Un libro Pietro Barbetta e Gabriella Scaduto / Psiche e violenza

29 Marzo 2022

Ci sono fenomeni antropici che costringono a interrogarsi sulla psiche umana: comprenderli appare spesso difficile, talvolta risulta profondamente inquietante, ma non di meno necessario se non si vuole cadere nella facile tentazione di sbarazzarcene frettolosamente etichettandoli come “disumani” – il che costituisce una chiara contraddizione in termini dato che è di comportamenti umani che parliamo e che, per dirla con Publio Terenzio Afro, "humani nihil a me alienum puto", neppure le sue più efferate nefandezze.

 

L’indagine di alcuni di questi fenomeni costituisce una delle due direttrici attorno alle quali si snoda il volume collettaneo Diritti umani e intervento psicologico, a cura di Pietro Barbetta e Gabriella Scaduto, con prefazione di Fausto Pocar e postfazione di Luigi Zoja, edito da Giunti (2021, pp. 220, euro 22); l’altra l’analisi delle ricadute psicopatologiche, e più in generale sul disagio esistenziale, di chi ne è stato vittima. Il testo ricostruisce e indaga esperienze tra loro anche molto diverse quali il fenomeno dei disaparecidos argentini, le pratiche e i luoghi di tortura, i genocidi – con particolare attenzione a quello armeno –, le persecuzioni razziali, gli stupri di guerra, i diritti violati dei bambini, i comportamenti omofobici, la violenza sui minori, la psicologia e il diritto dell’emergenza (di particolare attualità) e, più in generale, le pratiche di violazione dei diritti umani nel mondo.

 

Tredici contributi per questo molto eterogenei, dei quali non è possibile rendere conto nemmeno sinteticamente nel breve spazio di questo contributo, nei quali è possibile scorgere due principali movimenti: da una parte un'analisi, a partire da Al di là del principio di piacere di Freud (1920), dell'esistenza di pulsioni distruttive, autodistruttive e di morte nella psiche umana – che potrebbero idealmente concludersi con il riconoscimento di Un terribile amore per la guerra di James Hillman (2005) – integrate però da uno sguardo più ampio sulle dinamiche socio-culturali che li innervano, sulla scia dei contributi della Scuola di Francoforte e degli studi su La personalità autoritaria e su Autorità e famiglia, per non ridurli a patologie individuali ma a prodotti preoccupanti di un ambiente evidentemente disfunzionale; dall’altra, l’indagine sulle conseguenze esistenziali e sulle possibilità di una loro presa in carico e riparazione, dal punto di vista clinico, politico, giuridico e formativo, con particolare attenzione agli scenari futuri, in chiave anche apertamente pedagogica.

 

Il primo movimento indaga come sia stato possibile "pensare e mettere in atto processi razionali, imprenditoriali, in grado di usare la tecnica e manipolare la scienza ai fini distruttivi: la chimica (i gas per lo sterminio), la logistica, (le tecniche di massacro di massa), la biologia (le teorie sulla degenerazione e sull'esistenza di razze umane), la medicina (il concetto di eutanasia), la morale ("se potessero parlare ci chiederebbero di sopprimerli") e anche la psicologia (il QI come misurazione genetica dell'intelligenza)”; la seconda prova ad offrire strumenti affinché simili scenari non si ripetano, o meglio, affinché le coscienze dei singoli individui e delle collettività, sviluppino anticorpi più solidi rispetto al passato, a partire da testimonianze e laboratori ispirati proprio alla cura di chi ne è stato vittima. Appare in entrambi i casi evidente la necessità di lavorare a una consapevolezza maggiore della relazione ricorsiva che lega esperienze individuali e tessuto collettivo, anche e soprattutto culturale, prima ancora che politico e terapeutico – naturalmente indispensabili. 

 

In questo senso risulta particolarmente interessante il contributo di Gabriele Nissim su La filosofia di Gariwo. Educare, con la memoria dei giusti, all'ottimismo e alla responsabilità. Gariwo è infatti l'acronimo di Garden Rightous Worldwide una onlus fondata a Milano nel 1999 che promuove un approccio pedagogico che contrasta il diffusissimo vissuto d'impotenza dei singoli di fronte a scenari avvertiti come enormemente più grandi di loro, dimostrando come il ruolo attivo di alcuni "giusti" si sia rivelato determinante per la sorte di un considerevole numero di persone durante le stagioni più buie della persecuzione umana nei diversi genocidi della storia.

