Speciale

Progetto Jazzi / Camminare è la mente

23 Ottobre 2016

 

Continua l’intervento di doppiozero a sostegno del Progetto Jazzi, un programma di valorizzazione e narrazione del patrimonio culturale e ambientale, materiale e immateriale, del Parco Nazionale del Cilento (SA).


Gli Jazzi (da iacere, giacere) erano dimore temporanee, giacigli per il ricovero di animali da pascolo, punto di connessione tra tratturi e paesi: luoghi dell’indugio, della presa di contatto con le cose. Il progetto intende recuperare questo modo di abitare la natura, raccontando percorsi da attraversare con lentezza, riappropriandosi di spazi e luoghi e della loro storia, rinnovando esperienze – come l’osservare le stelle o il nascere del giorno – capaci di ripristinare il contatto con la natura, con il ciclo delle cose e delle stagioni. La sfida è anche quella di produrre innovazione e rigenerazione sociale, recuperando strutture e architetture rurali, mettendo in moto un circolo virtuoso di ospitalità diffusa che si nutra delle realtà esistenti e delle reti di relazione con i ‘nuovi viaggiatori'.

 

 

Quarantena.

La settimana ha celebrato la luce, il ritorno del Sole. L’inverno che non c’è stato ha donato oscurità e buio, invece del terso freddo che rende lontana ma visibile la grande vitamina della vita: l’astro che ci consente di essere non ha avuto grandi occasione per penetrare l’acqua abbondante. Queste giornate mi hanno ricordato il maggio 2002. Anche a Skye, il Sole era Re e in qualche modo tornerò dal sovrano tra quaranta giorni: so che mi accoglierà. Se così non fosse stato allora, quale ricordo avrei portato in me? Cosa avrei scritto? Che libro ne sarebbe uscito? In che modo il desiderio covato nel profondo per dodici anni sarebbe diventato l’attrazione verso la vita oltre questo tempo? Tornare a Rubha Hunish mi fa sentire come una pianta che esce dal terreno e si erge alla ricerca dell’orizzonte e della visione.

 

Penso all’epoca in cui mi trovo. L’epoca dove il tempo conta, perché se “corri affannosamente per catturare il sole che però affonda / fa tutto il giro e risale alle spalle / Il sole è lo stesso ma tu sei invecchiato”. Lo dice anche una delle canzoni più belle del mondo. Come piccole gocce di sudore prodotte da quel sole dobbiamo trovare un modo per non evaporare prima del dovuto. E allora mi tornano alla mente i giorni giovani, che chiaramente mi dissero questo: vivi, corri come il torrente, scivola come il fiume, se ti fermi nella palude, vai a fondo. Non “potevo immaginare allora che la palude sarebbe diventata così grande. E che troppe gocce di quel sudore avrebbero desistito, esauste. Sfinite. Aggiungendo palude a palude, buio a buio. Eppure queste gocce potrebbero essere vitamine capaci di rivitalizzare quell’ambiente sinistro, permettere alla luce di penetrare la superficie e prosciugare il male.

Tutto ciò è anche simbolo di quanto sia fondamentale camminare. Camminare (ri)dona il respiro naturale; camminare è l’azione che consente di comprendere meglio l’oscurità e i suoi demoni; camminare è la mente che decide di non soccombere all’immensa vastità di tutto ciò che è sbagliato, scegliendo di seguire la traccia di tutto ciò che è giusto.

 

Non è pensando da fermi che ci salveremo la pelle: ma permettendo al corpo di oscillare come un recettore nello spazio, potremo conoscere la pienezza del presente che poi lentamente svanisce e diventa vita. Il corpo è il più grande strumento che abbiamo a disposizione, la tecnologia più straordinaria: riceve, elabora, trasmette, collega, crea azione. Il corpo respira la luce e trasforma la nostra chimica poiché camminando comprende il ciclo del giorno e della notte. “Respirando si comprende che la notte non è per forza buio, perché essa cala soprattutto quando siamo fermi e immobili come un lamento consacrato all’oscurità. Le idee non possono nascere lì dove la vita rifugge e si fa tempo disperato, il sole della relatività e non l’astro della vita. Lo dico per esperienza, convinto che basterebbe poco per cambiare il mondo.

 

Ma se poco ci sembra tanto, tutto si capovolge, la canoa non scivola più leggera sullo specchio d’acqua, ma si capovolge e viene inghiottita dall’abisso. Camminando nella luce, capiremo che non possiamo chiudere fuori la Terra e arroccarci nel pensiero senza ossigeno, nel comodo sarcofago di cemento chiuso sopra la psiche. Ciò significa non completare mai la risalita dagli inferi oscuri della paura sino allo splendore della Vita che si rinnova di continuo: lì fuori, ogni problema può essere visto per quello che è. Qui dentro, nell’inverno buio della psiche, no.

 

Durante il mio primo giorno di Scozia, quell’anno portavo con me un insidioso male ai piedi. Ero in forma e non davo retta ai segnali. Gli occhi osservavano le Highlands, le gambe facevano male e non riuscivo a capire. Solo a sera compresi che la colpa era della mente: si era fatta soggiogare dal dolore fisico, oscuro, invece di lasciarsi avvolgere dalla luce e curarsi dal cammino. Il risveglio fu gioioso, la consapevolezza maggiore. La mia psiche aveva in mano il gioco, l’inerzia della partita che mi stavo giocando. Solo così riuscii a creare le condizioni per l’incontro a Rubha Hunish. Con Dàimon questo è stato già chiarito.

 

Tratto da Camminando, ebook, collana ZOOM wide, 2015, Feltrinelli, p. 120, € 4,99. Ed. in brossura Lubrina-LEB, p. 120, € 12.

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