ODEI, l'esperienza della condivisione

21 Giugno 2013

L'editoria indipendente oggi è a rischio scomparsa. Oggi è a rischio quella che comunemente viene chiamata bibliodiversità, è in questo contesto che nasce l'Odei, l'Osservatorio degli editori indipendenti; nel contesto di una crisi che non riguarda certamente soltanto il mondo del libro, ma che in questo mondo mette in evidenza deformazioni di mercato, già presenti da molto tempo in Italia.
Siamo un gruppo di ragionamento composto da editori che attraverso un passaparola dalla Sicilia al Trentino Alto Adige ha percorso tutta l'Italia con la propria comunicazione reticolare.
La cosa importante è che dopo decenni di separazione abbiamo iniziato a capire che non eravamo soltanto concorrenti, ma che avevamo un qualcosa da difendere, tutti insieme: il libro come bene comune.

 

Abbiamo fatto rete, parlato con i nostri redattori, con i nostri uffici stampa, con le librerie indipendenti, con le biblioteche... e mentre continuavamo ad assistere alla chiusura di case editrici indipendenti e di librerie indipendenti, non siamo rimasti inermi, e abbiamo cercato, attraverso questa rete, di costruire nuove proposte, di resistere a un mercato che ragiona soltanto in termini di profitto!

 

Abbiamo organizzato incontri, redatto progetti, parlato con i nostri distributori per raccontargli che qualcosa andava cambiato, condiviso spazi e idee e, in questo percorso appena iniziato e che continuiamo a portare avanti, abbiamo posato una pietra fondamentale per presentarci, il manifesto dell'Osservatorio degli editori indipendenti (ODEI). Questo testo è anche un grido d'allarme e nello stesso momento una mano tesa a tutti gli altri attori della filiera libro, che vorranno percorrere con noi queste strade.
Un osservatorio indipendente sull'editoria che, partendo da poche certezze e molte domande, sappia costruire i modi per dare almeno alcune risposte a tutte queste domande.

 

 

Parliamo di DATI...
Dal 2000 all’ottobre 2012 il numero degli editori è sceso da 3.300 a 2.250 (una percentuale significa il 32% in meno): gli editori che iniziano un’attività diminuiscono, quelli che la chiudono aumentano. Se fossimo in un altro settore con questo dato si lancerebbero grida d'allarme, nel nostro c’è anche chi fa appello alla selezione naturale. Ma nel guardare a chi meno padroneggi la propria incontinenza editoriale, altresì nota come il numero delle opere pubblicate, basterebbe dare un’occhiata ai famigerati dati ISTAT sulla produzione libraria, per accorgersi che dei circa 60.000 libri annualmente sfornati (poco più poco meno questo dato resta invariato da oltre un decennio), gli editori piccoli e medi ne fanno al massimo il 20% circa. Ovvero, la gran parte della produzione editoriale italiana è fatta dai grandi editori. Il che spesso significa gruppi editoriali. Quelli che hanno anche proprie agenzie di distribuzione e proprie reti promozionali, proprie catene di librerie, in un paio di casi anche carta stampata e, in uno, televisioni. E allora risulta un po’ paradossale argomentare che con qualche centinaio di editori piccolissimi, piccoli e medi in meno, il libro e il suo mercato godrebbero di miglior salute. Probabilmente non sarebbe il numero dei titoli a scendere, ma alcune quote di mercato ad aumentare. Noi, che di questo mercato siamo sempre più ai margini, non possiamo più ignorare di trovarci di fronte a una logica da “presidio dello scaffale”. A un logica di gestione dei punti vendita che risponde a criteri ben diversi da quelli del benessere del lettore.

 

Che fare?
Occorre immaginare una sede comune, un’unica sede, dentro la quale coinvolgere i viventi dell’ecosistema del libro. Tutti i viventi. Una sede comune per chi del fare o del vendere libri ha fatto un mestiere. Ma anche per chi i libri li usa, per chi li considera uno strumento a disposizione. Una sede comune per editori e librai, per bibliotecari e insegnanti, per studenti e circoli di lettori, per autori e traduttori. Un luogo di confronto e di proposta capace di vedere anche la vitalità dell’ecosistema libro e non solo le sue crisi. Che di questa vitalità sappia approfittare. Che formuli iniziative condivise e che nella sua gestione e rappresentatività non sia espressione di un governo tecnico, di una burocrazia ministeriale o di una lobby del settore. Per dirla in una parola: un’“istituzione”. La si chiami come si vuole: centro, agenzia, tavolo, coordinamento, banca… ma niente di ciò che esiste oggi corrisponde a questo luogo. Noi pensiamo a un’istituzione, in senso lato. Un’istituzione nel pieno della crisi del “pubblico statuale”, che anche nelle sue premesse sappia pensare oltre le logiche consolidate e fallimentari del funzionariato statale o della presunta capacità manageriale del settore privato.

 

Scarica il manifesto di ODEI qui e qui

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