Pier Francesco Galli, un maestro al di là della psicoanalisi

24 Luglio 2024

Il 13 luglio 2024, all’età di 92 anni, è scomparso Pier Francesco Galli, un importante testimone della psicoterapia e della psicoanalisi in Italia. Era nato il 9 novembre 1931 a Nocera Inferiore da una famiglia di origine marchigiana (di Recanati), e aveva poi studiato psichiatria, psicologia e psicoanalisi a Milano, Basilea e Zurigo. Già giovanissimo, grazie anche all’amicizia con Michele Ranchetti cui era molto legato, divenne un protagonista nel campo editoriale proponendo nel 1959 a Giangiacomo Feltrinelli una collana specialistica che intitolò “Biblioteca di Psichiatria e di Psicologia Clinica”, che negli anni produsse 87 volumi, dal 1961 al 1994. Dato che era molto giovane, allo scopo di dare maggiore prestigio a questa collana chiese a Gaetano Benedetti, con cui era in contatto e che poi fu anche il suo primo analista (il secondo fu Fritz Morgenthaler, di Zurigo), di dirigere la collana assieme a lui. Benedetti, originario di Catania ma da molti anni professore di psichiatria a Basilea, era una figura autorevole, tra i pionieri della psicoterapia delle psicosi a livello internazionale. La collana ebbe molto successo, e pochi anni dopo, nel 1964, Galli si rivolse a Paolo Boringhieri, che si era da poco staccato dalla Einaudi per fondare una propria casa editrice, proponendogli di aprire una collana, che chiamò “Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia”. Anche Paolo Boringhieri, come Giangiacomo Feltrinelli, accettò la proposta senza esitazione, e in questa seconda collana sono usciti a tutt’oggi circa 300 volumi. Sono quei libri dalla copertina blu col trifoglio bianco al centro, che non mancavano dalla scrivania di ogni collega (la grafica era di Enzo Mari, e il trifoglio voleva rappresentare le tre discipline della psicologia, della psichiatria e della psicoterapia). In séguito aprì altre collane, ad esempio con Einaudi. I libri pubblicati nelle collane Feltrinelli e Boringhieri erano estremamente importanti perché in quegli anni l’università italiana era del tutto impreparata nel settore della psicoterapia (per non parlare della psicoanalisi), per cui questi testi servirono come spina dorsale della formazione di alcune generazioni di colleghi italiani; non a caso Valeria Babini, nel libro Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento (Il Mulino, 2009), aveva parlato di «una vera e propria “università dei libri”». Questi volumi, nel progetto di Galli, volevano svecchiare la cultura italiana del settore, che era rimasta enormemente indietro rispetto a quella di altri Paesi come gli Stati Uniti o l’Inghilterra. Con la capacità di intuizione che gli era propria, Galli aveva capito che il numero dei professionisti della salute mentale sarebbe cresciuto enormemente, e vi era un grande bisogno di formazione perché allora l’università italiana non solo era, come si è detto, del tutto impreparata (e lo è in buona parte tuttora, essendo ben poco professionalizzante), ma non vi erano ancora le facoltà di psicologia, e la psichiatria si era da poco scorporata dalla neurologia, cosa che implicava che i professori di psichiatria fossero di fatto ex-neurologi (i concorsi a cattedra erano spesso vinti da neurologi di chiara fede, non da coloro che si interessavano seriamente alla psichiatria, i quali venivano mandati – quasi come una svalutazione – a dirigere i manicomi, un esempio tra tutti è quello di Franco Basaglia che da Padova, dove era allievo del prof. Giovanni Battista Belloni, fu mandato a dirigere il manicomio di Gorizia). 

