Enzo Melandri e i misteri dell'analogia

16 Marzo 2024

La linea e il circolo, il monumentale studio di Enzo Melandri sull’analogia pubblicato nel 1968, si chiudeva più o meno con queste parole: «le analogie buone sono quelle rivoluzionarie». In L’analogia, la proporzione, la simmetria (1974), la quarta delle sette monografie di Melandri adesso riedita da Quodlibet, tale perentoria e militante chiusa sembra venire smorzata in una descrizione più tenue del gioco analogico, la regola del quale è ora riconosciuta nella tensione tra lo sconfinamento e la retroflessione, l’avanzamento e il regresso, la trasgressione e il controllo. Traslitterando in termini politici, l’analogia è insieme rivoluzione e conservazione, prese sempre nel loro rapporto dinamico, polare e simmetrico e mai indipendentemente l’una dall’altra. Del resto, oltre a esserne il complemento naturale, il libro dell’‘74 è una sorta “moderazione” di quello del ‘68 di cui rilancia – in alcuni casi ridefinendolo e chiarendolo – il tema centrale, l’analogia appunto. Gli ingredienti base di ogni buona analogia sono pertanto questi: da un lato una spinta in vista del nuovo e dell’ignoto, esercitata dall’intelligenza, dall’altro la riconversione in direzione del già conosciuto, dettata dalla cultura.

Introducendo il saggio su I generi letterari e la loro origine, Giorgio Agamben ha scritto che «Melandri sembra dare per scontato ciò che smentisce ogni aspettativa e per evidente ciò che contraddice tutte le rappresentazioni comuni». In effetti, l’intera opera di Melandri è connotata dalla ridefinizione terminologica e concettuale di problemi tradizionali del pensiero filosofico: il nesso tra realtà e linguaggio diventa «chiasma ontologico», la logica parmenidea viene interpretata come «semantica proposizionale» (simmetricamente, quella eraclitea come «semantica nominale»), la storia critica assume, come già in Foucault, il nome di «archeologia», il canonico principio d’identità si complica in «principio di identità elementare». L’indubbia difficoltà dei testi di Melandri si accompagna però sempre a una riduzione ai minimi termini delle questioni di volta in volta messe a tema, scarnificate di qualsiasi orpello retorico per ricavarne l’ossatura logica.

Un esempio. Quando affronta il problema dei gradi di esistenza secondo la prospettiva nominalista (secondo quella prospettiva, cioè, che ammette l’esistenza dei soli individui e non dei concetti universali corrispondenti), Melandri lo interroga con linguaggio a metà tra il colloquiale e il calcistico: «Per un nominalista esistono tanto le chimere quanto gli struzzi: solo che quest’ultimi esistono di più, poiché, oltre che comparire nei manuali di zoologia descrittiva, si trovano anche nei giardini zoologici e nel loro habitat naturale; mentre le chimere esistono solo nei libri di zoologia fantastica. Quindi gli struzzi battono le chimere per 3 a 1 […]. Il risultato è schiacciante» (p. 95). Anche nel dettato melandriano si ritrova allora quella tensione tra l’evidente e l’oscuro propria del ragionamento analogico.

L’analogia per Melandri non è un concetto specialistico a esclusivo appannaggio della tradizione filosofica (e in maniera ancora più “esclusiva” a quella teologica). Piuttosto, è una pratica di impiego quotidiano che richiede di essere interrogata a partire dalla fenomenologia dei suoi usi molto più che dalla miriade di teorie che ne sono state date da Aristotele in avanti. Citando il sottotitolo di un recente libro del fisico Douglas Hofstadter, l’analogia è fuel and fire of thinking (nella bella traduzione italiana: “cuore pulsante del pensiero”): ogni atto di pensiero è conoscenza di qualcosa di nuovo tramite ciò che già sappiamo ed è quindi attività analogica. Sarebbe inutile rivendicare un primato di profondità teoretica a una pratica che proprio nell’inventio medii ha la sua funzione più propria. “Trovare il medio” tra termini noti e termini ignoti è certo un’arte nobile, utile ad avvicinarsi quanto più possibile alla definizione del loro rapporto (come sapeva Kant l’analogia è proporzione non tanto tra cose quanto tra rapporti tra cose).

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Peccato che già gli scolastici indicassero il “medio” in questione come pons asinorum. Quasi a dire: serve un certo ingegno per trovare buone analogie, ma se di tali analogie abbiamo bisogno è perché “non ci arriviamo” con l’uso della pura logica. Ma il punto per Melandri sta proprio qui: l’analogia si rivela necessaria là dove la logica si mostra insufficiente. Tra pensiero logico e pensiero analogico il rapporto è di complementarità dialettica: l’analogia occupa lo spazio dell’illogico senza per questo sconfinare nell’irrazionale. Ora, precisa Melandri: «non sempre l’analogia è razionale. Lo è solo quando tra le proporzioni si può evidenziare un principio di simmetria» (p. 143). Analogia, proporzione, simmetria. I tre concetti espressi nel titolo del libro altro non sono che tre modi di dire lo stesso: proporzione e simmetria sono per così dire le forme in cui si dà una buona analogia.

