Eraldo Affinati. Vita di vita

20 Novembre 2014

Vita di vita di Eraldo Affinati è un libro delimitato da argini epistolari. Il primo è rappresentato dalle lettere dal fronte di studenti caduti nella prima guerra mondiale seguite da quelle di Orlando Orlandi Posti, martire delle Fosse Ardeatine, e dalle ultime lettere di condannati a morte e deportati della Resistenza. Il secondo, invece, è la Lettera ai responsabili dell'Europa scritta da Yaguine Koita e Fodè Tounkara, due adolescenti della Giunea Conakry, morti per assideramento il 2 agosto 1999 nel vano carrello di un Boeing 747 all'interno del quale si erano nascosti nel tentativo di raggiungere l'Europa.

 

In mezzo a questi due argini, scorre la storia che il libro racconta: un viaggio in Gambia fatto dall'autore per conoscere la madre di Khaliq, un ex scolaro della Città dei Ragazzi di Roma, la comunità religiosa presso cui Affinati insegna e che accoglie ragazzi con problemi psico-sociali, a forte rischio di marginalità e devianza.

Mondadori, che di questo libro è editore, lo chiama romanzo. È una definizione imprecisa. Più che di un romanzo, infatti, si tratta di un ibrido in cui un reportage di viaggio diventa il pretesto per raccontare la vita di chi di quel viaggio è movente: Khaliq.

 

Da qui poi la prospettiva si allarga fino a contemplare schegge di vita degli studenti cui Affinati ha assegnato, come compito per le vacanze, la lettura delle lettere che costituiscono il primo argine di questa storia. È stato Khaliq a suggerirlo al professore: “Grandi ragazi taliani. Porof, io no sapevo che vivono in guera senza genitori e parlano con penna. Posibile? Grande Talia. Tu fai legere ragazi tua scuola. Loro sano che loro nazione così forte? No sano? Tu fai legere importante per famija e capire si posono esere come dici? E-ro-i? Dici così proprio? E-ro-i? Sicuro? Porof, porta Africa. Loro protegono noi in viagio di Sare Gubu”.

 

 

Affinati dà retta a Khaliq: scarica sul telefono le lettere e durante il viaggio rilegge, e a noi fa leggere, le parole dei ragazzi che hanno combattuto e sono morti, nella prima e seconda guerra mondiale. Davanti ai nostri occhi scorrono, come lampi, le ultime parole di Giovanni Galeotti, Edgardo Macrelli, Orlando Orlandi Posti, detto Lallo. Sono le parole di chi ha dato la vita per un ideale. Il senso del loro sacrificio risuona in quelle scritte da Yaguine Koita e Fodè Tounkara, morti per la stessa ragione per cui è morto Lallo: “per de-mo-cra-zia!”, scopre Khaliq.

 

Perché il loro sacrificio non riguarda soltanto lui che in Europa è riuscito ad arrivare, non riguarda i barconi che si rovesciano in mare, non riguarda soltanto l'Africa; riguarda noi tutti che viviamo su entrambe le sponde del Mediterraneo, riguarda i “Signori membri e responsabili d'Europa” cui Yaguine Koita e Fodè Tounkara indirizzano il loro appello: “Dunque se vedete che ci sacrifichiamo e mettiamo a repentaglio la nostra vita è perché in Africa si soffre troppo e c'è bisogno di lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Infine, vi preghiamo di scusare molto per avere osato scrivere questa lettera a Voi, i grandi personaggi cui dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è con voi che dobbiamo lamentarci per la debolezza della nostra forza in Africa”.

 

Eppure, Vita di vita è un libro che lascia un'impressione di incompiutezza. La scrittura è rigorosa ma la lettura diventa macchinosa ogni volta che Khaliq prende parola e lo fa con il suo italiano imperfetto, trascritto alla lettera. Una scelta stilistica di cui perfino l'autore sembra pentirsi, nei momenti in cui sente il bisogno di spiegare alcune delle frasi meno comprensibili del suo ex studente. Quest'opera di interpretariato risulta, alla lunga, ridondante.

Poi c'è l'Africa che nei libri di Kapuściński, Gary, Hemingway è selvaggia, lussureggiante, ancestrale, un continente dal respiro profondo. Quella che affiora dal libro di Affinati, invece, sembra soltanto una scenografia fatta di polvere e afa.

 

Alla fine del libro, con una scelta felice, Affinati fa idealmente congiungere gli argini. Il “porof”, una volta tornato in Italia, accompagna Khaliq e i suoi studenti problematici alle Fosse Ardeatine, a toccare con mano il pezzo di storia del nostro paese di cui hanno saputo grazie alle lettere. Ce li descrive con orgoglio: sono adolescenti feriti, lupi nella tana, bocciati, indisciplinati, imperfetti. “Eppure vivi, pieni, forti, come acido che corrode, energia che consuma, fuoco che scotta”. Li vediamo sciamare lungo il mausoleo, bisbigliare i nomi dei morti, raggiungere il sepolcro di Lallo, morto a 18 anni, come loro studente. Allora, interpellando l'immaginario forse a loro più familiare, si schierano e abbracciano come farebbe una squadra di calcio, fanno un minuto di silenzio in suo onore.

Resta soltanto il tempo per un epilogo che sa di fallimento: lo scoppio di rabbia di uno di loro, che scopre di essere stato bocciato per l'ennesima volta, sancisce l'impossibilità di ricucire tutti gli strappi che possono lacerare una vita difficile.

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