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Tra i libri pubblicati nella collana Feltrinelli vi erano dei classici di straordinaria importanza, oggi ormai introvabili e non a caso alcuni dei quali sono stati ripubblicati recentemente da altre case editrici, a riprova del fatto che si trattava di libri “senza tempo”, il cui interesse cioè non si esauriva in una generazione. Basti pensare ai due libri, che avevano la introduzione di Galli, Medico, paziente e malattia di Michael Balint, del 1956, uscito nel 1960, e Interpretazione della schizofrenia di Silvano Arieti, del 1955, uscito nel 1963, entrambi recentemente ripubblicati da altre case editrici. Balint aveva studiato gli aspetti psicologici nel lavoro dei medici di base e introdotto a scopo formativo i famosi “gruppi Balint”, e Arieti (che, una volta emigrato da Pisa per fuggire dalla persecuzione nazista, diventerà uno dei più famosi psichiatri degli Stati Uniti) era uno dei maggiori studiosi della psicoterapia della schizofrenia. Anche nella collana Boringhieri uscirono dei libri molto importanti, come ad esempio – per citare alcuni dei testi che erano più cari a Galli – quello di David Rapaport Struttura della teoria psicoanalitica. Un tentativo di sistematizzazione, del 1959, tradotto nel 1969 proprio da Galli, o quello di Larry Friedman Anatomia della psicoterapia, del 1988, tradotto nel 1993 con una toccante presentazione di Galli che mostrava anche l’affetto e l’amicizia che lo legava all’autore. Con la Boringhieri Galli fece uscire, tra gli altri, il Manuale di psichiatria, in tre volumi, curato da Arieti nel 1959 e tradotto nel 1969-70, che rappresentò una base per la formazione di coloro che allora volevano diventare psichiatri, e il Trattato di terapia psicoanalitica di Helmut Thomä & Horst Kächele, in più volumi, il primo del 1985 e tradotto nel 1988, che è certamente il migliore trattato di psicoanalisi; scritto da due colleghi tedeschi che erano anche amici di Galli, quando uscì colse di sorpresa gli americani che fino ad allora, per ovvi motivi storici, si sentivano un po’ i padroni nell’editoria psicoanalitica e non avevano previsto quanto la psicoanalisi tedesca, dopo decenni di relativo silenzio dovuto alle difficoltà del dopoguerra, potesse rinascere e mostrare tutta la sua cultura (il Trattato di Thomä & Kächele fu immediatamente tradotto in 10 lingue, incluso il cinese).

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E non può non essere menzionata la famosa “collanina” dei 24 libriccini pubblicati da Bollati Boringhieri dal 1992 al 1996 col titolo “L’osservazione psicoanalitica”, una geniale idea di Galli con la quale voleva coniugare la massima divulgazione con l’alto livello scientifico: volumetti agili, di 100-150 pagine, dedicati a un tema (Il carattere, Noia e apatia, Le rabbie croniche, Vuoto e disillusione, Solitudine e nostalgia, L’invidia, Capacità di amare, Bugiardi e traditori, Affetti senza parole, La vergogna, etc.) che contenevano quattro o cinque articoli classici della psicoanalisi, preceduti da una presentazione all’inizio del volume che li inquadrava nel contesto storico e culturale. In questo modo il lettore poteva accedere direttamente alle fonti, ed essere esposto alle riflessioni teoriche leggendo le parole di chi per primo formulò certi concetti partendo dalla clinica. Questa collanina ebbe molto successo, e inizialmente era venduta in un cofanetto per chi voleva acquistare tutti i volumi, che ora sono introvabili.

