Alieni a Lucca Comics
Immaginiamo per un attimo un alieno che arrivi sulla Terra nei primi giorni di novembre. Immaginiamo anche che l’alieno abbia a disposizione ventiquattro ore, dimostri una spiccata vocazione per l’antropologia e che il suo disco volante (si usano ancora i dischi volanti tra gli alieni?) atterri a Lucca, Toscana, Italia. Cosa si troverebbe davanti il nostro osservatore spaziale?
Si troverebbe davanti una città tra le più belle e meglio conservate d’Europa, colma di campanili, torri, piazze e palazzi storici: ma questo l’alieno lo sa (ha buoni studi umanistici alle spalle, storia medievale, storia dell’arte… non si è limitato all’antropologia). Quello che certamente non si aspetta è la debordante marea di homo sapiens che, incuranti delle leggi della fisica, si riversano a fiotti tra le strade acciottolate, sfilano in massa lungo le mura cittadine, fino a ritrarsi, agghindati nelle più strane fogge e costumi, di fronte ai sagrati millenari delle molte chiese cittadine. Un immenso carnevale, una parata più poliedrica e colorata di un Pride, nella quale famiglie con bambini, ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo d’Italia (molti di origine migratoria, in particolare asiatica), ma anche uomini e donne dall’età decisamente più avanzata, assumono per un giorno l’identità di personaggi immaginari usciti da fumetti, comics, manga, anime, film, serie televisive, videogame…e di qualunque altro prodotto culturale e visuale che vi venga in mente.
È Lucca Comics & Games, alieno! Il più grande appuntamento italiano dell’immaginario pop, la mega-fiera che ogni anno, in appena cinque giorni, fa aumentare la popolazione di Lucca di almeno tre volte. Basti pensare che quest’anno i biglietti venduti sono stati più di 275.000, ai quali bisogna aggiungere i professionisti accreditati (più di 16.000, per circa 660 espositori), oltre ai visitatori che hanno deciso di essere a Lucca senza acquistare il pass per accedere ai padiglioni (il costo del biglietto giornaliero, compresi i bambini dai nove anni, varia da 26 a 33 euro, a seconda della giornata).
Torniamo al nostro antropologo marziano: cosa penserebbe di questa marea umana impegnata in riti collettivi così bizzarri? E come interpreterebbe il contrasto tra le gigantografie colorate di Pokemon e One Piece e le absidi e le cupole, a loro volta ieraticamente iconiche, contro cui si stagliano quelle gigantografie?
Mi piace pensare che, da buon umanista extraterrestre, l’alieno sorriderebbe, concludendo che in fondo la globalizzazione degli immaginari non è una novità di oggi. Invece di gridare allo scandalo e alla corruzione dei costumi, avrebbe forse la saggezza di considerare in prospettiva questo fenomeno di mascheramento, notando con una vertigine di stupore i richiami sotterranei tra l'iconografia medievale fatta di grifoni e altri animali fantastici (ritratti da mani antiche sulle lunette di San Martino) e il mondo fantasy dei cosplay, che in posa tra parrucche colorate e armi posticce cercano una photo opportunity tra i marmi chiari e scuri della Cattedrale. Del resto, l’alieno ha studiato e sa bene che per secoli la più grande agenzia di ibridazione dell'immaginario è stata proprio la Chiesa romana, capace come poche di veicolare e reimpastare moltitudini di icone, simboli e codici, infondendogli nuove forme e nuovi significati.
Ma se il nostro alieno nutrisse ancora qualche dubbio su questa inedita e forse blasfema intuizione, alla vista dell’enorme pupazzo gonfiabile di Luce ogni suo dubbio evaporerebbe. Un momento: Luce, chi è Luce?
Luce è la mascotte kawaii che il Vaticano ha voluto per il Giubileo 2025: un’adorabile bambina dalle fattezze e gli occhioni manga, disegnata dal designer Simone Legno. Come informa il sito della Santa Sede, “Luce è una pellegrina che indossa gli elementi tipici del viaggiatore: un k-way giallo per ripararsi dalle intemperie, stivali sporchi di terra che testimoniano il cammino già percorso, una croce missionaria al collo e il bastone del pellegrino. Particolarmente evocativa è la rappresentazione degli occhi di Luce, che brillano di una luce intensa: simboleggiano la speranza che nasce nel cuore di ogni pellegrino, incarnano il desiderio di spiritualità e di connessione con il divino e fungono da richiamo a un messaggio universale di pace e fraternità.” Con buona pace di Pillon e degli strali di altri trinariciuti cattolici integralisti, il nostro alieno noterà con soddisfazione come l’adesivo/santino di Luce e dei suoi compagni di avventura (a loro volta pucciosissimi: sembrano appena usciti da una puntata di Arale o di Dragon Ball) passi veloce di mano in mano.
