Koyré, la quinta colonna in marcia
Fu buon profeta Alexandre Koyré quando, nel 1945, scrisse che gli storici futuri avrebbero interpretato le due guerre mondiali come un’unica, estenuante, guerra civile. Due esempi illustri: Ernst Nolte ha parlato di “guerra civile europea” e ha letto in parallelo il bolscevismo russo e il nazionalsocialismo tedesco. Enzo Traverso ha fotografato un’Europa “a ferro e fuoco” nella prima metà del secolo scorso, individuando la continuità tra i due conflitti mondiali. Koyré, dal canto suo, vede in quel periodo l’analogo storico della guerra del Peloponneso, una lunga guerra fratricida intervallata da un armistizio durato circa vent’anni.
Fa uno strano effetto associare a tematiche storico-politiche il nome di Koyré, per lo più legato alla filosofia e alla storia della scienza, all’interpretazione della rivoluzione scientifica e al cambio di paradigma che essa determina: “dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”. Eppure, Koyré non soltanto è stato un interprete raffinato delle vicende del suo tempo, ma anche un attivista politicamente impegnato nel dibattito sulle sorti della sua Francia (anche se, come si sa, Koyré era nato in Russia) e dell’Europa intera. È un lato della sua opera che apprendiamo dalla recente pubblicazione, per la prima volta in italiano, di un breve articolo dedicato alla “quinta colonna” (A. Koyré, La quinta colonna, a cura e traduzione di Marco Dotti, Meltemi, 2025, 80 pp.). L’espressione “quinta colonna” è entrata da tempo nel lessico giornalistico, ma la sua origine storica non è del tutto certa. È piuttosto sicuro che il concetto di quinta colonna nasca all’alba della guerra civile spagnola del ’36: Koyré la attribuisce al generale Franco e al discorso rivolto alle quattro colonne di uomini in marcia verso Madrid, e che, una volta arrivate, avrebbero ricevuto il supporto di una parte di popolazione che già si trovava nella capitale. Nascosta negli apparati burocratici e amministrativi, questa “quinta colonna” avrebbe svolto un’attività eversiva dall’interno, supportando l’apparato militare vero e proprio. Una seconda ricostruzione, più accreditata, è quella proposta da Marco Dotti nella postfazione al volumetto, che attribuisce la paternità dell’espressione al generale franchista Emilio Mola Vidal, artefice di quell’Alzamiento Nacional che della guerra civile spagnola è il prodromo.
Ma anche sorvolando su quale ne sia la prima occorrenza, l’espressione “quinta colonna” indica gli «amici del nemico» (p. 11), chi fa il gioco dell’avversario sabotando la polis dal suo interno. È un fenomeno che, per Koyrè, riguarda soltanto la seconda fase della novecentesca Guerra dei trent’anni. Nella Grande Guerra, infatti, il patriottismo ereditato dall’Ottocento, anche quando esasperato nella forma del nazionalismo, riduceva l’impatto di episodi di sabotaggio interno. Fenomeni di “quintocolonnismo” si verificano soltanto quando «l’interesse e l’odio di classe prevalgono sulla solidarietà nazionale» (p. 20), quando lo scontro sociale fa franare il terreno su cui si erige la polis. La quinta colonna è un fenomeno elitario ed elitistico, un odio sociale diretto dall’alto verso il basso: i nemici interni dello stato non si trovano tra i ceti subalterni, ma tra gli aristocratici spaventati dal progresso. La “controrivoluzione preventiva” è il tratto distintivo del quintocolonnismo, secondo Koyré: si tratta di qualcosa di più intimo e più subdolo del semplice conservatorismo. Controrivoluzionaria è l’anima profonda e privata dell’individuo, quella che antepone l’interesse egoistico al bene della collettività e che segnala una predisposizione al tradimento. Koyré tiene d’occhio la conformazione dello stato borghese democratico e lo vede animato da una contraddizione interna, dalla faglia che separa ciò che è privato da ciò che è politico. La quinta colonna, potremmo dire, arruola l’individuo e gli chiede di imbracciare le armi contro il cittadino, tanto che «la gente dona il sangue più facilmente del denaro. […] È comprensibile: il servizio militare fa appello al cittadino, ed è all’individuo che si rivolge il fisco» (p. 44).

Le diverse coppie polari impiegate tradizionalmente per spiegare i conflitti ideologici e materiali della prima metà del novecento – nazionalismo e internazionalismo, Kultur e Zivilisation, rivoluzioni di destra e di sinistra – vengono sostituite da Koyré dalla dialettica tra rivoluzione e controrivoluzione, intesa come polarità paradigmatica che non può ambire a una sintesi.
Nel breve saggio non sono rari i richiami alla Repubblica di Platone e alla possibile degenerazione della democrazia in tirannide; Koyré, a tratti, sembra parlare della quinta colonna in astratto, traendo principi generali che consentono di interpretare il rapporto tra cittadino, stato e società in ogni tempo e contesto. Ma se solo si prova a leggere tra le righe si vede nelle riflessioni di Koyré un richiamo costante alla concretezza storica, in particolare a quella del suo paese d’adozione. Se l’assetto politico della Germania e dell’Italia è stato tutt’uno con l’ideologia nazista e fascista che lo informava, in Francia la questione era per certi versi più complessa. Vi prese corpo quel particolare fenomeno storico e politico che fu il collaborazionismo. A mostrare simpatia per il governo fantoccio di Vichy fu, oltre a una parte degli intellettuali (quelli di Céline, Drieu La Rochelle e Brasillach sono tra i nomi più celebri di scrittori apertamente collaborazionisti), una fetta non trascurabile della popolazione francese. «I governi controrivoluzionari – scrive Koyré – non temono affatto il popolo, che li sostiene e li segue nei loro disegni imperialisti» (p. 33). La riflessione sulla quinta colonna nasce allora dalla situazione concreta della Francia del tempo, e la divisione del paese diventa simbolo e proiezione del contrasto ideologico che segna la prima metà del Novecento.
Merita anche la ricostruzione storica di Marco Dotti della vita politica di Koyré. Nato Aleksandr Vladimirovich Koyra nella regione del Mare D’Azov, viene arrestato due volte per attività antizarista tra la cosiddetta “prima rivoluzione russa” del 1905 e quella bolscevica del ’17. Solo nel ’25 diventa ufficialmente francese, ma sarà negli Stati Uniti che il suo impegno politico assumerà una forma ben precisa. Nel 1942, è tra i fondatori dell’École libre des hautes études a New York, e sul suo organo di stampa, la rivista «Renaissance», pubblica l’articolo sulla quinta colonna che, insieme a un altro testo sull’uso politico della menzogna, già edito in italiano, costituisce il dittico politico di Koyré.
