I libri pubblicati da Giulio Einaudi in mostra a Milano / Il libro al centro: l'Einaudi e la grafica

29 Marzo 2016

Non solo la Einaudi ma tutte le case editrici di cultura hanno “potuto crescere e irrobustirsi perché i principali collaboratori erano disposti a molti sacrifici, e a correre i rischi che un lavoro difficile impone. Dico difficile, perché finché un'editoria del genere non si è affermata sul mercato non attrae capitali, e deve costruire un suo futuro solo attraverso il favore del pubblico. Quindi è questa difficoltà a rendere ancora più forti gli stimoli a far bene, e a far bene non solo nella scelta dei testi, ma anche nella veste tipografica, nell'arte di far conoscere quello che pubblichi e nell'arte delle relazioni sociali”. Così Giulio Einaudi – nel colloquio con Severino Cesari pubblicato nel 1991, che citeremo spesso – riassume il compito di un'editoria del “sì”, quella che non si preoccupa solo dell'oggi, di pubblicare in gran quantità frivole novità ritenute vendibili.

 

 

Il catalogo storico dell'Einaudi ne è ancora un'attuale testimonianza, in primo luogo nel configurare il lavoro editoriale tenendo il libro al centro. Questo tenace assunto è stata la bussola e il collante per coagulare intelligenze, capaci di scelte di lunga durata e di abbracciare il difficile compito di trasmettere il sapere. Il libro Einaudi è di fatto diventato un modello.
Anche per la sua forma, per la sua veste grafica e tipografica. La capacità di attirare “consulenti” e collaboratori la troviamo anche in questo specifico settore. Max Huber, Albe Steiner, Bruno Munari, Germano Facetti, Oreste Molina sono nomi noti, che hanno contribuito all'affermazione internazionale della grafica italiana. E di certo sono stati campioni anche nell'operare impegnato, disposti a fare quei “sacrifici” per un progetto culturale così alto. Lo stile Einaudi offre quindi attorno al tema della forma del libro diversi piani di riflessione. E di certo è una storia scritta al plurale.

 

La prima linea di rigore grafico e di immagine sta nella chiarezza d'intenti dell'editore. “Sono sempre stato attento ad usare una forma che attirasse l'attenzione senza mai arrivare al disturbo ottico (...). Ci sono libri che non si riescono nemmeno a leggere (...) caratteri troppo grandi, copertine troppo indiscrete”. Questi intendimenti sono un concentrato di buon senso e di equilibrato gusto grafico, che vedono nel libro un oggetto da curare e valorizzare, ma anche uno strumento rispettoso del lettore. L'eleganza Einaudi sta in questo pragmatismo dell'editore, che poggia sulla consapevolezza tecnica per produrre un buon libro. E fin dall'inizio Einaudi sa scegliere le competenze, non a caso in una piazza ricca come quella di Torino per le arti grafiche, si affida a Carlo Frassinelli, tipografo, autore di un trattato di architettura tipografica ed editore in proprio. Giulio Einaudi è quindi il principale attore dell'immagine editoriale, ma è anche il primo assertore di una costruzione comune dello stile aziendale. “Solo in pochi casi il disegno di una pubblicazione Einaudi è opera esclusiva del grafico (...) questo è sicuramente il caso de “Il Politecnico” che Albe Steiner ha disegnato discutendone più con Vittorini che con me”.

 

 

Un secondo piano di lettura è l'apporto dei grafici. Innanzitutto è fondamentale, anche qui, la scelta operata, che risponde a qualità professionale, estro progettuale, ma anche e soprattutto consonanza culturale e impegno comune verso la nobile idea di libro non per un’élite, ma per la produzione di massa. Huber e Steiner sono i migliori interpreti di una grafica razionalista e costruttivista, che non perda di vista però il senso del comunicare e dell'educare attraverso il progetto.Il dopoguerra e gli anni Cinquanta sono per il libro Einaudi una ventata di novità che marca almeno l'aspetto esteriore di diverse collane. Di certo l'esperienza innovativa de “Il Politecnico” è determinante, un giornale nuovo “per gli operai, i contadini, gli intellettuali (...) per l'unità di tutti gli uomini che lavorano nel progresso civile e nella cultura”.

 

Il Bauhaus e il rosso e il nero, sotto la direzione di Steiner e Vittorini, traducono una pratica collettiva di lavoro dove il jazz del grammofono di Huber faceva da sfondo allo stupore di Franco Fortini nel vedere il montaggio foto-grafico delle pagine, le prove, gli accostamenti e i tagli delle immagini. È questa ricerca e questo manifesto che Steiner e Huber portano in Einaudi. Le copertine per la serie del “Politecnico biblioteca” e quelle per i “Problemi contemporanei” hanno un approccio "militante", sono sperimentali, guardano alla nuova tipografia e alla grafica della Russia rivoluzionaria. Fotografie, montaggi, tipografia senza grazie, trasparenze, sovrastampe e dinamismo nella messa in pagina sono un forte salto d'immagine per il catalogo. E non a caso generano con l'editore "confronti molto vivaci", ma in un piano di stima e fiducia. Huber e Steiner affiancano anche un ruolo di consulenza indicando soluzioni per collane come i “Coralli”, la “Piccola Biblioteca Scientifico-letteraria”, i “Millenni”.

