Campagne a colori

6 Gennaio 2016

Nonostante l’Unione Europea dedichi attraverso la Politica Agricola Comune il 40% del proprio budget per promuovere lo sviluppo rurale e mantenere la popolazione nelle campagne, l’agricoltura e il mondo rurale in Europa soffrono da decenni un importante fenomeno di declino, invecchiamento e abbandono. Il fenomeno è paradossalmente più grave nei paesi dell’Europa mediterranea, per i quali il cibo e il paesaggio rappresentano due pilastri importanti della cultura e dell’economia locali (si pensi all’importanza che hanno per il turismo).

 

Un elemento chiave che ha permesso di limitare lo spopolamento delle campagne e del lavoro agricolo è stata l'immigrazione da altri paesi, e oggi gli stranieri, legali ed illegali, rappresentano una porzione sempre più importante della popolazione rurale. Queste tendenze sembrano destinate ad aumentare, per questioni demografiche e congiunturali. La popolazione immigrata nelle aree rurali ha infatti proporzioni in età attiva e tassi di fertilità che sono superiori alla media della popolazione residente. Durante la crisi economica molti stranieri che hanno perso il lavoro in altri settori, si sono rivolti al mondo agricolo per guadagnarsi da vivere e anche per trovare condizioni di vita meno care, in termini di abitazione e alimentazione. I recenti flussi di rifugiati e profughi dei conflitti in corso su altre sponde del Mediterraneo hanno inoltre ingrossato le fila degli stranieri capaci e disposti a lavorare nelle campagne. Nelle aree di agricoltura intensiva così come nelle aree di montagna questo fenomeno è particolarmente evidente, e in tante regioni i lavori forestali o la pastorizia sono in maggioranza eseguiti da lavoratori stranieri.

 

Specificamente nel settore zootecnico, a seguito delle ristrutturazioni del mondo agricolo indotte anche dalle evoluzioni delle politiche settoriali e commerciali negli ultimi due decenni, si son persi quasi il 30% degli allevamenti mentre quelli rimasti hanno dovuto modificare in profondità la dimensione delle aziende e la natura del lavoro, segmentando e marcando la divisione tra il lavoro gestionale e quello pratico, di campo. La crescente presenza di lavoro salariato indica la perdita della dimensione aziendale familiare e una proletarizzazione della manodopera, e il fatto che una grandissima parte di questi salariati siano stranieri immigrati indica che con i salari attuali rimane difficile reperire forza lavoro locale.

 

Tutto questo emerge chiaramente, per esempio, in un’intervista a Stefano Trione, responsabile Inea per la Valle d’Aosta: «In Valle d’Aosta quasi il 75% percento dei lavoratori impiegati nell’allevamento di bestiame sono stranieri. E siccome la stragrande maggioranza di capi sono vacche da latte per la produzione della Fontina, possiamo tranquillamente affermare che il formaggio è prodotto soprattutto dalle mani degli immigrati. Relativamente all’anno 2014, sono stati impiegati 303 lavoratori extracomunitari (prevalentemente marocchini) e 335 lavoratori comunitari (prevalentemente romeni) oltre a un numero di irregolari stimato intorno alle 100 unità. Si tratta però di stagionali che salgono in valle per la monticazione estiva delle mucche, un lavoro che la manodopera locale ha abbandonato da molto tempo»[1].

 

Lo stesso vale per il settore forestale in aree strategiche, come il Casentino, in Toscana, in cui secoli fa è nata la Silvicoltura e dove la maggioranza di lavoratori forestali sono oggi di origine est-europea. Risulta in tali realtà inesorabile e necessario articolare i servizi in funzione anche di questi nuovi abitanti, così come gli investimenti volti a valorizzare il territorio e l’economia locali – come sta tentando di fare la Strategia Nazionale Aree Interne del Ministero dello Sviluppo Economico.

