Heidi vs Peppa Pig
Heidi è ritornata in tv per spodestare Peppa: e ci sta progressivamente riuscendo. Le puntate della serie sono, infatti, trasmesse, due volte al giorno, negli orari di punta della programmazione di Cartoonito, conquistando i piccoli telespettatori ormai troppo cresciuti per la programmazione di Rai YoYo. C’è, infatti, una sottile linea d’ombra che divide il mondo dei piccoli spettatori del noto canale Rai da quello degli spettatori di Cartoonito, una treanniemmezzità che chiede al mondo (e alla fiction!) scenari e trame più complesse e articolate di quelle fin qui digerite. Ed è a questa volontà che Heidi, ritornata in tv, con le sue caprette e il suo nonno zoticone viene chiamata a rispondere.
La storia di Heidi è un classico della letteratura per l’infanzia da oltre centotrent’anni. Il romanzo della scrittrice svizzera Johanna Spyri che ne propone per la prima volta le avventure viene, infatti, pubblicato nel 1880 e diventa velocemente un riferimento essenziale per la gioventù tedesca del tempo, in un contesto continentale in piena e galoppante industrializzazione. Natura incontaminata, montagna, pascoli e caprette vengono, allora, arruolati contro la città e la modernità in difesa di un Volk tanto montanaro quanto, in fin dei conti, autentico. Ci vuol poco perché il villaggio di Heidi venga riconosciuto come orizzonte nostalgico perduto e allo stesso tempo simbolo di resistenza contro la dittatura della modernità, indipendentemente dallo scenario nazionale di partenza e dal contesto storico in cui la storia è effettivamente ambientata. Ecco perché il romanzo subisce una quantità innumerevole di riscritture: sequel letterari, adattamenti cinematografici e televisivi, il celebre cartoon e perfino un parco a tema non hanno fatto altro che traghettare il cuore originario ed eterno della storia, ricontestualizzandone di volta in volta la portata: in ogni tempo e in ogni luogo, c’è sempre una autenticità naturale da rimpiangere nostalgicamente di fronte alle brutture del presente.
A una suggestione di questo genere risponde doppiamente la serie anime giapponese del maestro Miyazaki recentemente, come si diceva, ritrasmessa in Italia. Essa, da una parte, ci fa rimpiangere i nostri “bei vecchi tempi”, intimandoci di non misconoscere le nostre altrettanto rurali italiche radici ma dall’altra, più sottilmente, instilla nello spettatore adulto una nostalgia tutta metatelevisiva per la dorata e innocente tivù di una volta che si ritrovò, alla fine dei settanta, a trasmettere solennemente e in prima serata nella principale rete nazionale le puntate della serie. Altri tempi.
Venendo a noi. Heidi, come si diceva, ritorna a essere protagonista del palinsesto. E assume immediatamente una riconoscibilità all’interno della galassia di proposte dedicate ai più piccoli, posizionandosi in relazione ad esse. Vale la pena notare come in questa ritrovata collocazione emerga una caratteristica forse sostanziale: se la maggior parte di programmi e serie tv in programmazione sui nuovi canali tematici rivolti all’infanzia rappresentano soluzioni originali di riarticolazione delle dinamiche famigliari (abbiamo visto Peppa e la sua famiglia allargata, la Pimpa con il suo discorso sulla paternità, i Barbapapà con il loro spirito di adattamento etc.), Heidi non fa eccezione, costruendosi come un grande narrazione sul ruolo dei nonni nell’educazione dei bambini. Sì, perché, lo si ricorderà, sempre per i casi della vita, la nostra eroina si ritrova a essere orfana affidata dalla zia al “vecchio dell’Alpe”, tenebroso nonno paterno, abitatore della montagna in solitudine e, per giunta, in conflitto con gli abitanti del villaggio più vicino. Si capisce che la sequenza di opposizioni che caratterizzano il plot della serie – natura/cultura, comunità/società, tradizione/modernità, autenticità/finzione, passato/presente – viene presa in carica nella dinamica relazionale e di parentela fra i personaggi.
Al nonno toccherà rappresentare i valori inattuali di difesa della spontaneità comunitaria e della tradizione, dell’autenticità e di genuinità del passato contro l’attuale e sfacciata ipocrisia cittadina. Una tale attitudine si propone, quindi, come eminentemente antisociale: il vecchio dell’Alpe è un eremita votato alla cultura materiale (il nonno costruisce con le sue mani), rifiuta il denaro (le transazioni economiche del nonno sono tutte frutto di baratto), l’etichetta (il nonno non si scandalizza per gli eventuali rumori molesti della piccola a tavola) ed è portatore di una silenziosa etica della responsabilità. Il suo orizzonte è, infatti, la libertà, in primis nei confronti della piccola Heidi che viene educata a cavarsela da sé e a scorrazzare liberamente nel suo orizzonte di vita insieme al suo amichetto Peter. Per preservare questa sua condizione di libertà, il nonno è pronto a sacrificarsi, pagando il prezzo di contravvenire alle regole e al senso
comune.
