Speciale

Il denaro dissacra la religione

13 Giugno 2015

Se il denaro è l’equivalente generale, il potere di acquisto generale, tutto si può comprare, tutto si può trasformare in denaro. Ma può essere trasformato in denaro solo in quanto viene alienato, in quanto il possessore se ne priva. Ogni cosa dunque è alienabile, o indifferente per l’individuo, esterna a lui. I cosiddetti possessi inalienabili, eterni, e i corrispondenti rapporti di proprietà fissi, immobili, crollano dunque quando compare il denaro. Inoltre, poiché il denaro esiste come tale soltanto nella circolazione, e a sua volta si scambia con godimenti ecc. – con valori, i quali in fondo possono risolversi tutti in godimenti puramente individuali –, ogni cosa ha valore solo nella misura in cui esiste per l’individuo. Il valore autonomo delle cose, al di fuori di quello che consiste semplicemente nel loro essere per un altro, nella loro relatività, nella loro scambiabilità, il valore assoluto di tutte le cose e di tutti i rapporti viene con ciò dissolto. Tutto viene sacrificato al godimento egoistico. Giacché, come tutto si può alienare per denaro, tutto si può però anche acquistare col denaro. Tutto si può avere per «denaro contante», che esistendo esso stesso come qualcosa di esterno può essere preso con la frode, la violenza, ecc. Dunque tutto può essere appropriato da parte di tutti, e dipende dal caso che cosa l’individuo può appropriarsi oppure no, dal momento che ciò dipende dal denaro che è in suo possesso. Con ciò l’individuo in sé è posto come signore di tutte le cose. Non esistono valori assoluti, dal momento che il valore in quanto tale è relativo al denaro. Non esiste nulla che non possa essere alienato per denaro. Le res sacrae e religiosae, che possono essere in nullius bonis, nec aestimationem recipere, nec obligari alienarique posse, che sono esenti dal commercio hominum, non esistono dinanzi al denaro –, così come tutti sono uguali dinanzi a Dio. È bello vedere la Chiesa romana nel Medioevo farsi la propagandista principale del denaro.

 

 

Da Karl Marx, Grundisse, La Nuova Italia 1970, vol. II, pp. 585-586

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