Tre anni dopo aver fondato la collana Boringhieri, nel 1967 Galli fondò la rivista trimestrale Psicoterapia e Scienze Umane, dal 1982 edita da FrancoAngeli, che voleva essere un po’ il terzo polo, dopo le collane Feltrinelli e Boringhieri, di un progetto culturale ambizioso: diffondere una cultura critica nel campo della psicoterapia e della psichiatria, con aspetti anche interdisciplinari, e libera da appartenenze o vincoli istituzionali (di fatto Galli non volle mai fondare una scuola o una istituzione, cosa che non gli interessava assolutamente, il principale obiettivo suo e del suo gruppo era sempre stato, ed è tuttora, quello di attivare un pensiero critico e stimolare dall’esterno le varie scuole e associazioni). La rivista Psicoterapia e Scienze Umane rimane una delle riviste più diffuse e autorevoli del settore, e continua a essere del tutto indipendente da associazioni o scuole (va detto che in questo settore quasi tutte le riviste sono espressione di associazioni la cui quota di iscrizione include l’abbonamento, perché oggi è difficilissimo tenere in vita una rivista di psicoterapia sfidando il mercato). La rivista ha anticipato il dibattito su varie tematiche, ad esempio l’omosessualità, una tema che, peraltro, era stato affrontato di petto da Psicoterapia e Scienze Umane fin dai primi anni 1980 quando ancora poche riviste psicoanalitiche avevano il coraggio di parlarne in termini diversi da quelli tradizionali. Tra i “filoni” – così li chiamava Galli – seguiti dalla rivista, spesso anticipando dibattiti, vanno ricordati quelli della etno-psicoanalisi, e della diagnosi nel rapporto tra psichiatria e psicoanalisi. 

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Tante cose vengono in mente ripercorrendo, come una cavalcata, le iniziative intraprese da Galli con passione. Tornando agli inizi del suo percorso intellettuale, nel 1960 aveva fondato insieme ad alcuni colleghi, tra cui Enzo Codignola, Emanuele Gualandri, Gianbattista Muraro, Berta Neumann, Mara Selvini Palazzoli ed Enzo Spaltro, il Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia, che dal 1962 organizzò alcune giornate di studio e nove di corsi di aggiornamento residenziali, molto frequentati, cui parteciparono alcuni tra i principali psichiatri e psicoanalisti italiani e internazionali.

Un’altra area di interesse di Galli è stata la formazione degli operatori nei Servizi di salute mentale, che ha condotto per decenni in diverse Regioni italiane, a volte anche come consulente regionale. A questo riguardo, una iniziativa di grande rilievo fu il progetto e poi la realizzazione, nel 1967, di un teaching hospital all’Ospedale Psichiatrico di Sondrio, dove i partecipanti erano impegnati per metà nello studio e per metà nel lavoro, sull’impronta delle scuole di specialità americane, allo scopo di fornire un modello che potesse essere replicato in Italia.

Ma è stato lo studio della teoria e della tecnica della psicoanalisi una delle sue maggiori aree di approfondimento, per la quale fu invitato più volte a tenere conferenze all’estero, ad esempio negli Stati Uniti presso il gruppo degli ex-allievi di David Rapaport, il Rapaport-Klein Study Group. Rapaport era uno psicologo americano che aveva dedicato la sua vita di ricercatore allo studio della metapsicologia freudiana, cioè della teoria generale della psicoanalisi, ed era particolarmente attento alla chiarificazione dei concetti e alla coerenza complessiva dell’intero impianto teorico. Galli era affascinato dal suo metodo di lavoro e dal modo rigoroso di formare gli allievi, alcuni dei quali – come Bob Holt, Merton Gill, Roy Schafer, etc. – divennero poi figure chiave della psicoanalisi nordamericana. Rapaport, così come più in generale altri autori che rappresentavano la Psicologia dell’Io, che è la corrente che potremmo chiamare ortodossa o “principale” della psicoanalisi e che è in continuazione con la tradizione freudiana, sono sempre stati valorizzati da Galli, il quale si sentiva vicino a questa impostazione teorica a differenza della maggioranza degli psicoanalisti italiani che erano più legati alla corrente che si ispirava a Melanie Klein, anche per l’influenza che in Italia ha avuto la scuola inglese. Si deve a Galli il merito di aver pubblicato nelle sue collane i principali libri di questi esponenti della Psicologia dell’Io, quali Heinz Hartmann, Ernst Kris e Rudolph Loewenstein, oltre ovviamente ad Anna Freud, Jacob Arlow, Charles Brenner e altri. Erano libri ad alta pregnanza teorica, che oggi ben pochi editori pubblicherebbero dato che vendono di più i libri clinici, se non di mera tecnica terapeutica, e spesso senza un legame stretto con una teoria precisa. 

