Ivan Illich e la sua eredità

3 Gennaio 2014

Ivan Illich e la sua eredità (Franco La Cecla, Medusa, 2013) è una piccola miniera per la comprensione del contemporaneo. Franco La Cecla ci prende per mano e parlando della sua esperienza a volte anche intima con Ivan Illich ci racconta i temi fondamentali che questo pensatore eretico ha affrontato nel corso della sua vita.

 

 

Oggi sono in molti a richiamarsi al pensiero di Ivan Illich, ma spesso lo fanno ignorando la sua complessità e il dubbio sistematico che caratterizzava la sua opera, perché è molto più semplice essere dei seguaci che dei critici attenti del suo pensiero. La Cecla scrive non da discepolo ma da amico e come un antropologo e architetto che ancora oggi cerca di sviluppare e cambiare quando serve le tematiche proposte da Illich senza avere paura di criticare anche duramente il “maestro”, fedele alla sua lezione di critico intransigente con tutte le istituzioni e di pensatore che farà della coerenza dei suoi gesti uno stile di vita.

 

Uno dei problemi principali è sicuramente quello della modernità, un problema legato alla sparizione dell'arte di vivere, di cui l'arte di soffrire era una parte integrante. Per questo nel testo viene affrontata una tematica centrale della sua vita: la medicina. In  coerenza con le sue tesi il grande pensatore rifiutò di curare il cancro, perché il dolore, la sofferenza sono per lui una parte imprescindibile nell'esperienza dell'uomo. Con la sua malattia voleva provare che la civiltà medica moderna ha trasformato il dolore da cimento personale in disfunzione meccanica. La capacità della cultura di rendere tollerabile il dolore integrandolo in una situazione carica di senso è venuta meno.

 

La sofferenza non è più percepita come componente inevitabile del consapevole confronto con la realtà, bensì come problema tecnico da eliminare. La medicina per Illich è diventata una nuova pandemia, che egli definisce con il termine iatrogenesi, e si palesa in tre aspetti fondamentali: clinico, sociale, culturale. La iatrogenesi clinica è costituita dagli effetti collaterali della terapeutica per cui dolore, malattia e morte diventano il risultato delle cure mediche, non più una tappa del percorso di guarigione. La spersonalizzazione della terapia e l’uso della tecnologia in campo medico trasformano la mala pratica, purtroppo sempre più frequente, da problema etico in problema tecnico. Per questo affermerà instancabilmente che “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute” (Nemesi medica, 1976 ).

 

Altro grande tema è sicuramente la scuola. Ivan Illich si interroga per lunghi anni su cosa sia quella struttura creata intorno all’istruzione che prende il nome di scuola. Nelle sue conferenze avanzerà una critica radicale, ancora attuale sotto molti punti di vista, ai sistemi scolastici e alla società che li produce. Nella sua analisi la scuola, specie quella professionale, ricade infatti nell'ambito delle istituzioni manipolatorie e non conviviali, ovvero è una forma di manipolazione del mercato che ha come scopo la formazione di individui adatti ed utili alla produzione industriale. “La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è” (Descolarizzare la società, 1972).

 

La convivialità è il suo opposto. La Cecla ne sottolinea l’importanza raccontandoci non solo gli studi del pensatore ma la sua quotidianità, la sua vita passata in case collettive in giro per il mondo, la sua voglia di parlare con uomini e donne provenienti da paesi lontani.

 

Ivan Illich intendeva per convivialità esattamente il contrario della produttività industriale. La crisi planetaria affonda le sue radici nel fallimento dell’impresa moderna: cioè la sostituzione della macchina all’uomo. Nel corso di anni di studio prova a individuare il limite critico all’interno della millenaria triade uomo, strumento e società, oltre il quale non è più possibile mantenere un equilibrio globale, l’uomo diventa schiavo della macchina e la società iper-industriale stravolge ogni scala e limite naturale. Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato. Quando una società, qualunque essa sia, reprime la convivialità al di sotto di un certo livello, diventa preda della carenza e Illich nella sua vita ha cercato costantemente di creare convivialità per non arrendersi alla produttività della società industriale in cui viveva (La convivialità, 1993).

 

La convivialità hai i suoi luoghi, e certamente l’abitare è uno dei più importanti. Non a caso questo argomento sarà centrale nella riflessione e nell’attività tanto di Ivan Illich che di Franco La Cecla, che per anni se ne occuperanno congiuntamente, da Berkeley a Rimini. Cuore di questa esperienza tra i due fu il convegno di movimenti ed esperienze di auto-costruzione che portò, in Italia e non solo, a un grande attacco radicale al sistema corporativo dell'architettura, perché rivendicavano il diritto degli abitanti a gestire e costruire il proprio spazio di vita.

 

La Cecla aveva fondato in Italia il CABAU, il collettivo per l'abitare autogestito che organizzò questo importante convegno al quale Illich accettò di parlare e collaborare. Scelsero persino insieme il nome del convegno, che fu Il potere di abitare. Queste giornate di studi si tennero a Rimini e vi parteciparono tutti i gruppi e i movimenti di auto-costruttori che erano emersi dopo il terremoto del Friuli, e tanti altri architetti del calibro di Giancarlo De Carlo, John Turner e Renzo Piano.

 

Il modo in cui tutti i presenti parlarono di abitare, di architettura, di spazio e il clima in cui si svolsero i lavori furono molto diversi da quelli accademici. I valori della convivialità furono dominanti: infatti La Cecla scrive che nell'insieme il convegno fu una vera festa, perché chi vi prese parte capì che, più che del solito meeting, si trattava di un aggregarsi di persone e movimenti che si identificavano in una visione molto gioiosa di un possibile futuro dei diritti delle comunità. Fu dopo questa occasione infatti che anche in Italia si cominciò a parlare di commons, di diritti comuni, di beni comuni, un tema che come ci viene ricordato nel testo affonda le sue radici nella storia italiana degli usi civici e delle terre comuni.

 

Nel libro, tra vita privata dell'uomo e vita pubblica del pensatore, vengono poi affrontati altri temi decisivi anche per la società odierna: in particolare ci sono analisi impietose del sistema del lavoro, della coppia, e di tutte i legami e le merci, come automobili, televisione, media e computer, che per Ivan Illich rendono l'uomo dipendente e schiavo di sistemi totalizzanti.

 

Franco La Cecla, con una scrittura leggera e coinvolgente che non perde mai di intensità, ci mostra dunque anche un Ivan Illich uomo, con le sue debolezze senza rinunciare a fare critiche e a mostrarci gli errori del “maestro”.

 

Illich ha costruito un pensiero radicale che può essere compreso solo se lo si conosce nella sua interezza e lo si integra alla vicenda umana del pensatore. In questo ritratto La Cecla ne ricostruisce la figura umana, la passione e la forza di critico devastante, e il mondo di relazioni che Illich aveva creato e a volte disfatto: ne esce l’immagine di un intellettuale poliedrico e dubbioso, di uomo eretico a tutte le correnti.

 

L'autore infine ci mette opportunamente in guardia dal pericolo che questo libero pensatore possa oggi essere riassorbito nell'ambito di un pensiero confessionale cristiano, che venga beatificato da una chiesa che ha tutto l'interesse a smussarne gli spigoli e ad assorbire il suo pensiero all'interno di un anti-modernismo cattolico che in questo momento è in piena ascesa. Quella che ci offre Franco La Cecla è una visione di Illich disincantata, capace di criticare e portare avanti la grande eredità umana e teorica dell'archeologo della modernità.

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