Buone ragioni per il 25 aprile

22 Aprile 2024

Perché festeggiare il 25 aprile? Perché accanirsi ancora su quei fatti, quella memoria, quei valori? Non può essere che il significato morale e ideale della Resistenza, della Liberazione per mano popolare dal nazi-fascismo, si sia inevitabilmente raffreddato, diventando un reperto storico importante, anche fondativo, ma ormai distante, come lo sono il Risorgimento, l’impresa dei Mille, Cavour e Garibaldi? Sono passati quasi ottant’anni dal 25 aprile 1945: perché non dovremmo poter constatare che l’antifascismo, come tutte le cose umane, ha esaurito la sua parabola?

Eppure, se seguiamo questa logica pacificatrice, suggerita da destra puntualmente ogni 25 aprile, come mai quella stessa destra, oggi al potere, non perde occasione per rivendicare l’idea che il fascismo deve essere finalmente normalizzato, smettendo di vederlo come monito negativo e pietra d’inciampo della nostra coscienza nazionale?

Da un anno mezzo, non passa giorno in cui non si registri una dichiarazione ufficiale o una battuta allusiva volte a depotenziare la caratura morale e politica della Resistenza, mentre si moltiplicano i tentativi di santificazione di figure opache e compromesse, presentate ora come vittime ora come eroi, cui tributare onori e riconoscimenti. Un fascismo espunto magari delle sue asperità indifendibili – l’alleanza con Hitler, le leggi razziali – e che per il resto può essere finalmente inglobato senza più patemi nel nostro patrimonio nazionale.

Tuttavia, questo tentativo di normalizzazione per la destra di Giorgia Meloni non è più sufficiente. Non basta spostare dolcemente il confine del lecito ogni giorno un po’ più in là, cercando di innestare sul tronco del pantheon repubblicano rami legati a una storia altra – quella di chi ha sempre disconosciuto la democrazia, contrastandola al punto da ordire nere trame eversive. È alle radici della pianta che deve puntare ora l’accetta: all’antifascismo, ai fondamenti civili, culturali, politico-istituzionali della Repubblica, condensati nella Costituzione, principi e valori che la destra post-fascista non ha mai del tutto accettato e fatto propri.

Con la censura ad Antonio Scurati questo intento diventa manifesto a tutti. Quando si arriva a cercare maldestramente di silenziare la voce di uno scrittore – noto per la ricostruzione storico-narrativa del fascismo e della figura del suo fondatore – solo perché non si sopporta di sentirsi accusati di un fatto evidente e incontrovertibile: il mancato ripudio da parte di Meloni dell’esperienza mussoliniana; quando, non soddisfatti di questa zelante censura, la Presidente del Consiglio arriva addirittura a rivendicarne di fatto la maternità, rilanciando la vergognosa ricostruzione di inesistenti ragioni economiche e di compenso; ecco, a questo punto il salto di scala credo risulti evidente a chiunque. Alla soffice censura delle idee si accompagnano, naturalmente, anche argomenti più solidi: duri e immediati, come i manganelli sulle teste degli studenti, ma anche a più lunga gittata, e che daranno frutti amari col tempo, come la riforma del premierato o il giro di vite per reprimere le manifestazioni per il clima e il dissenso nelle scuole. 

Del resto, sono anni che da destra si sostiene che il 25 aprile, in quanto simbolo rinnovato dell’antifascismo, debba essere finalmente superato. La logica è apparentemente cristallina, tertium non datur. O i principi e i valori del 25 aprile sono oggi così generici e banali che non necessitano di essere rievocati – l’anelito per la libertà, la democrazia, la lotta contro il male e l’odio: chi potrebbe disconoscerli? –; oppure, al contrario, sono divisivi e di parte, e quindi c'entrano ben poco con un sano sentimento nazionale. Insomma, le ragioni del 25 aprile o sono innocue o sono perniciose: in ogni caso, possiamo farne serenamente a meno. E liberarci così di tutta la retorica e l'acrimonia di una parte del paese, minoritaria e ormai fuori dal tempo, che pretende di assegnare agli altri patenti di legittimità, che si crede democratica ma che vorrebbe escludere gli avversari con accuse infamanti, continuando a gridare al pericolo di un lupo eversivo e autoritario che non c’è, se mai c’è stato, per potersi ergere ad unica difenditrice della democrazia.

