Speciale

I nomadi e il denaro

16 Maggio 2015

I popoli nomadi sviluppano per primi la forma di denaro, poiché tutti i loro beni si trovano in forma mobile, quindi immediatamente scambiabile, e perché il loro genere di vita li porta continuamente a contatto con comunità straniere, e quindi li sollecita allo scambio dei prodotti. Gli uomini hanno spesso fatto dell’uomo stesso, nella figura dello schiavo, il materiale originario del denaro, ma non lo hanno fatto mai della terra. Questa idea poteva affiorare soltanto in una società borghese già perfezionata: essa data dall’ultimo trentennio del XVII secolo e la sua attuazione su scala nazionale venne tentata soltanto un secolo più tardi nella rivoluzione borghese dei francesi. La forma di denaro passa a merci che per natura sono adatte alla funzione sociale di equivalente generale, ai metalli nobili, nella stessa misura che lo scambio di merci fa saltare i suoi vincoli meramente locali, e quindi che il valore delle merci si amplia a materializzazione del lavoro umano in genere.

 

Ora, la congruenza delle loro qualità naturali con la funzione del denaro, mostra che «benché oro e argento non siano naturalmente denaro, il denaro è naturalmente oro e argento». Ma finora noi conosciamo soltanto quest’una funzione del denaro di servire come forma fenomenica del valore delle merci, ossia come il materiale nel quale si esprimono socialmente le grandezze di valore delle merci. Forma fenomenica adeguata di valore, o materializzazione del lavoro umano astratto e quindi eguale, può essere soltanto una materia, tutti gli esemplari della quale posseggono la stessa uniforme qualità. D’altra parte, poiché la differenza della grandezza di valore è puramente quantitativa, la merce-denaro dev’essere suscettibile di differenze meramente quantitative, cioè dev’essere divisibile ad arbitrio, e dev’essere ricomponibile, riunendone le parti. E l’oro e l’argento posseggono per natura queste proprietà.

 

Il valore d’uso della merce-denaro si raddoppia. Accanto al suo valore d’uso particolare come merce – come p. es. l’oro serve per otturare denti cariati, e quale materia prima per articoli di lusso, ecc. – essa riceve un valore d’uso formale, che sorge dalle sue funzioni sociali specifiche. Poiché tutte le altre merci sono soltanto equivalenti particolari del denaro e il denaro è il loro equivalente generale, esse si comportano come merci particolari nei confronti del denaro come merce universale.

 

S’è visto che la forma di denaro è soltanto il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci che aderisce saldamente a una merce. Che l’oro sia merce costituisce dunque una scoperta soltanto per colui che parte dalla sua figura compiuta per analizzarla a posteriori. Il processo di scambio non dà alla merce che esso trasforma in denaro il suo valore, ma la sua forma specifica di valore. La confusione fra le due determinazioni ha indotto a ritenere immaginario il valore dell’oro e dell’argento. E poiché la moneta in certe sue determinazioni funzioni può essere sostituita con semplici segni di se stessa, è sorto l’altro errore ch’essa sia un semplice segno. D’altra parte, in tutto ciò c’era l’intuizione che la forma di denaro della cosa le sia esterna, e sia pura forma fenomenica di rapporti umani nascosta dietro di essa. In questo senso, ogni merce sarebbe un segno, poiché, come valore, sarebbe soltanto l’involucro materiale del lavoro umano speso per essa. Ma dichiarando puri segni i caratteri sociali che ricevono gli oggetti, ossia i caratteri oggettivi, che ricevono le determinazioni sociali del lavoro sulla base d’un determinato modo di produzione, si dichiara contemporaneamente che essi sono il prodotto arbitrario della riflessione dell’uomo. Questa era una maniera prediletta dell’illuminismo del XVIII secolo per togliere, per lo meno provvisoriamente, la parvenza della stranezza a quelle enigmatiche forme di rapporti umani, il processo genetico delle quali non s’era ancora in grado di decifrare.

 

 

 

Il capitale, Editori Riuniti, p. 103– 05.

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