Se ragionamento analogico non significa irrazionalità, è altrettanto vero che neanche la razionalità analogica è in grado di ricondurre l’intera realtà a pensiero. Ogni analogia è caratterizzata da un vuoto costitutivo, da una residualità non formalizzabile: «la spiegazione logica è perfetta; peccato, solo, che il mondo sia imperfetto. Per converso, la soluzione analogica è sempre imperfetta: il suo residuo inesplicabile riproduce l’analogia all’infinito» (p. 159). Proporzione sì, ma proporzione dinamica, non matematica e non matematizzabile. Ecco perché in Melandri diventa centrale la differenza tra ciò che per i Greci, in maniera sostanzialmente unanime, era in senso proprio analogìa e ciò che Aristotele per primo inizia piuttosto a chiamare paradeigma. Da un lato il rapporto proporzionale puramente numerico, dall’altro il ragionamento per esemplificazioni, evocato negli scritti logici dello Stagirita ma per lo più confinato nell’ambito della retorica. Paradeigma è il termine che nel medioevo verrà reso con exemplum e che indica quella particolare specie di ragionamento induttivo che prende le mosse da una constatazione particolare ma non mira a una generalizzazione universale, quanto piuttosto a un’altra considerazione particolare.

Ragionare per esempi e paradigmi significa dunque ragionare in maniera non logica, bensì retorica. Eppure – questo sembra suggerire Melandri – chi può negare l’efficacia argomentativa degli esempi, quando ben pensati? Chi può metterne in dubbio il valore euristico nello sviluppo e nell’ampliamento della conoscenza? Più che come declinazioni particolari di leggi universali, gli esempi-paradigmi vanno intesi come sintomi passibili a loro volta di interpretazione analogica (alla nascita della sintomatologia come disciplina ermeneutica Melandri dedicava uno tra i più bei capitoli di La linea e il circolo). Soltanto una semiologia sintomatologica può infatti riconnettere il linguaggio al fenomeno, senza chiudere il discorso nelle strette di una semiologia a esclusiva vocazione semantico-simbolica. «Noi vorremmo qui dilatarne il significato, e intendere con semiologia quel principio, conscio o inconscio che sia, che ci permette di vedere in un fenomeno il segno di un altro fenomeno, di regola assente; quindi di leggerlo oltre che percepirlo» (pp. 228-29).

Se, preso nella sua semplice funzione simbolica, il linguaggio non rimanda a cose ma soltanto a significati, come espressione sintomatica esso si rivela invece capace di relazionarsi direttamente alla dimensione pre-linguistica (ontica) del fenomeno: il significato “fumo” è simbolo del significato “combustione” ma sintomo del fenomeno “fuoco” (cfr. p. 230). Il linguaggio mostra sempre più di quello che dice e in questa convinzione si radica la portata “terapeutica” dell’archeologia melandriana, il suo tentativo di rintracciare proprio nell’analogia il rimosso del pensiero occidentale.

Questa nuova edizione di L’analogia, la proporzione, la simmetria è impreziosita da un ampio saggio finale di Luca Guidetti che per la vastità degli ambiti che investe meriterebbe una trattazione a sé. Studiando approfonditamente l’empiriocriticismo di Mach, la psicologia della Gestalt di Köhler, la teoria delle immagini di Hertz, attraversando Logica formale e trascendentale di Husserl, Guidetti evidenzia l’applicabilità e l’efficacia del principio analogico di simmetria anche a contesti non strettamente filosofici. Di ognuna di queste “forme del pensiero simmetrico” vengono ravvisati qualità e punti deboli, fino alla conclusione che la simmetria analogica non è mai riducibile a quella semplicemente logica: nessuna proporzione è traducibile senza scarti in tautologia.

Come si vede, da un lato l’opera di Melandri, a lungo scomparsa dai cataloghi, apre un ventaglio di questioni che valicano gli steccati eretti tra diversi “settori disciplinari”, dall’altro suggerisce di farla finita con il vizio che ha marchiato a lungo il pensiero (anche e soprattutto) italiano novecentesco: l’appartenenza a scuole, indirizzi, filoni di pensiero. Certo, la fenomenologia husserliana ha esercitato un’influenza decisiva su Melandri. Ma anche la psicoanalisi. Ma anche Foucault. Così come Wittgenstein e Carnap, Leibniz e Kant. Senza dimenticare che Melandri era allievo del giurista crociano-gentiliano Felice Battaglia, che qualche influenza avrà pur avuto sull’allievo (del resto, è noto che l’analogia è una questione centrale in ambito giuridico: il giudice valuta sempre la fattispecie in analogia con quanto previsto dall’ordinamento giuridico vigente). Insomma, l’archivio di autori a cui Melandri attinge ricorda un chiassoso bazar. La metafora è di Gianni Celati che, redigendo il testo programmatico di “Alì Babà” una rivista, mai realizzata, di cui Melandri era forse il principale riferimento filosofico (e su cui è d’obbligo il rimando a «Riga», n. 14, anno 1998), contrapponeva alle brave etichette e ai cartellini esplicativi dei musei proprio la «tassonomia fluttuante» del bazar. Ecco. “Bazar filosofico” sembra essere l’unica etichetta confacente al pensiero di Melandri.

Il libro: Enzo Melandri, L’analogia, la proporzione, la simmetria, nuova edizione a cura di L. Guidetti, Macerata, Quodlibet 2023.

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