Molto diverso il clima che si respira in città. Allontanata a forza dalla montagna per opera della stessa zia che qualche tempo prima l’aveva “abbandonata” alle grinfie del nonno, Heidi viene condotta a Francoforte, per recuperare il tempo perduto, inserendosi in un contesto borghese come dama di compagnia di Klara, una ragazzina di buona famiglia costretta sulla sedia a rotella dalla poliomielite. Se immediatamente lo scenario urbano viene segnato come spazio ostile (ipocrita, formale e monotono), ciò che è interessante è che queste stesse qualità negative vengano automaticamente condensate nella persona che ha la responsabilità di prendersi cura dell’educazione di Klara, e che adesso si ritrova a dover gestire anche la pestifera (a suo dire) Heidi/Adelaide: la famigerata signorina Rottermaier. La tutrice si rivela insopportabile per la piccola Heidi, sempre pronta a rimproverarla per ogni nonnulla, ossessionata com’è dalla paura. Se Heidi, infatti, è stata educata alla responsabilità dal nonno, la signorina Rottermaier non fa altro che deresponsabilizzare le proprie protette, assumendosi ossessivamente il peso del controllo e della loro incolumità. Il tutto raggiunge il parossismo proprio a causa delle cagionevoli condizioni di salute di Klara che nella signorina destano, se possibile, ulteriore apprensione. A tutto ciò si ribella Heidi, reclamando, fino a starci male (soffre di sonnambulismo), la sua montagna e la sua libertà tanto da convincere (non prima che il suo disagio fosse certificato da un medico), i suoi tutori a riportarla fra i monti: le puntate che mostrano il suo ritorno sono, da questo punto di vista, davvero commoventi. Si tratterà di una vera e propria liberazione, a cui Heidi non mancherà di sottoporre anche la sua amichetta Klara che, grazie alla sua visita in montagna, riuscirà a recuperare perfino la facoltà di camminare.
Si possono tirare le somme di questo meccanismo. Se la montagna è il regno dei nonni (oltre al vecchio dell’Alpe, c’è anche la nonna cieca di Peter), emerge il loro modello: essi si propongono come custodi di un mondo tradizionale che non può che pensare la fanciullezza spensierata e innocente dei bambini in un nesso inestricabile con la responsabilità. I bambini della serie, non a caso, lavorano (Peter, ricordiamolo, è un pastorello, mentre Heidi non fa altro che aiutare il nonno nelle mansioni della vita quotidiana) senza che questa occupazione possa suonare scandalosa, senza che il loro “lavoro minorile” possa fare minimamente impensierire alcuno. Far lavorare i due piccoli, in questa prospettiva, non significa affatto, come da slogan sindacale, “privarli della loro infanzia” o, peggio, non amarli abbastanza, dato che questo stesso lavoro è inserito in un progetto educativo, in un ordine delle cose, nonnesco, evidentemente inaccettabile in una città, che, nel frattempo, ha cambiato posizione sul tema.
Ecco spiegata l’impertinenza dei nonni: essi rappresentano i pericolosi testimoni della relatività di ogni legge e ordine sociale, proprio in virtù della loro prolungata esperienza di vita. Avendo visto passare mode e costumi, stati e governi, avendo partecipato alla vita del mondo passando attraverso l’avvicendarsi delle generazioni, essi chiedono cittadinanza per ciò che c’è di più umano, l’eccezione. Senza arrivare agli estremi del nonno di Heidi, reclamano la liberazione (almeno per un giorno di assenza!) dei piccoli dalla scuola (che sarà mai?!), preparano torte indimenticabili (ma estremamente burrose e ingrassanti!), hanno sempre un regalo da sfoderare nel momento in cui i bimbi vengono rimproverati dai genitori. Sono pronti a scendere in campo per difendere i nipotini dalla ferocia del presente, rendendo la vita molto difficile a chi dovesse malauguratamente ritrovarsi nei ridicoli panni della signorina Rottermaier, una parte in commedia (una commedia evidentemente scritta da nonni) e una presa in giro di cui molti genitori, già oberati dalla responsabilità di orientare i propri figli nello scenario sociale del loro tempo, forse farebbero a meno!