Un mare di oggetti 4. Il salvagente
Cigni, paperelle, delfini, a volte persino coccodrilli e draghi, in altri casi personaggi dei fumetti o semplici ciambelle: chi lo direbbe che gli allegri, coloratissimi e innocui salvagenti che punteggiano le rive del mare d'estate hanno un'origine bellica?
E invece è proprio così.
Fu Plutarco il primo a farne menzione, nelle Vite Parallele. È in quelle appaiate di Temistocle e di Camillo che egli ci racconta dell'ingegno di un centurione, inventore del salvagente, appunto. Se soltanto a quel tempo fosse già stato istituito il corpo dei genieri (formato da architetti, ingegneri, geometri, falegnami, fabbri, ecc.) – e lo sarebbe stato di lì a poco –, quel centurione avrebbe potuto appartenervi a buon diritto, tanto sorprendente e duratura è stata la sua invenzione.
Siamo nel 390 (o forse nel 386) a.C., nella fase arcaica della storia di Roma che ancora non è quel che diventerà: la più grande potenza occidentale dell'antichità. E il suo esercito ancora non è quel che sarà: l'esercito più forte e invincibile del mondo antico d'Occidente, capace di conquistare l'orbe terracqueo.
In quell’anno i Galli Senoni, una popolazione celtica proveniente dalla attuale Francia (dall’odierno dipartimento della Yonne, la cui antica capitale era la città di Sens, dalla quale, appunto, i Senoni presero il nome), guidati da Brenno (ma forse Brenno non è il nome proprio di quel condottiero, visto che come il latino Caesar, era un titolo onorifico indicante il capo tout court) mise Roma a ferro e fuoco. Si tratta della famigerata Clades Gallica, ossia della sconfitta di Roma ad opera dei Galli, altrimenti nota come il Sacco di Roma. La sua storia è narrata anche da Eutropio, Diodoro Siculo, Tito Livio, Polibio, Strabone, Varrone e da altri.
Di essa è arcinoto l’episodio delle Oche del Campidoglio, sacre a Giunone e custodi del suo tempio, di cui parla sempre Plutarco (Camill. 27). Lo conosciamo fin dalle scuole elementari. L’urbe era sotto assedio da giorni e tutta la popolazione si era rifugiata sul Campidoglio quando, una notte, mentre tutti dormivano, comprese le sentinelle, i Galli tentarono un’incursione nel recinto sacro. Le uniche ad essere sveglie erano proprio le oche che con il loro starnazzare diedero l’allarme, salvando la città. Ma i Galli non demorsero e perseverarono nell’assedio. Alla fine, quando tutto pareva perduto, a ribaltare le sorti della guerra, ci pensò il grande stratega Furio Camillo. E questo si sa, con i preclari scambi di motti:
Vae victis, da un lato;
e: Non auro, sed ferro recuperanda Patria, dall’altro, eccetera, eccetera.
Meno noto è il nome di colui che rese possibile la salvezza di Roma: quello del centurione Ponzio Comino tramandatoci sempre da Plutarco.
Questi, infatti, incaricato di portare un messaggio al suo comandante, che si trovava al di là del Tevere, per raggiungerlo lo doveva attraversare a nuoto. Ma ciò era talmente pericoloso da essere ritenuto impossibile, infatti, a quel tempo il fiume era ricco d’acque vorticose e assai profonde, per di più non vi erano guadi. L’ingegno di Ponzio gli suggerì di costruirsi un giubbotto di sughero da indossare sotto l’armatura (il cui peso era all’incirca di kg. 11). Con questo stratagemma il “soldato galleggiante” attraversò indenne il Tevere portando a termine con successo la sua missione e permettendo a Furio Camillo di salvare Roma.
Era nato il mito di uno degli episodi d’eroismo della virtus romana che hanno acquisito valore topico, ma con esso era nato anche il salvagente.
C’è poi memoria storica di altri salvagenti inventati per scopi guerreschi. Ne parla, ad esempio, Roberto Valturio, insigne uomo di lettere che fu anche illustre consigliere di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Nel suo De re militari (1445), scritto per celebrare le doti belliche del suo signore e a maggior gloria del ducato di Rimini, corredato di miniature, descrive e illustra proprio un salvagente che utilizza in modo razionale gli otri gonfiati con aria, in uso fin dall’antichità.
Ma il vero inventore del moderno salvagente a ciambella è stato Leonardo. Ve ne è testimonianza in un suo disegno contenuto nel Manoscritto B, il più antico manoscritto conosciuto del da Vinci, databile tra il 1487 e il 1490, dunque al suo periodo milanese, quando Leonardo era alla corte di Ludovico il Moro.
Appartenente alla Biblioteca Ambrosiana, il Ms B le fu sottratto da Napoleone nel 1796 e non le fu mai più restituito, neppure dopo il riequilibrio del Congresso di Vienna. Attualmente è conservato a Parigi, presso l’Institut de France.
In una sua pagina si vede molto chiaramente un uomo che nuota, tenuto a galla da un salvagente a toro, pressoché identico a quelli in uso ancora oggi.
Tuttavia, tanto quello di Leonardo, quanto quello del Valturio sono disegni intuitivi del salvagente, non vere e proprie tavole di progetto, la prima delle quali la troviamo invece nel 1691 negli Acta Eruditorum, un periodico mensile, pubblicato in Germania dal 1682 al 1782, che diffondeva gli studi di diversi eruditi e che ha tra i suoi fondatori addirittura l’incommensurabile Gottfried Leibniz.
Si tratta, invero, di un salvagente meccanico e piuttosto macchinoso che somiglia ad uno strumento di tortura. Chissà se funzionava veramente?
Nulla invece si sa di tal Benvenuto Benedetto D’Alessandro, cittadino romano, che nel 1878 brevettò il giubbotto salvagente, erede di quello del suo antico concittadino Ponzio Comino. Il brevetto fu subito contestato dagli inglesi che ne rivendicarono la paternità, da loro attribuita all'ammiraglio John Ross Ward, che nel 1854 aveva inventato per i suoi equipaggi un giubbotto di tela e sughero risultato, però, pericoloso perché altamente infiammabile.
Ma è dopo la seconda guerra mondiale che i salvagenti quali noi oggi li conosciamo hanno vasta diffusione, divenuta capillare con l’invenzione delle materie plastiche.
Vorrei concludere questo breve excursus sulla storia del salvagente con un brano di Roy Paci & Aretuska insieme al rapper Willie Peyote, intitolato, appunto, Salvagente, che nel 2018 si è aggiudicato il Premio Amnesty International Italia, sezione Big, come miglior brano sui diritti umani.
E mi si perdoni il ritorno al significato intrinseco della parola salvagente, con quella traslazione, doverosa e purtroppo attualissima, rispetto a quello trattato fino a qui.
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