Cooperare per competere
Cooperare per competere. Sembra una contraddizione e invece è il motore di un cambiamento che da marginale diventa sistemico. In un’arena sempre più ampia e popolata da attori diversi che dichiarano di voler perseguire finalità simili - di interesse collettivo, di impatto sociale, con finalità di inclusione ecc. - è determinante individuare un principio generale di coordinamento, affinché queste iniziative possano competere efficacemente.
Il significato di competizione - dal latino cum-petere - rimanda infatti non a una specie di selezione naturale che premia il più forte a discapito degli altri, quanto piuttosto alla capacità di convergere verso un obiettivo comune pur muovendo da punti di partenza differenti. Se questo è l’obiettivo che anima, trasversalmente, i soggetti della produzione di valore sociale attraverso liniziative imprenditoriali, il principio di coordinamento che si mostra più efficace è quello della cooperazione.
Come ricorda Richard Sennett cooperare è ben diverso dalla semplice collaborazione, in quanto nel primo caso, oltre agli obiettivi, ad essere condivisi devono essere anche i mezzi e fini dell’azione. Assumono quindi rilevanza le reti di relazione che si stabiliscono tra persone e organizzazioni attraverso svariate modalità e forme di regolazione. Sistemi relazionali che non sono solo l’output, il risultato di iniziative che hanno lo scopo di incrementare i livelli di coordinamento, ma piuttosto l’input per dar vita a sistemi complessi, e più efficaci, di generazione di valore sociale. Un valore che, per essere tale, ha bisogno di essere condiviso e quindi è necessario poggiare su network in grado di dar voce ai bisogni e di attrarre risorse e disponibilità ad ampio raggio.
Le sfide del cooperare
Il cooperare per la produzione di valore sociale si trova oggi ad affrontare una pluralità di sfide, in parte inedite rispetto ad altre epoche storiche nelle quali ha già dato buona prova di sé. In primo luogo la segmentazione del quadro sociale in una pluralità di espressioni rispetto alle quali non è immediato stabilire qual’è l’elemento di interesse comune che innesca il metodo di coordinamento cooperativo. In secondo luogo emerge la necessità di costruire, con i necessari tempi ed investimenti, nuovi sistemi culturali di riferimento che catalizzino disponibilità a cooperare.
I sistemi ideologici e culturali del novecento hanno svolto un ruolo rilevante in tal senso nel sostenere processi di mutualizzazione dei bisogni da parte di ampi strati della popolazione. Oggi però questi stessi sistemi, per ragioni diverse, non sono più in grado di adempiere a questa missione e così si assiste all’emergere, rigorosamente dal basso, di nuovi paradigmi del cooperare che dopo una lunga fase di incubazione ai margini dei sistemi dominanti (anche di quelli sociali) oggi sembrano aver assunto la massa critica necessaria per compiere un salto di qualità.
Sono fenomeni estremamente diversificati: dal commercio equo, ai gruppi di acquisto; dai distretti tra PMI for profit e sociali, ai sistemi locali del welfare. Eppure questa nuova epifania del cooperare così differenziata presenta alcuni chiari elementi in comune:
- sono reti cooperative tematiche, guidate cioè da un obiettivo ben definito intorno al quale si costituisce una cultura condivisa;
- tendono a coordinare non solo soggetti simili - per tipo di organizzazione, settore di attività, ecc. - ma sono aperti al contributo di attori diversi;
- agiscono dal basso ma sono integrati verticalmente a livello sovralocale per intercettare i flussi di risorse globali;
- prevedono soluzioni organizzative complesse non semplicemente orientate a rappresentare interessi o a standardizzare i prodotti trattandosi di filiere che hanno l’obiettivo di mettere a valore le vocazioni specialistiche di ciascun nodo della rete.
Un’altra sfida per tutte quelle organizzazioni che hanno fatto del cooperare la loro missione e il loro sistema di governo.
Le qualità della produzione sociale
Incorporare e veicolare in modo esplicito valore sociale significa cambiare radicalmente i connotati della produzione. Tra gli elementi di valore che connotano beni e servizi emergono il contenuto relazionale, il carattere meritorio e la fruizione come commons.