 

Parallelamente il settore primario soffre di una problematica forte di ricambio generazionale, per cui nella popolazione locale rurale i figli difficilmente continuano il mestiere dei padri. Se non saranno molti di questi lavoratori stranieri a rilevare le aziende dalla generazione precedente, le dinamiche di spopolamento e riduzione del settore continueranno inesorabili. Recenti studi (INEA, 2013 per l’Italia) indicano che questo ‘passaggio di consegne’ non sta avvenendo, e gli immigrati restano come operai agricoli a vita, oppure decidono di passare ad altre attività. Questa difficoltà di articolare l’integrazione dei lavoratori stranieri con il ricambio generazionale rischia di avere importanti conseguenze per la produzione di cibo e anche per il mantenimento del territorio, ricco e fragile, nel contesto mediterraneo. È un fenomeno in cui tutti perdono: i lavoratori che non intravedono alcuna ascesa sociale, gli imprenditori che non sanno a chi passare la propria azienda al momento del pensionamento, il settore che perde operatori e capacità – e la società più in generale che non riesce a capitalizzare in maniera sostenibile i grandi cambiamenti in corso.

 

Anche se era difficile trovarne traccia nelle ‘narrazioni’ degli stand di Italia, Grecia, Spagna o Francia ad Expo 2015, si parla ormai ufficialmente di più di un operatore su tre di origine straniera nell’agricoltura di questi paesi. Questa presenza sempre più nutrita e massiccia di stranieri nelle campagne europee è un fenomeno evidente da tempo per chi vive e opera nel mondo rurale, e che inizia a essere studiato e analizzato anche dal mondo scientifico e accademico (Kasimis, 2010; Nori e de Marchi, 2015; Corrado e Caruso, 2015).

 

Queste dinamiche scardinano la percezione del mondo rurale come statico, immobile, tradizionalmente chiuso e aprono scenari e prospettive nuove e importanti per lo sviluppo rurale e il governo del territorio, in cui il coinvolgimento e l‘integrazione della popolazione immigrata in una logica di cittadinanza attiva rappresentano un’opportunità e una sfida imperdibile per il futuro delle campagne e delle montagne euro-mediterranee. Il ricambio del capitale umano rappresenta la principale preoccupazione per la sostenibilità e il futuro di molte attività legate alla agricoltura e alla gestione del territorio. Coinvolgere le comunità immigrate che operano nel mondo rurale nei processi di cambiamento, di adattamento e di innovazione del settore, e fornirli degli strumenti adeguati, stabilizzandoli e responsabilizzandoli, offre l’opportunità di contribuire a costruire l'agricoltura di domani, senza la quale i cibi e i territori mediterranei andranno incontro a importanti forme di degrado.

 

 

Bibliografia

Corrado A., Caruso F., 2015. Migrazioni e lavoro agricolo: un confronto tra Italia e Spagna in tempi di crisi. In: Colucci M., Gallo S., Tempo di cambiare. Rapporto 2015 sulle migrazioni interne in Italia. Donzelli  editore.

INEA, 2013. Le imprese straniere nel settore agricolo in Italia. Istituto Nazionale Economia Agraria. Roma.

Kasimis C., 2010. Demographic trends in rural Europe and migration to rural areas. AgriRegioniEuropa 6/21.

Nori M., de Marchi V., 2015. Pastorizia, biodiversità e la sfida dell’immigrazione: il caso del Triveneto. “Culture della Sostenibilità”. ANNO VIII - N. 15/2015.

 

 

Michele Nori, progetto Transumanze Mediterranee[2], michele.nori@eui.eu 

Migration Policy Centre, Firenze - www.eui.eu

 

[1] Intervista per Dislivelli a Stefano Trione di CREA. http://www.dislivelli.eu/blog/migranti-in-alpeggio.html

[2]   progetto TRAnsumanze Mediterranee, contratto EU Marie Curie ES706/2014 http://www.eui.eu/DepartmentsAndCentres/RobertSchumanCentre/People/Fellows/2016/NoriMichele.aspx

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