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Raccontare tutto quello che ha fatto Galli sembra veramente una operazione infinita, tante sono le cose che vengono in mente, e certamente molte sono dimenticate. Si era detto che la formazione degli operatori della salute mentale nei Servizi di psichiatria è stato uno dei suoi maggiori interessi, ma all’interno di esso vi è sempre stata la formazione degli psicoanalisti, che Galli riteneva fondamentale per la trasmissione della teoria della tecnica, che da lui era vista in continuità con la formazione alla psicoterapia in senso allargato o “implicita” praticata nei Servizi. Questo è stato davvero un suo cavallo di battaglia. Si è sempre battuto contro la “divisione del lavoro” tra psicoanalisti e psicoterapeuti, anzi, tra psicoanalisti e psichiatri, convinto, come peraltro secondo la teoria della Psicologia dell’Io di Hartmann e collaboratori e anche nella gloriosa tradizione della “psichiatria dinamica” nordamericana del Novecento, che una teoria generale potesse essere applicata, modificandola secondo i bisogni del paziente, a tutte le situazioni cliniche, anche ai casi più gravi. Non a caso tra i primi volumi della collana Feltrinelli volle fra uscire proprio i testi di Harry Stack Sullivan e Frieda Fromm-Reichmann (la prima moglie di Erich Fromm), che erano tra i principali esponenti di quella “psichiatria interpersonale” americana che poi dovrà avere una grande fortuna nel mondo, anche in Italia, dagli anni 1980-90 in poi quando si chiamerà “psicoanalisi relazionale”, dopo i contributi molto noti di Stephen Mitchell.

Galli era convinto che buona parte del movimento psicoanalitico aveva frainteso la teoria della tecnica psicoanalitica, e su questo ha scritto tanto (viene in mente un bellissimo articolo, che uscì anche in inglese, dal titolo “Tecnica e teoria della tecnica in psicoanalisi tra arcaico e postmoderno”, pubblicato nel n. 2/2006 di Psicoterapia e Scienze Umane). Secondo Galli, infatti, la tecnica era stata trasmessa in molti istituti psicoanalitici, di generazione in generazione, in forma stereotipata, per così dire ossificata, in un rapporto “come se” con la teoria, cioè senza un legame stretto tra teoria e tecnica come dovrebbe essere in qualunque disciplina scientifica. All’interno di questo discorso, è stata molto dura la sua critica al training psicoanalitico tradizionale, soprattutto alla – perversa, in un certo senso – pratica dell’analisi didattica, che di fatto non è una analisi perché per definizione una analisi deve essere libera e non con uno scopo “esterno”, senza considerare i pericoli dei condizionamenti che avvengono all’interno degli istituti in cui il didatta esercitava un potere nella progressione del candidato. Fin dagli anni 1980 numerosi sono stati i contributi critici del training psicoanalitico pubblicati sulle pagine di Psicoterapia e Scienze Umane, di autori ad esempio come il nordamericano Otto Kernberg o il tedesco Johannes Cremerius, che hanno preparato il dibattito nei decenni successivi.