E’ ormai ampiamente noto che lo star-bene (well-being) delle persone è associato non solamente ai bisogni materiali, ma anche ai bisogni relazionali e cioè alla loro capacità di entrare in relazione in modo genuino con altri. Ed è altresì noto che, mentre le economie avanzate sono diventate macchine straordinariamente efficienti per soddisfare l’ampia gamma dei bisogni materiali, non altrettanto si può dire di esse per quanto attiene i bisogni relazionali. La ragione è che i bisogni relazionali non possono essere adeguatamente soddisfatti mediante beni privati, quale che ne sia il volume e la qualità. Piuttosto, richiedono la disponibilità di beni la cui utilità per il soggetto che li consuma dipende, oltre che dalle loro caratteristiche intrinseche e oggettive, dalle modalità di fruizione con altri.
Relazionale è quindi il bene che può essere prodotto e fruito soltanto insieme perché la ricompensa è la relazione stessa. Amicizia, fiducia, felicità sono altrettanti esempi di beni relazionali. I beni privati e i beni pubblici pur opposti tra loro rispetto agli elementi della rivalità e della escludibilità dal consumo, condividono un comune tratto: quello di non presupporre la condivisione, né la conoscenza dell’identità dell’altro. Due o più soggetti possono consumare un bene in perfetto isolamento tra loro, ma ciò non è possibile se si tratta di un bene relazionale.
Questo aiuta a contestualizzare meglio quello che negli ultimi due anni catalogato alla voce “share economy” con la relativa fenomenologia: co-working, co-housing, co-production… tutte declinazione di un paradigma del vivere che assume la condivisione come principio. Il problema di questa narrazione è che spesso viene ricondotta a una esternalità della crisi, capace di ridurre i costi legati a quei bisogni insoddisfatti e non come un modo migliore e diverso di operare scelte capaci di costruire una società e un’economia che oltre al valore d’uso e al valore di scambio, mette al centro anche il valore del legame. Ecco quindi che il suffisso “co” posto davanti a tante parole non è il segno di una strategia difensiva attivata da qualche minoranza di visionari, ma il segnale che non c’è solo un comune interesse ma anche una relazione.
Il valore di legame quindi non è (solo) una esternalità (effetto) ma il meccanismo generativo capace di cambiare la natura delle cose, della società, dell’economia fino ad arrivare al consumo. Investire nel valore di legame, non è una scelta dettata dalla necessità, ma il presupposto di uno sviluppo umano ed economico più integrale. La prospettiva dei beni relazionali fa riferimento alle determinanti comportamentali degli individui, richiamando elementi che investono la sfera psicologica e, in senso più ampio, culturale. Essa risulta particolarmente utile per intervenire in contesti dove l’elevata intensità relazionale rappresenta l’elemento costitutivo di beni come cura, educazione, inclusione, ecc. e dove quindi assume un ruolo cruciale il lavoro sociale di quegli operatori (professionali o volontari) chiamati a costruire e sviluppare un tale sistema di relazioni.
Nel caso dei beni meritori, invece, l’enfasi si sposta sul versante istituzionale perché al centro dell’attenzione vi sono i processi attraverso cui si giunge ad attribuire a determinati beni una valenza di “interesse generale” o di “beneficio collettivo”. In questo senso la meritorietà di un bene non è un dato per scontato, ma piuttosto l’esito di dinamiche di co-costruzione sempre più spesso partecipate da soggetti diversi (pubblici e nonprofit soprattutto) e che si concretizzano in attività di policy making volte a riconoscere in quali casi la fruizione di determinati beni produce vantaggi generalizzati e quindi è necessario che essi vengano consumati a prescindere dal fatto che i beneficiari possiedano le risorse necessarie per poterli acquisire.
Il testo che pubblichiamo è tratto da Cooperare per competere. Generare valore sociale di Paolo Venturi, Flaviano Zandonai, edito da 40K Unofficial
Doppiozero ringrazia gli autori e l'editore per la pubblicazione dell'estratto