Per orientarci e ritrovare la strada in questo bosco di semplificazioni interessate e negazionismi mascherati di buon senso, dobbiamo guardare alla Storia e alle storie. Ovvero a cosa il 25 aprile ha significato dal 1945 ad oggi per milioni di italiani, come specchio in cui di volta in volta ci siamo riflessi, con un doppio scopo. Quello di celebrare la natura composita, plurale e partecipata della Resistenza – “i bei giorni della vittoria, i freschi giorni del popolo”, come li ha chiamati Pasolini una poesia del 1953 – per riconoscerci in essa e riannodare la memoria. E, dall’altra parte, guardare alla giornata della Liberazione con l'obiettivo pratico di trovare nel presente nuove declinazioni di quel momento fondativo, attualizzando l’antifascismo in nuove parole d’ordine, sentimenti e prospettive.

libro 25 aprile

La Storia e le storie, dicevamo. Alla prima guarda Luca Baldissara, storico dell’Università di Bologna, in un libro appena pubblicato da il Mulino, intitolato significativamente 25 aprile. Perché la storia di questa festa civile e politica può essere usata come efficace pietra di paragone, attraverso la quale leggere le trasformazioni e i punti di svolta che hanno attraversato la società italiana.

Senza poter sintetizzare qui una ricostruzione ricca e per molti versi illuminante, possiamo individuare un punto di svolta centrale nel passaggio tra i decenni Settanta e Ottanta. Prima di allora, anche nel conflitto politico più duro, l’antifascismo occupava un ruolo riconosciuto da tutti, uno spazio di legittimazione democratica condiviso tra le diverse culture politiche che avevano traghettato il paese dalla dittatura alla Repubblica. Semplificando al massimo, se i comunisti guardavano alla Resistenza come spinta alla lotta politica e sociale, la DC ne enfatizzava la dimensione storica di Liberazione, secondo un modello assimilabile al 4 novembre. I movimenti sociali, dal canto loro, sotto la spinta del sessantotto, rivendicheranno il 25 aprile e l’antifascismo come argine ai rischi d’autoritarismo (ben rappresentati dalla strategia della tensione e dai vari tentativi golpisti), ma anche come ispirazione per la democratizzazione e l’estensione dei diritti sociali.

Con gli anni Ottanta tutto cambia. È allora che sulla spinta del craxismo si incomincia ad additare l’impianto costituzionale come vecchio e superato, mettendo pesantemente in discussione anche l’antifascismo, che di quell’impianto è il presupposto. Nuovi argomenti emergono nel dibattito politico, volti a delegittimare il contributo comunista alla Resistenza, che lasceranno il segno in profondità sino a diventare prevalenti con Berlusconi, dopo l’implosione per via giudiziaria del sistema dei partiti negli anni Novanta. Argomenti che diventano prevalenti non solo da noi, ma anche nel resto d’Europa, se pensiamo alla risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019, che porta a fondamento dell’Unione l’equiparazione tra nazi-fascismo e comunismo, in una generica condanna dei “totalitarismi”.

La prospettiva post-antifascista, quando non afascista, nella quale oggi siamo immersi, non nasce dal nulla, e si è imposta anche prima dell’arrivo di Fratelli d’Italia al potere. È indubbio, però, che l’impulso e l’accelerazione che stiamo vivendo sono del tutto inediti, e dagli esiti non prevedibili.

storie

Possiamo immaginare l’Italia senza il 25 aprile? Possiamo rinunciare alla celebrazione di questo momento di riscatto politico-morale e della pace ritrovata, al ricordo vivo di questa insurrezione popolare che dopo l’umiliazione del fascismo ha permesso di riappropriarsi del futuro, della speranza in una Italia «nuova», «altra», diversa e migliore? E se sfrondiamo l’albero dell’antifascismo dalla retorica che gli si è depositata addosso, cosa ritroviamo?

Ritroviamo le storie e i volti delle donne e degli uomini che hanno reso vivo il 25 aprile nei decenni. Dalla lotta partigiana, alla resistenza civile di chi ha mantenuto alta la fiaccola dell’umanità nelle restrizioni e nella ferocia della guerra, ma anche nelle grandi e piccole epifanie di antifascismo che arrivano fino ai giorni nostri. É quello che ci raccontano le storie raccolte da Max Collini, voce inconfondibile degli Offlaga Disco Pax, e da Arturo Bertoldi in Storie di antifascismo senza retorica (People edizioni), un prezioso breviario laico, un libro pieno di grazia, commozione, ma anche, nonostante tutto, ironia e voglia di sorridere. 

Perché il 25 aprile è anche questo: una questione di sentimenti. Essere in piazza per porre un argine, ma un argine gioioso, fatto di sguardi che si riconoscono, che sentono nelle differenze, nei dubbi, nei timori e nelle contraddizioni, di essere vivi, e di esserlo insieme. Come scriveva Carlo Galante Garrone cinquantasei anni fa, “può avere un senso, oggi, parlare del 25 aprile soltanto se ci sforziamo di individuare onestamente i problemi di liberazione che si pongono in Italia e nel mondo, e di portare il nostro piccolo, personale contributo alla loro soluzione.” Un proposito che resta valido anche oggi.

 

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25 aprile

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