Io e l’asino mio / I Crepax: ritratto di una tribù
È quasi inevitabile che Io e l’asino mio. Storie dei Crepax (Bompiani, 18 euro), a firma di Valentina Crepax, abbia in copertina la Valentina dello zio Guido Crepax. Eppure, mentre lo leggevo, mi tornava in mente la copertina francese de La vita, istruzioni per l’uso di George Perec: la facciata in trasparenza di una grande casa di cui si rivela la vita nascosta e al tempo stesso collegata tra gli appartamenti ai diversi piani. La vita comunitaria dei Crepax, una grande casa sempre aperta a tutti, è il tema di questo libro – ma l’effetto è più quello di un numero speciale del ‘Linus’ di Giovanni Gandini – che Valentina ha dedicato alle storie della sua famiglia. Una famiglia allargata che comprende la nonna, i figli Franco, fortunato discografico cresciuto con Nanni Ricordi, e Guido, laureato in architettura ma poi creatore del personaggio di Valentina, e di tutta la loro discendenza.
“Vivevamo tutto insieme perché non c’erano tanti soldi, perché era più pratico essere a portata di mano gli uni degli altri, per rubare le caramelle a mia nonna, non so perché”, scrive Valentina. La sua “è la storia di una famiglia veneto-napoletana, ma alla fine milanese, della borghesia... potrei dire illuminata ma mi sembra più opportuno definirla incandescente”. Ogni componente è un personaggio, compresa naturalmente l’autrice. All’origine c’è un nonno Gilberto, violinista nell’orchestra di Toscanini, e una nonna veneziana che, rimasta vedova, vive accanto ai figli Franco e Guido. È sua abitudine fare lunghe telefonate quotidiane alle famiglie dei figli per commentare i fatti del giorno. È lei la depositaria di uno stile borghese, si potrebbe definire un po’ bohémienne, che i figli trasformano in radical chic.
Anzi i Crepax sono l’archetipo della famiglia radical chic, definizione che allora, come ricorda Natalia Aspesi nella postfazione, non suonava come un insulto. Negli anni Settanta sta nascendo un mondo nuovo dove i costumi sono liberi, c’è grande tolleranza reciproca, ma le regole, almeno nella famiglia Crepax, sono precise. Sono regole soprattutto di stile, “lo stile di famiglia”. Non si portano le calze bianche, non si usa il termine “maglione” bensì golf, si è antifascisti (la Valentina fumetto di cognome fa Rosselli, in omaggio ai fratelli assassinati dai sicari di Mussolini), quando si apparecchia si mettono sempre due forchette e le posate della frutta e si prosegue con lunghi elenchi e regole precisissime ma pronte all’occasione a essere infrante.
Gli stereotipi e le ipocrisie sono messi al bando: meglio dire cameriera che donna di servizio e Amina che dal Marocco arriva in casa Crepax e ne diviene un’indispensabile appendice, si conquista l’Oscar come miglior attrice non protagonista di queste pagine. Il libro è dominato dalla personalità di Franco, definito da Michele Lupi, in uno dei contributi di amici e famigliari che rendono il libro corale, “un acceleratore di vite altrui”. Personalità esuberante, fortunato discografico negli anni Sessanta-Settanta, eccentrico, provocatore e seduttore di chiunque gli passi a tiro; la sua specialità sono le battute che uccidono. Alla figlia che, a differenza sua e della moglie, ha perso la silhouette della gioventù: “Ho già fatto molto per te, ti ho dato la vita. Non è colpa mia se sei grassa”. A ciascuno dei tre figli, separatamente: “Io preferisco te ma non dirlo ai tuoi fratelli”. Un po’ più in là con gli anni, urtando come per caso un’elegante signora dai capelli bianchi: “Oh signora mi scusi, l’avevo scambiata per Massimo D’Alema”. È chiaro che una personalità così strabordante necessiti una strategia di contenimento.