Eppure, non è tutto oro ciò che luce. Sebbene sia estasiato da una tale moltitudine di persone, icone e simboli che si muovono per Lucca, anche al nostro alieno dopo un po’ incomincerebbero a far male i piedi (o i tentacoli, poco importa) e anche la proverbiale pazienza spaziale incomincerebbe a essere usurata dalle eterne file. Per entrare negli stand, per accedere a un firmacopie, per provare un gioco, per mangiare o bere qualcosa nei bar presi d’assalto (e, spesso, dai prezzi lievitati come soufflé), per cercare un bagno dove poter espletare i suoi misteriosi, e per noi arcani, bisogni fisiologici alieni.
Eh sì, perché quello di cui soffre Lucca Comics & Games, ormai da diversi anni, è una sindrome da gigantismo: essere sempre più grandi, fare sempre più eventi, attirare sempre più visitatori. Basti pensare che per questa edizione sono stati coinvolti oltre 900 ospiti, per un totale di 1.585 appuntamenti nell'arco di cinque giorni. Una malattia virale che, a dirla tutta, riguarda moltissimi festival culturali in giro per il paese. Con l’inevitabile corollario di altrettanto inevitabili storture di mercato: impazzimento degli affitti e dei prezzi, congestione dei treni e delle autostrade, un far west all’ultimo sangue di parcheggi, dehors e chioschi di panini. E negare l’evidenza serve a poco, visto che diversi segnali ci dicono che qualcosa ormai si è rotto anche nella percezione del pubblico: basti dire che quest’anno sono stati venduti quasi quaranta mila biglietti in meno, e che in nessun giorno della manifestazione si è raggiunto il sold out delle ottantamila presenze (anche se nei giorni di festa ci si è andati vicino).
È la solita vecchia storia dell’iperturismo, della gentrification, della movida, che conosciamo così bene nelle nostre città. O se preferite è lo specchio dell’intero sistema capitalista: inseguire una crescita infinita in un mondo finito, non darsi e non veder limiti, che siano strutturali, ambientali, urbanistici, di trasporti, di accoglienza, di gestione dei flussi… ma anche, più semplicemente, di attenzione, cura, benessere e relazione. Relazione tra chi? Tra lettori e autori, tra autori e editori, tra comunità sempre più frastornate e spaesate. Il risultato finale tende ad assomigliare un po’ troppo a un supermercato, dove tra corridoi gonfi di merce allineata sugli scaffali ci aggiriamo senza curiosità, cercando quello che già sappiamo di voler/dover prendere. Con scarsa possibilità d’esplorazione, scoperta, serendipity, senza uscire cioè dalla nostra bolla e dalla comfort zone del già noto.
E veniamo così all’ultimo punto, che il tempo a disposizione dell’alieno sta ormai scadendo. Lucca C&G rimane un’immensa e pacifica festa popolare, su questo non ci piove (oddio, pacifica lo è certamente, anche se non si può non notare con un filo d’inquietudine lo strabordante stand dell’Esercito Italiano, che occupa i due lati del cortile degli Svizzeri: di fatto un invito al reclutamento e alla normalizzazione della guerra, mala tempora currunt…). Ma una manifestazione di questa natura e dimensione – si chiederebbe ancora il nostro alieno curioso – riesce ad essere anche un prisma che proietta un’immagine leggibile dello stato attuale del fumetto, delle sue evoluzioni o involuzioni?
Nato come festival del fumetto, negli anni Lucca ha relegato la nona arte a un ruolo sempre più ancillare, schiacciandola tra altri media e linguaggi. E in questa foresta di simboli e riferimenti, a tratti gioiosa e a tratti infernale, che rifugge a qualsiasi tentativo di sistematizzazione, non sembrano trovare spazio chiavi di lettura condivise. Persino le mostre ufficiali del festival, che dovrebbero essere spazi di riflessione e sedimentazione, o al contrario di intelligente provocazione, sembrano aver abdicato a questo ruolo, risultando innocue e, troppo spesso, scialbe. Mentre proposte preziose, come quella sul lavoro di un grande fumettista come Attilio Micheluzzi, sono incomprensibilmente relegate a spazi secondari e defilati.
Insomma, per il gigantismo di cui abbiamo detto e per la bulimia della stessa industria del libro, preda ormai di un processo di superfetazione editoriale, Lucca C&G non sembra poter esser il polso attraverso cui valutare criticamente lo stato di salute del mondo dei balloon e delle vignette. E con questa consapevolezza lasciamo ripartire l’alieno, prima che scompaia – senza che nessuno noti la sua reale irrealtà – nella folla colorata dei cosplay.