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A proposito della critica a certi aspetti della politica dell’IPA, va ricordata la organizzazione di un “contro-congresso” dell’IPA a Roma del 1969, che ebbe molta risonanza nei media, e questa è una pagina ora abbastanza dimenticata, quasi rimossa dalle storiografie ufficiali; Galli allora preferì stare dietro le quinte, ma fu organizzato da colleghi del suo gruppo, tra cui Marianna Bolko e Berthold Rothschild assieme a Elvio Fachinelli e altri. La storia di quel contro-congresso, raccontata da Bolko e Rothschild, fu ripubblicata nella rubrica chiamata “Tracce. Mummia ridens” del n. 3/2015. Questa rubrica, che aveva ideato e sempre curato Galli, iniziata nel n. 4/2004 e continuata in ogni numero, contiene alcune vere gemme. Come è scritto nella intestazione della rubrica, che Galli scrisse di suo pugno, «in questa rubrica compare la pubblicazione di materiali, editi o inediti, che tentano di ricostruire una specie di storia della psicologia, della psichiatria e della psicoterapia, a volte con la forza emozionale dell’aneddotica sottratta alle storiografie accademiche». Il termine “mummia ridens” si riferisce all’analista che possiamo definire “ortodosso” o “classico” che, come si era detto, segue la tecnica stereotipata che gli è stata insegnata acriticamente, e che sta spesso zitto, come una mummia (seguendo le regole – da lui fraintese e peraltro mai seguite da Freud – di neutralità, anonimità, etc.). Questo analista però, grazie alla cosiddetta “svolta” della psicoanalisi relazionale e intersoggettiva (svolta con alcuni aspetti che peraltro Galli non esitò a criticare), impara che non deve sempre star zitto, ma gli viene dato il permesso di essere più spontaneo, a volte persino di sorridere in seduta; il problema però è che rimane pur sempre una mummia, cioè nel suo volto compare un sorriso un po’ forzato, non spontaneo, come una mummia che ride muovendo solo la bocca, cosa che ha aspetti di comicità ma che può essere inquietante per lo sfortunato paziente. 

Infine, va accennato al rapporto che Galli ebbe con Franco Basaglia. Fu sempre caratterizzato da stima reciproca e anche collaborazione, ad esempio i primi 13 numeri della rivista Fogli di Informazione – diretta da Paolo Tranchina e Agostino Pirella (il fratello di Emanuele Pirella) – che era un po’ l’espressione del movimento anti-istituzionale italiano e anche di Psichiatria Democratica, furono ciclostilati a Milano nello studio di Galli, dove anche si tenevano riunioni mensili tra il gruppo di Galli e i “goriziani” (così venivano chiamati i collaboratori di Basaglia a Gorizia), cui veniva pagato anche il biglietto del treno. Galli però dissentiva in modo fermo con l’impostazione anti-tecnicistica del gruppo di Basaglia, che svalutava il ruolo della formazione tecnica degli operatori in favore di un lavoro sociale nel territorio, secondo una precisa impostazione ideologica. Vi furono duri confronti al riguardo, dove Galli fu accusato di posizioni per così dire “reazionarie”. Eppure la storia gli diede ragione quando pochi anni dopo, con il crollo delle aspettative create dal movimento basagliano e la frustrazione degli operatori che si trovavano a lavorare sul territorio senza una adeguata preparazione, vi fu il riflusso, e tanti colleghi su buttarono in massa alla ricerca di formazione, cercando di soddisfare la loro “fame di tecniche”. Nacquero ad esempio le varie “sette” psicoanalitiche o gli “psicanalismi” (lacaniano, freudiano, etc.), che per Galli rappresentavano un fenomeno deteriore. Buona parte dei reduci dal fronte basagliano si buttarono sulla terapia sistemica, che per l’enfasi che dava al contesto rappresentava l’approccio per loro più appetibile sul quale trasferirono la loro carica ideologica, diventando improvvisamente tutti, come io li definii una volta, “militanti dello specchio unidirezionale”. Grande è stata, diceva Galli, la responsabilità del gruppo basagliano nell’ostacolare l’apprendimento di tecniche terapeutiche da parte di una generazione di operatori, creando un grosso ritardo culturale. In séguito la situazione peggiorò ulteriormente e il degrado dei Servizi psichiatrici italiani è oggi di fronte a tutti.