Il fratello Guido sceglie quanto prima di andare a vivere a distanza di sicurezza e adotta uno stile di vita molto più morigerato, ma il vero contraltare di Franco è la moglie Luciana. Di origine napoletana, appartenente a una famiglia che si potrebbe ritrovare nelle pagine di Althénopis di Fabrizia Ramondino, è la quintessenza dell’eleganza e di uno stile in levare (anche se sarebbe stato bello vedere riprodotta – nel libro ci sono tante fotografie – la toilette che indossò in una serata finale del festival di Sanremo degli anni d’oro che, per non essere sciupata, fa trasportare da Milano a Sanremo in un baule issato sul tetto di una macchina della casa discografica).
Luciana, come la figlia Margherita, per mestiere è traduttrice ed è chiaro che nella famiglia ci sono due categorie: gli individualisti larger than life, gli esagerati, come Franco e Valentina, che a sua volta ha avuto frotte di ammiratori buoni all’uso nelle più diverse situazioni, e poi ci sono le più umbratili Luciana e Margherita, che hanno cura non solo di ripianare gli equilibri famigliari, di educare figli e nipoti, ma trovano il tempo, seduttrici più sottili, di coltivare i propri fan. C’è poi Nicola, unico maschio, che fin da piccolo ha la passione per le barche e, come scrive di sé stesso: “da componente effettivo della mia famiglia sono scivolato rapidamente nella condizione di componente esterno con funzioni di affezionato osservatore, che stava in barca”. In ogni caso la mamma, che Valentina definisce “la mamma dei miei fratelli”, lo ha sempre difeso d’ufficio. In una famiglia del genere la nascita di Alice, la figlia che Valentina ha avuto a 19 anni “da ragazza madre”, poteva diventare una bomba a orologeria. Scoperto di essere incinta, nonostante le pressioni della famiglia del padre della bambina (Marco Tullio Giordana), Valentina decide, con l’appoggio dei genitori, di partorire. Alice è accolta, come ogni bambino dopo di lei, col massimo giubilo nella famiglia Crepax e ognuno ne diventa il genitore. Franco, che Valentina sopranommina Franchestìn, è naturalmente il più spudorato: “Eccomi qui, sono la tua mamma, la tua mamma Franchino”. Sono gli anni Settanta e i Crepax sono all’apogeo della loro fortuna. La loro è una casa sempre aperta, piena di ragazzi che si mescolano a uomini e donne di cultura e di spettacolo, di feste, di pranzi, di libri da leggere, scrivere o tradurre, di discussioni.
Poi ci sono traslochi, rovesci di fortuna, ma nessuna si dispera. La famiglia è colta, attraverso una serie di sketch, nelle più diverse e classiche situazioni e abitudini: a tavola, nelle vacanze ai Ronchi, il luogo del cuore e delle amicizie, alle prese con la scelta degli elettrodomestici o della macchina nuova, con i giochi di società inventati da Guido. E poi fuori di casa: da Fiorucci, di cui si battezza il genio, o nei bar cittadini (il Tumbun, Oreste, Quadronno). Sparsi, a gruppi, tutti insieme. Mai da soli. Un Crepax solitario è un hapax! Forti di quell’amore concreto, fatto di gesti grandi o piccoli da trasmettere di generazione in generazione.
Da poche settimane Valentina non c’è più, così come negli ultimi anni sono scomparsi Franco e Luciana, ultranovantenni ma vitali fino all’ultimo. È mancato anche Gigi Zazzeri, marito di Valentina, un giornalista che ho sempre immaginato accanto a Jack Lemmon e Walter Matthau in Prima pagina di Billy Wilder, un maestro nella preparazione dei cocktail e uomo di grande bontà. A lui è dedicato il capitolo più bello del libro: “ho sposato un adolescente”, che vale da viatico per i futuri membri della famiglia Crepax: è inutile cercare di imitare i Crepax, ma se ti adatti potrai vivere felice e rispettato in mezzo a questa variopinta tribù metropolitana.