Speciale

La calza e l’idea

12 Luglio 2015

Nella grande Encyclopédie française des sciences, des arts et des métiers, pubblicata nel XVIII secolo, c’è un articolo celebre dove, malgrado l’apparente modestia dell’argomento, prorompe il nuovo spirito del tempo. L’articolo parla della macchina per fare le calze.

 

Il testo è redatto da Diderot in persona. Da cosa deriva tutto questo interesse? Innanzitutto, ovviamente, dal fatto che la macchina per calze esprime molto bene il tema progressista della nostra civiltà tecnologica, il quale ha avuto inizio appunto nel XVIII secolo: da un lato i bisogni della vita quotidiana, colti a partire da un umile articolo vestimentario; dall’altro il potere della tecnica, che permette agli uomini di soddisfare questi bisogni, impiegando un minor tempo e un minor lavoro che in precedenza.  Così, la nuova macchina per calze simbolizza il rovesciamento della vecchia legge contabile della “fatica”, scotto inevitabile – si pensava – d’ogni esistenza.

 

Non è tutto. Quel che rende la macchina per calze veramente ammirevole agli occhi di Diderot è il fatto che essa possiede una sorta di perfezione intellettuale. “Possiamo guardarla – scrive – come un solo e unico ragionamento di cui la realizzazione del prodotto è la conclusione; regna fra le sue parti una così perfetta dipendenza reciproca, che sopprimerne una soltanto, o alterare la forma di un’altra apparentemente inutile, significherebbe danneggiare l’intero meccanismo”. La macchina per calze illustra in tal modo la perfezione che ci si aspetta da ogni intelligenza: la solidarietà deduttiva delle idee, la necessità delle loro forme. Certo, dopo Diderot l’umanità non ha mai cessato d’inventare macchine nuove, sempre più complesse, che sembrano oltrepassare i limiti dell’intelligenza, di cui pure sono al tempo stesso il modello e la copia. E anche la macchina per calze è molto cambiata. Tuttavia, il simbolo permane, e sussiste il medesimo stupore: una calza femminile – la cosa più fine, più leggera che esista, liscia come la pelle che protegge ed esalta, simbolo stesso della creazione sovrannaturale perché non ha in sé, come la tunica dei santi, nessuna cucitura – può essere la conclusione (è il termine di Diderot) di un ragionamento la cui complessità, simile alla sorpresa derivante d’un’idea intelligente, si inscrive nel lampo di quei pochi secondi necessari a produrla.

 

 

 

Pubblicato per la prima volta in lingua italiana in Billi Firenze, 1967; poi in francese nelle Oeuvres complètes, tome 2, Paris, Seuil 1994, p. 412, da cui qui si attinge (trad. del Curatore).

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