 

 

Al di là del dato numerico, che riguardando la salvezza della vita e della dignità di singoli individui non può mai essere sminuito, è possibile valorizzare un insegnamento fondamentale e potenzialmente sovversivo rispetto all'idea dell’irrilevanza delle azioni e delle scelte dei singoli, che non si limita a testimoniare come scegliere il bene e la solidarietà con i perseguitati sia sempre possibile, in ogni contesto, ma lavora a riconoscere, nelle differenze che onora, le analogie con i nostri tempi, invitando ad esempio chi ha visitato Awschiwitz, a visitare i campi profughi nel Mediterraneo, i carceri sovraffollati, e così via, creando un percorso virtuoso in cui il passato illumina il presente e chiede di prendere posizione, ora, dove ci troviamo.

 

L'articolo ha anche il merito di inquadrare il bene e la responsabilità in una luce che non è né eroica né sacrificale, rilanciando l’efficacia, la forza e la praticabilità del Potere dei senza potere. E dato che non è possibile pensarsi neutri rispetto ai rapporti di potere, alcuni contributi psicoanalitici s’interrogano, a partire da Ian Parker, La psicologia come ideologia (2009) sugli impliciti, sugli obblighi, sulle finalità e sulle conseguenze di questa professione, specie in contesti delicati o democraticamente compromessi (illuminante in questo senso l'articolo sull'Argentina peronista e sul Cile post dittatoriale).

 

Un esempio terribilmente evidente di quanto la questione culturale preceda quella giuridico-politica è tristemente rappresentato dal fenomeno degli stupri di guerra. Può in questo senso essere istruttivo osservare come il processo per crimini di guerra e contro l’umanità di Norimberga non ritenne di annoverare tra i capi d’imputazione gli stupri di guerra, che vennero invece riconosciuti dal Tribunale Militare Internazionale per analoghi crimini avvenuti nel versante orientale del conflitto, che vide condannati i vertici militari giapponesi per non aver impedito gli stupri durante il massacro di Nanchino. Solo nel 1949 la quarta Convenzione di Ginevra vieterà, con l’articolo 27, lo stupro in tempi di guerra e la prostituzione forzata nei conflitti internazionali, ma occorrerà attendere il 1998, perché il Tribunal internazionale per il Rwanda, parli espressamente di stupro genocida – praticato, com’è noto, anche nella guerra nell’ex-Jugoslavia. 

 

Le vittime di questa infame violenza “non sono incluse nel rito pubblico del lutto per una guerra che si è perduta, non sono venerate come eroine e non ricevono alcun indennizzo”, di più, “non sono riaccolte nelle loro comunità di appartenenza anche perché, nell’esperienza dello stupro etnico, rendono costante la presenza del nemico” – il che apre una questione dolorosamente attuale e transculturale sulla condizione della donna. 

 

Il libro costituisce dunque anche un prezioso strumento di educazione civica, nel convincimento che la cura di tali fenomeni richieda una presa in carico di ciascuno di noi, della nostra capacità di interrogarci e prendere posizione di fronte alle inaccettabili storture del sistema di valori nei quale viviamo, alle dinamiche psichiche interiori e alle narrative collettive prevalenti, quasi sempre semplicistiche e spesso psichicamente contagiose – si pensi agli assurdi casi di censura nei confronti di autori russi, viventi e defunti, indipendentemente dal loro atteggiamento rispetto al conflitto con l’Ucraina – che spesso ostacolano, anziché favorire, la comprensione di fenomeni tanto delicati quanto complessi – che anche lo scontro vax vs no vax illumina – per provare a disinnescare la loro organizzazione attorno agli archetipi psichici del capro espiatorio, della vittima sacrificale, del nemico assoluto, o dell’eroe senza macchia e dai poteri salvifici, sempre in agguato. 

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