Il mondo sfinito di Borlini e Memo
Eva, protagonista di Il limite del mondo, è l’omonima della prima donna sulla terra, osserva i suoi vermi che le strisciano sulla mano, li ha presi per sentire qualcosa di vivo tra le dita, ma sembrano fatti di silicone.
Eva è una figlia abbandonata da Margulis, una madre Natura sempre più visibile solo al microscopio. Eva sa che sua madre è morta e, invece, vive in laboratorio, “in ritiro” agli sgoccioli di un ghiacciaio, per salvare le più piccole forme biotiche.
Margulis è il nome di una biologa che negli anni ’80 ha teorizzato l’endosimbiosi, una rivoluzionaria scoperta secondo la quale i batteri hanno stabilito un rapporto simbiotico con le cellule ospiti, una cooperazione per cui i primi, “inglobati” dalle cellule più grandi, creano energia nelle cellule animali e permettono la fotosintesi in quelle vegetali, in cambio di protezione presso la cellula ospite.
Per questo, la mamma-Natura di Eva, forse, non fa distinzione tra un batterio e un umano a cui dovere la vita. È come scegliere tra due figli: Gaia o Eva? e «la verità è che non possiamo curare Gaia senza cambiare noi stessi». La chiama per nome, come una figlia che non può abbandonare.
Abbiamo tutto da imparare dai batteri, perché: «ognuno garantisce all’altro ciò che gli serve. Il contrario di quello che facciamo noi umani.»
Il Dottor Keller, Ceo di Carbcap, suo ex marito, è capo di un progetto di primo impianto di geo-ingegneria che implementa un metodo insostenibile di cattura del carbonio, perché «ridurre le emissioni richiederebbe sacrifici inaccettabili» (per i ricchi).
Non è la stregoneria dell’antagonista di un fumetto. Gli autori di Il limite del mondo, Barbara Borlini e Francesco Memo, ci illustrano che la geoingegneria è una distopica scorciatoia della tecnologia esasperata dei magnati di oggi: strade “condizionate”, impianti sciistici indoor o bar-igloo. Allora non è così inverosimile pensare di coprire le vette montuose con vernici inquinanti per riflettere il sole e proteggere la terra o di oscurarlo lanciando spruzzi di acqua marina per aumentare le nuvole e non far passare i raggi UV, in gergo: aerosol stratosferica di particelle catarifrangenti. Sembra la formula di un incantesimo.
Mentre Margulis, immersa nella sua visione olistica del mondo, sana rapporti tra funghi e alghe, il padre di Eva sa ciò che manca a sua figlia: un i-pet, dispositivo a forma di uccello, che registra i dati sanitari, il ciclo di veglia e di sonno, conta i battiti per salvarla eventualmente da un arresto cardiaco.
L’i-pet è un fossile della Silicon valley, un piccolo angelo custode di plastica. Per Eva è solo un uccellino del malaugurio che la segue ovunque, la controlla. Tra una fase di eco-ansia e una di ego-ansia segue le persone ossessionate dalla propria salute, che brevettano app per infarti, ma non sentono il battito d’ali di un vero uccello, il lamento delle piante, se non nei cartoni animati.
Ecco, ritrovo nei protagonisti di Il limite del mondo una tensione aggiornata e un richiamo all’ecopacifismo poetico di La principessa Mononoke di Miyazaki, un capolavoro del ’97 sul cambiamento climatico, sulla “falsa riga” umanità-natura.
L’antropomorfismo e lo zoomorfismo delle favole o delle religioni dovrebbe essere il linguaggio vitale, simbiotico, affettivo che noi umani abbiamo per vedere il mondo pulsare in una catena alimentare… che si alimenta libera.
Un concetto poco chiaro per Elon Musk che sputa nel piatto in cui “magna” da “eco-magnate”.
Come si può pensare alla transizione ecologica di un uomo che vuole prevenire l’estinzione umana grazie al rinnovabile, ma disconosce la transizione di una figlia che esercita l’agognata libertà di espressione di cui lui si farebbe paladino, dichiarando che il figlio, appunto, “Xavier è morto ucciso dal virus woke”?
Evidentemente ferito dalla maledizione del bullismo sofferto da piccolo, non riesce a spezzare il ciclo della violenza? come finirà questa storia in questo clima di ultima generazione?
In Il limite del mondo sottosopra, siamo tutti sotto la gravità di chi ci fa credere, come Musk, che possiamo salutare la Gaia terra, cotta più sulla woke culture che dal surriscaldamento globale ignorato dal governo del suo amico Trump, che nomina negazionisti ambientali per poi scappare su Marte, dal Dio della prossima guerra che non abbiamo imparato a fermare qui.
