trovato. Si ha piuttosto l’impressione che non si voglia affrontare e risolvere il problema per non spartire ulteriormente la torta e per evitare di dare appoggio economico a comunità non troppo gradite. Senza tener conto, ciecamente, che equiparando le comunità religiose tra loro si avrebbe una maggiore opportunità di controllo sui fondi e forse, se il timore è quello di foraggiare il terrorismo, si potrebbe invece avere una sorveglianza più ravvicinata.

Così, invece, un cittadino italiano musulmano, o della chiesa serba, ad esempio, che paghi onestamente le tasse, ma anche un buddista o un induista, è costretto a sostenere, obtorto collo, o espressamente o involontariamente, una comunità religiosa diversa dalla sua.

 

Ma i problemi non finiscono qui. Vi è la questione dello Stato che, pur non essendo, evidentemente, una comunità religiosa, tuttavia partecipa alla ripartizione della quota dell’otto per mille, destinandola variamente in primo luogo alla conservazione dei beni culturali legati al culto cattolico, a calamità naturali, in misura minore alla conservazione di beni culturali civili, in piccolissima parte alla fame nel mondo e all’assistenza ai rifugiati. Fa difetto una pubblicità quasi assente sulla destinazione di questi fondi, per cui il cittadino non capisce bene a chi alla fine potrebbe essere devoluta la sua quota. Perché questa timidezza? Perché aver paura di mostrarsi? Per timore di oscurare le chiese? 

 

Altra questione controversa sono gli spot commissionati dalla Chiesa cattolica, che mettono in luce con molta efficacia e presa emotiva le attività caritative realizzate con i fondi dell’otto per mille, mentre, di fatto, a tale scopo viene destinato solo il 21% del gettito; il 41% è destinato alle esigenze di culto e pastorale, e il 32% al sostentamento del clero.

Per contro, invece, i valdesi che non destinano neppure un euro al sostentamento delle loro chiese, e destinano i fondi incassati unicamente a scopi caritativi e culturali, vengono premiati da un numero di firme venti volte superiore al numero dei membri di chiesa soggetti a dichiarazione dei redditi.

 

Ma la questione grossa è, come dicevo all’inizio, che si tratta di tanti, tanti soldi, di cui più della metà deriva da scelte non espresse. La Chiesa cattolica, ad esempio, ha ricevuto (sempre nel 2007) quasi novecento milioni di euro (900.000.000!), di cui 362 dovuti a scelte espresse, e 524 a scelte non espresse! Devono essere davvero tanti se anche un alto prelato, recentemente, ha affermato che la Chiesa cattolica a stento riesce a spenderli tutti, dato che si debbono “consumare” entro l’anno in corso.

 

Ora, se i cittadini fossero davvero chiamati a scegliere (e non obbligati a una scelta predeterminata!), non si potrebbe proporre di destinare la quota “non espressa” ad altri scopi, altre emergenze, di carattere nazionale e non confessionale? Con chiarezza, trasparenza, rispettando le urgenze del paese?

 

E inoltre, poiché è impensabile che si arrivi a stabilire delle intese con tutte le singole comunità religiose presenti (e sempre più numerose) sul territorio, perché non arrivare a elaborare quella legge sulla libertà religiosa – che sarebbe, questa sì, rispettosa dello spirito della Costituzione – di cui svariati progetti giacciono addormentati in Parlamento, per far sì che ogni cittadino possa scegliere davvero di aiutare la propria comunità oppure di rendere un servizio ad altro scopo?

 

Forse, in questo modo, rendendo più cristalline le opzioni, più libere le scelte, si contribuirebbe anche a far riguadagnare credibilità a chi la sta un po’ smarrendo nelle sinuosità tentacolari del potere, e si illude di recuperarla negli stadi traboccanti di folla. Dimenticando un poco che senza verità, senza povertà e libertà si possono anche fondare e mantenere grandi imperi, ma si rischia di perdere il regno dei cieli.

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