Speciale
Il Credo freelance
Credo (perché il dubbio è tipico di questo stato ontologico) di essere freelance da quando ero in Erasmus a Barcellona, nel lontano 2004, poiché la dilatazione del tempo controbilanciava la spropositata energia che mi consentiva di studiare, andare a lezione, sostenere sette esami in nove mesi, imparare il catalano e il castellano, e mantenere l’entusiasmo nel danzare e passeggiare di giorno e di notte. C’è stato il ritorno in patria, la prima laurea in comunicazione, la seconda laurea in comunicazione, un fidanzato pesante che mi spiegava l’importanza dell’endodonzia conservativa fino allo sfinimento, salvo ignorarmi quando era ai convegni fighi di dentisti, con le dentiste fighe che Dio ce ne scampi e liberi. C’è stato uno stage trovato il giorno dopo della laurea, una borsa lavoro, un altro lavoro in un ufficio marketing, c’è stato il diploma Cervantes C2. Il tutto confortato dallo stipendio di cameriera a matrimoni e catering.
E qui si apre un primo exemplum, sub specie cameriere. Il contratto che ti fanno è per “cameriere volante”. Quale titolo più azzeccato per un freelance. La cameriera volante fa di tutto, ha scarpe basse e comode tipo mocassino demodé e una camicia bianca di riserva; si appuzza generalmente di cozze e fritti marchigiani, sorride a tutte le battutacce, si prende i bigliettini da visita di gente che millanta intenzioni strane ma assolutamente serie. La cameriera volante si becca tutti i matrimoni di tutti i compaesani, e si troverà sempre sporca, pallida, struccata e sfortunata a confronto di tutti quei voiles e vestiti firmati. Sarà allora che inizierà a manifestare la propria ostilità nei confronti del matrimonio e del Rotary Club. La versatilità del contratto da cameriere volante è eccezionale, comunque, e dignitosissima, per continuare a fare l’intellettuale (sempre pallido, por cierto), un po’ come Frank Zappa sosteneva che per fare il compositore occorreva trovarsi un lavoro part-time.
Il secondo exemplum è il Dottorato di Ricerca: freelance sub specie dottorando speranzoso, poiché la sottoscritta quando ha vinto la borsa di studio, intelligentemente si è licenziata (costretta per motivi di reddito altissimo!) dall’ufficio marketing di cui sopra. Il dottorando speranzoso, quando non paraculato, cerca udienza presso i professori del mondo perché gli appoggino il progetto. Nel frattempo, spesso, soffre la fame, ma affina l’inglese. Finalmente vi si dedica anima e corpo, con un ottimismo a dir poco ingiustificato, trovando tempo per attività tra il colto e il malsano, come quelle dedicate all’edizione di un dizionario italiano-seppiano o italiano-piorachese. Poiché Seppio e Pioraco sono due paesini dell’Alta valle del Potenza, in provincia di Macerata, e sono proprio i paesini dei nonni. Nella lingua d’uso di sua nonna, il dottorando speranzoso riscontra delle suffissazioni, generalmente applicate a deittici, avverbi ed epiteti, che hanno la funzione evidente di arricchirne il significato: “lattulà” (là), “lattulagghiò” (laggiù), “lattulassù” (lassù), “n’arléga” (un pochino), “men’casa” (dentro casa), “mem’ Piòricu” (nel comune di Pioraco), “sòreta-sòrema” (tua sorella, mia sorella), “màmmeta” (tua madre), “pàtritu” (tuo padre), “nònnitu” (tuo nonno).
La lingua della saggia nonna consiste a volte di tautologie, nonsense, litoti, onomatopee. Se lo studioso chiede qualcosa di ovvio gli risponde: “e scì, no?”. Se sostiene un’ipotesi assurda, ella sentenzia: “bah-bah” (a volte con l’aggiunta di un terzo o quarto bah, che segue gli altri con la frequenza delle semibiscrome). Se è d’accordo con lui assicura: “Embè embè!”. Se non lo è per nulla, ella si esprime misteriosamente in senso positivo “E scì!”, con una variatio “E scì, pure!”. Se è stufa per qualcosa dice: “E lla-a!”. Se sta raccontando la vicenda della figlia illegittima del prete, ella si serve di frasi in cui lui, il dottorando dalle aspirazioni filologiche, non può incontrare alcun soggetto. Il “dice” è l’elemento portante: “... dice che l’hanno trovati inzieme men’casa sua... dice... Che fai qui? ...dice... E tu come sei entrato?... dice... Tu fatte l’affari tua! Hì capito, cocca, che casino?” In questo caso il “dice” deriva dal dicitur latino. Poi ci sono grecismi evidenti, come i casi diretti plurali del neutro in -a (“fatte l’affari tua”). Bene. E ciò basti per le speranze filologiche del dottorando.
Frances Charlotte Greenwood
Il terzo esempio è la casalinga-dottorata sub specie giornalista freelance, che è lo stadio in cui si entra dopo aver discusso la tesi di dottorato (che chiaramente può avere tante altre varianti, come testimoniato dalle mie amiche). La casalinga-dottorata è colei che, confortata dall’aver raggiunto una situazione di calma apparente, inizia ad occuparsi di tutto, dal giardinaggio alle relazioni per i convegni, e siccome lavora sempre da freelance, si ritrova a lavorare da casa. Lei, il suo fedele computer e il gatto. Pranzi e cene si susseguono. L’uomo torna a casa affamato e voglioso. Nessuno crede che lavori, tutti credono che stai bene, perché se vuoi lavorare devi mantenere la forma fisica (oh, non ve ne eravate accorti?) e il sorriso, e la conseguenza è che ti pagano sempre meno o ti propongono lavori gratis.
Soprassedendo su un’altra borsa di ricerca di un anno, fatta sempre da casalinga-dottorata, e gestita da pessimi datori di lavoro, tirchi per l’esattezza, nel frattempo che continua la fase di giornalista freelance sub specie casalinga-dottorata (o viceversa), si sono susseguite proposte di falso lavoro o lavoro falsamente pagato. Le elenco, e sarò breve:
- hostess per evento turistico dal compenso tipo “chi offre di più?”. Ah, con ricatto, del tipo: “glielo do io il tuo CV a quel tale imprenditore”;
- - addetto stampa per onlus, gratis;
- - addetto stampa per cooperativa agricola, non solo gratis ma con richiesta di diventare socio;
- - rivista di lusso in progettazione, di cui di fatto non si è mai più sentito parlare;
- - associazione teatrale giovanile, gratis;
- - promozione di concerti/musicisti sconosciuti, compenso a babbo morto;
- - politico in cerca di addetto stampa, compenso: forse.
E questo basti per la giornalista freelance sub specie casalinga-dottorata. O non basta?
In attesa di un vostro cortese cenno di riscontro in merito al mio Curriculum Vitae, i miei più cordiali saluti.