 

 

Con Munari, a partire dal 1960, il rapporto è ancora più ampio e approfondito. Se Steiner e Huber hanno dato forma a delle "isole" visive, il lavoro di Munari si articola e dispiega maggiormente sull'insieme del materiale editoriale. Munari è in primo luogo un bizzarro autore Einaudi (Abecedario, 1942, Le macchine di Munari, 1942) e la grafica editoriale è una sua vera passione, ma anche il campo di un continuo auto-apprendimento. Un approccio per certi versi molto diverso, che unisce rigore formale, ma anche continua ricerca, astrazione e illustrazione, modularità e invenzione. Già negli anni Cinquanta la sua presenza è evidente in sovraccoperte “illustrate” dei “Saggi” con splenditi esempi di sintesi visiva, giochi astratti fatti con collage di cartoncini, manipolazioni e montaggi di fotografie, disegni fantasiosi e liberi. E addirittura mette a disposizione un suo classico positivo-negativo come sfondo e template per i pochi titoli di una ennesima revisione de “I gettoni” (1957).C'è piacere e disponibilità, ma anche un piano più profondo ed interessante, che indaga il libro Einaudi in una dimensione concettuale. Il libro come oggetto seriale, la collane come sintagmi di identità editoriale, la grafica come “testo” per un percorso progettuale. È il Munari cinetico e programmato, che definisce le “condizioni” del progetto, ne detta le regole e lascia aperto l'esito.

 

Allora basta un quadrato rosso o blu, bastano cinque righe rosse parallele, bastano sei quadrati da riempire di testi o immagini, ma anche da modulare fino a ridurli a due (testo e figura), bastano poche sottili linee su un campo bianco, immacolato e luminoso. Insomma Munari ci mette le mani, anche il naso, come ricorda Giulio Einaudi, ma soprattutto dispone un metodo, un metodo aperto che vuole essere compreso e completato. Sempre Einaudi argutamente annota “Dico collaborazione di Munari, perché non è che Munari «facesse le copertine». Veniva lì e discuteva. Discuteva appunto con il direttore editoriale, con il direttore tecnico Oreste Molina: e con me”. E Giulio Bollati conferma: “Anche Munari, che era il maestro, stava al gioco senza darsi arie da protagonista, e nelle nostre riunioni grafiche accettava critiche e suggerimenti da chiunque”. Naturalmente questa disponibile complicità del “grafico” era strettamente connessa al senso comunicativo dell'opera e anche alla concreta necessità di migliorare la propria idea progettuale. È questa intelligenza che ha consentito alla grafica di Munari di depositarsi nello stile e nell'immagine Einaudi e di colloquiare anche su altri piani come quello persino dell'invenzione del prodotto editoriale. La collana “Tantibambini” resta un capolavoro.

 

E ora giungiamo al terzo livello, quello fondamentale della quotidianità del lavoro editoriale. La grafica, l'immagine, lo stile e anche la perfezione del libro Einaudi non esisterebbero senza il lavoro rigoroso, attento ed indispensabile di Oreste Molina. È lui che pensava alla vera forma del libro, non solo alla sua soglia. Competenza e passione sono unanimemente riconosciute. Bollati: “Bisognerebbe fare un monumento a Oreste Molina”. E Einaudi, parlando de “I millenni” (ma di certo pensava a tutti i suoi libri): “Queste opere devono restare per lungo periodo, devono essere trasmesse di padre in figlio per l'eternità o giù di lì, e quindi devono essere stampate in modo, per quanto possibile, perfetto. Con carta pregiata, la grafica curata in ogni dettaglio, le illustrazioni realizzate nel miglior modo possibile. E questo è proprio merito di Oreste Molina, il quale si è appassionato al libro attraverso la pratica grafica, la tipografia, e non perché provenisse da una stirpe di raffinati bibliofili”.

 

 

Il segreto è il dettaglio, quello che i grafici (anche i più bravi) non vedono o che sottovalutano. Il dettaglio è il rispetto per il lettore, per l'autore, per l'opera. Senza Molina lo stile Einaudi avrebbe annaspato, le nebbie avrebbero circondato il principe e le corti umanistiche, il libro non avrebbe brillato sui banchi delle librerie. Molina sa davvero cosa significa fare un libro, e questo evidenzia anche la debolezza di una certa cultura grafica, da designer, per i fondamenti tipografici e della scrittura. Non per fare il bell'oggetto, ma per fare il libro utile.

 

Quanta sapienza e lungimiranza Molina ha avuto nel scegliere la bolognese Simoncini, per far disegnare il carattere dedicato, quando a Torino c'era la più grande fonderia italiana. Il Garamond Simoncini è proprio un carattere su misura, dove il committente è tanto sapiente come il realizzatore. I mezzi punti tipografici commissionati da Molina sono il dettaglio, la reale necessità, quello che di certo serve per risolvere la pagina. La Nebiolo era troppo “commerciale” o troppo “araldica” e blasonata. “Molina guardava il testo: (...) le note son fatte da cani, le citazioni son sbagliate, non hanno segnato dove mettere i corsivi e i tondi (...). Passava le notti sui manoscritti (...) era un orologiaio: il suo era un lavoro di precisione”.
Questa è la “grafica” Einaudi, che necessita come una vigna di tante mani e di un buon conduttore che sappia scegliere e dire ai suoi quando serve un innesto e quando vendemmiare. “All'interno avevamo un grafico bravo. Ma c'è bisogno anche di una consulenza esterna, che appunto era quella di Munari. Un grafico interno lo devi avere, e questo di fatto è stato Oreste Molina, – racconta il vignaiolo Giulio – il direttore tecnico: un grande grafico. Però gli innestavo Munari”.

 

I LIBRI EINAUDI 1933-1983, Collezione Claudio Pavese (Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese; 31 marzo – 23 aprile 2016). Mostra a cura di Andrea Tomasetig, con Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra.

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