In un mondo dove la Segretaria alla sicurezza interna degli Stati Uniti si vanta di aver sparato al suo cucciolo di cane perché “indisciplinato”, o dove lo spessore politico del dibattito dello stesso presidente che l’ha nominata si misura sulle accuse (smentite) che gli immigrati haitiani mangiano cani e gatti (provoco: almeno, a differenza della Segretaria, che ha ucciso per pura crudeltà, loro lo hanno fatto con una finalità alimentare?). Chi è più umanamente ipocrita oltre che violento? È strano chiedersi, allora, perché degli esseri umani siano diventati delle “zecche”…? altro animale usato come dispregiativo per definire persone che si uniscono nei centri, appunto, sociali, perché credono ancora nelle energie eco-solidali tra forme di vita.
Qual è la morale? che il “Dio Bestia” del film La principessa Mononoke di Miyazaki non deve essere scambiato per una bestemmia.
Per lo scintoismo naturalistico giapponese il “Dio Bestia” è la più alta rappresentazione dello spirito della natura che, nel film, ha corpo di cerbiatto e testa umana, un sincretismo giustissimo.
In questo ecosistema c’è una lupa che ha adottato una figlia umana (Mononoke) cresciuta come i nostri Romolo e Remo che, invece, si sono fatti guerra nella stessa specie, nella stessa famiglia, per la supremazia, per un pezzo di terra che oggi “vale meno” perché , impreparata al peso delle alluvioni o alla siccità, dà sempre meno frutti.
Allora Eva, Yves, Adam, Wei si ribellano tra crisi ambientale e ingiustizie sociali, facce della stessa medaglia sventolata da un padre che continua a nascondere le polveri sottili sotto il tappeto, a fare green washing, o la pulizia dei telefoni limitando il numero dei caratteri di un post su X per ridurre ai minimi termini un pensiero, grossolanamente politico.
La pietra scagliata dagli umani (da Lady Eboshi, leader della città di ferro di La principessa Mononoke,), che ha colpito il Cinghiale guardiano della montagna, imputridendo le sue ossa, ha generato rancore nelle altre specie e nella terra, che paghiamo a rate già da tempo con mutuo soccorso di qualche generoso altruista “volontario” e controcorrente.
Gli autori del graphic novel ci lasciano in sospeso una storia che delega a noi lettori l’evoluzione (anche delle specie). Eva regala il suo i-pet a Nora, una donna incinta che ha più bisogno di lei di fare un check sanitario per monitorare la gravidanza coraggiosa, sotto le allucinazioni del caldo. Quell’uccellino è diventato l’ultimo barlume di un ricordo… di una vera aquila che vive da qualche parte dall’altra parte del libro.
Opere “buone” che però ci lasciano al verde…
Ma il dilemma degli interessi tra persone e Natura si può saldare. Se da una parte gli abitanti della Città del ferro di Miyazaki estirpano gli alberi per ricavare legna e scaldare i metalli col fuoco e quindi dare lavoro alla gente; i lupi, i gorilla, i cinghiali cercano di proteggere il bosco, la loro casa, dalla deturpazione, non dalla sua occupazione. Chi sbaglia a scagliare la prima pietra?
Il principe Ashitaka, ferito e maledetto dal cinghiale, però, arriva per storcere la lama in un duello tra la donna-lupo, una perfetta attivista climatica dei nostri giorni e una guerrafondaia con una “baracca” da mandare avanti, per fargli capire che tutto questo conflitto non è sostenibile. Un po’ come i costi del personale e del carburante di una nave di 80 metri per 8 migranti.
La convivenza sta tra la distruzione capitalistica e l’estinzione umana, e in mezzo di spazio ce n’è.
Il progresso sta nella conversione (al buddismo, allo scintoismo? Perché no…) di quel “sono al verde” o a una storia che si legge in giù e in su, da destra e da sinistra, in un libro capovolto come un manga, giapponese, appunto, in cui Il limite del mondo è quello capitalista-negazionista del cambiamento climatico dove un senzatetto ubriacone, visto come “una bestia”, è un reietto che, dall’altra parte, è un vecchio pastore (rozzo pecoraro) che tentava di proteggere la sua montagna, a cui una multinazionale ha sottratto il terreno. Proprio come il cinghiale, divenuta divinità maligna, perché nessuno nasce cattivo, è figlio del Dio Bestia da cui discendiamo tutti, non può che covare quel rancore, lottare fino allo stremo e maledire il prossimo che non lo rispetti.
Allora, non collaborare è un vero peccato originale. Il bite (morso in inglese) della prima donna, Eva trasformato in byte, in un’unità di misura informatica universale, ci ha programmato a una nuova Genesi discesa da una grande Apple senza sapore. Sotto un Cloud da cui non piove acqua, ma tutto lo scibile, i bruchi hikikomori sono paralizzati dall’idea che non possano “spiccare il volo” cambiare aria e le cose, rinchiusi in una torre di Babele in codice binario che gratta il cielo di Dio, che ride del nostro contrappasso. Non riusciamo a comunicare.
Ci servirà un super partes Python per fare da garante nel dialogo tra le persone, condannate a com(mozioni) cerebrali che ci proiettano in un futuro di consiglieri comunali fatti di “bot”? Se tanto la depersonalizzazione è imparzialità e ci fa sentire più tutelati, perché allora basterà fare decidere all’intelligenza artificiale come far finire questa guerra?