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Ma questo resoconto delle cose che ha fatto Galli non è certo sufficiente a rendere l’idea del suo pensiero, delle idee di fondo che l’hanno guidato nel corso della sua vita. È difficile sintetizzare in poche parole quello in cui credeva, quello che gli interessava. Potrà sorprendere, ma la psicoanalisi in quanto tale non lo ha mai interessato veramente, gli interessava quello che c’era dietro, guardava al di là della psicoanalisi, che lui vedeva come un aspetto, tra altri, dello sviluppo del pensiero occidentale nelle sue implicazioni anche sociologiche. Quando nel 1967 fondò la rivista decise, non a caso, di intitolarla Psicoterapia e Scienze Umane e non “Psicoanalisi e Scienze Umane”, pur esercitando allora il termine “psicoanalisi” una forte attrattiva, ma Galli era molto più ambizioso, mirava a un discorso più ampio, soprattutto interdisciplinare. Gli interessava capire come i fenomeni avvenivano e perché, era curioso in tutti i campi, in particolare gli interessava la sociologia della conoscenza. 

Voglio riportare per intero un brano che ho trovato all’interno di uno dei tanti testi comparsi dopo la sua morte, perché accenna all’idea di “storia clandestina” della psicoanalisi e anche all’importanza della storia orale, cui Gali spesso faceva riferimento. È di Valentina Davi e di Giovanni Maria Ruggiero, comparso on-line nella rivista State of Mind il 15 luglio 2024: «Galli cercava di superare le idee professate nell’ortodossia teorica per far emergere una storia clandestina trasmessa attraverso canali informali come cultura orale, che mostra come gli assunti teorici non siano sovrapponibili alla realtà dei comportamenti nella pratica clinica. Secondo Galli, le cosiddette svolte teoriche di cui è ricca la psicoanalisi non sono state cambi di paradigma epocali ma adeguamenti a questo sapere clinico clandestino, chiusure della forbice tra quello che si poteva dire sul piano teorico, quello che si poteva dire di aver fatto e quello che accadeva nella realtà dei trattamenti».

A Pier Francesco Galli piaceva di più parlare che scrivere, per cui è autore di molti articoli ma di pochi libri, che spesso sono trascrizioni di suoi seminari o interviste. Tra questi vi sono La persona e la tecnica. Appunti sulla pratica clinica e la costruzione della teoria psicoanalitica, tratto da un seminario del 1992 (FrancoAngeli, 2002), e Settant’anni tra psicoanalisi e dintorni. Dialoghi e interviste (FrancoAngeli, 2024) in cui, come ho scritto nell’introduzione avendo curato il libro, ha raccolto nove interviste fatte negli ultimi decenni che rendono bene l’idea del suo percorso culturale in settant’anni di vita professionale, anzi, potremmo dire, novant’anni di vita. È praticamente un auto da fé, in cui Galli “si confessa” e racconta quale è stato il senso della sua vita, il motore che l’ha spinto in tutti questi anni, i principali interessi. La prima intervista è quella che gli fece il regista Francesco Merini in preparazione di un film che gli fu regalato da alcuni amici stretti per il suo settantesimo compleanno, dal titolo “Pier Francesco Galli: i settant’anni di un maestro”. Molto bello è anche l’articolo che gli fu chiesto per il n. 21/22 del 2023 della rivista, diretta da Ada Gigli Marchetti, PreText. Libri & periodici, del loro passato del loro futuro, che è dell’Istituto Lombardo di Storia Contemporanea, associato all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Come ha giustamente osservato Vittorio Lingiardi in un ricordo di Pier Francesco Galli pubblicato su la Repubblica il 14 luglio 2024, Galli ha lasciato tantissimi allievi, però non volle mai considerarsi un “maestro”, preferendo stimolare l’autonomia di tutti coloro con cui collaborava. 

In copertina, fotografia di Cellesi.

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